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Il cuore in ascolto
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Il cuore in ascolto

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About this ebook

Una raccolta di deliziosi racconti intimisti che immergeranno i lettori nell'animo romantico e malinconico di "Mura", lo pseudonimo dietro il quale si celava la scrittrice Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri. Dalle riflessioni sul Natale alle cronache belliche passando per delle toccanti riflessioni sulla solitudine, il libro raccoglie cinquanta novelle ammalianti e commuoventi.-
LanguageItaliano
PublisherSAGA Egmont
Release dateFeb 8, 2022
ISBN9788728078938
Il cuore in ascolto

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    Il cuore in ascolto - Maria Volpi Nannipieri

    Il cuore in ascolto

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1942, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728078938

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    I DUE NATALI

    Ho la sensazione, stasera, di non aver più alcuna possibilità di pensare, ma soltanto di sentire: il cervello si è fuso col cuore, e forse tutto in me è diventato cuore e sensibilità. C’è un ritorno a tempi lontani ormai, e pur così prossimi: guerra nel Natale di vent’anni or sono, guerra nel Natale di quest’anno. Diverse guerre e pur sante tutte e due, poichè il sangue che scorre è nostro, perchè l’aureola che illumina la fronte dei caduti e dei combattenti è aureola di nostra gloria. Forse in uno dei tre Natali della guerra di allora pioveva come stasera sulla neve, oppure il nevischio a poco a poco si tramutava in pioggia, e nelle case il caldo era limitato, e le strade erano deserte, e le case intime, e le Chiese ricolme di fedeli imploranti la pace, pace degna del sacrificio, degna della vittoria, degna della gloria.

    Natale lontano e pur così vicino oggi nel nostro cuore! Mamme ansiose palpitano come allora e forse più di allora, poichè oggi ogni vittoria è guardata con occhio che ha dimenticato l’amicizia. Natale più triste di allora, forse anche se tristezza vuol dire soltanto malinconia di non essere compresi, di non essere capiti, di non essere rammentati come fummo, di non essere riconosciuti come siamo.

    Ma è Natale... e una bontà nuova sorge in noi, una bontà fatta di sentimenti complessi e inspiegabili che ci fanno diversi da ieri e diversi da domani, come se una pausa avesse gettato un ponte tra la nostra personalità della vigilia e quella di Santo Stefano. Desiderî nuovi sorgono in noi, desiderî familiari profondissimi, e nostalgie sopite si risvegliano, e necessità dimenticate riaffiorano. Ci si rammenta, ad un tratto, di aver desiderato per anni e anni qualche cosa che la vita ci ha sempre negato e che proprio stasera diventa indispensabile: inutilità forse, ma inutilità capaci di far amare la vita, di far sopportare la solitudine, di far aspettare senza disperazione le notizie che bruciano la nostra pazienza.

    Cielo grigio e basso sulle nostre case dove ci raduniamo per ritrovare quelli che durante l’anno la vita disperde, cielo uguale al nostro spirito che porta con sè una tristezza opaca sull’azzurro che l’anima racchiude ed avvolge: azzurro di fede e di gioia, riserva del domani. Tra poco ogni strada sarà attraversata, come ogni anno da secoli, da fedeli che sfidano il freddo e la notte per recar verso la Chiesa l’incenso, l’oro e la mirra del proprio cuore e della propria preghiera: doni ideali che valgono quelli dei Re della dolce leggenda di Betlemme, mentre la stella cometa con la chioma lucente è ferma su tutti i campanili oltre le nubi a indicar la via che conduce alla mangiatoia sacra.

    Come vent’anni or sono tra le nevi delle Alpi, così oggi sotto le stelle d’Oriente, i nostri figlioli più giovani e più forti puntano nella notte gli occhi vigili sul nemico. Veglia notturna di sentinelle immobili nei punti avanzati: forse attorno a loro, nel silenzio luminoso del plenilunio, un inno di campane suonerà senza eco. Ricordi di campane cittadine e paesane, di fuoco acceso, di scialli neri; ricordi di altari illuminati da ceri nuovi, di bimbi e di donne inginocchiate, di voci bianche nel coro di Natale, di promesse e di augurî. Nella rievocazione che a poco a poco si fa viva e vera tutto scompare: la notte di stelle si muta nella rievocazione in una notte fredda di neve e di ghiaccio, la radura oltre la boscaglia è come il sagrato del paese, e la luce immaginaria nel fondo indica la porta illuminata della Chiesa. Nella fantasia le campane suonano a distesa. Il soldatino calcola la differenza delle ore... ma il conto non torna. La notte di Natale è uguale dovunque, sotto tutti i cieli, e su tutti i meridiani. E quand’è mezzanotte il cuore si fa piccolo e commosso, e la voglia d’inginocchiarsi è più grande della stanchezza di stare in piedi. Il fucile diventa cero acceso, con la fiammella instabile, pronto per la processione...

    Poi un sospiro: le ore passano. Ritorna il silenzio, il fucile ritorna il fucile, con la baionetta inastata. La realtà è fatta di boschi e di insidie, di stelle e di chiaror di luna. Da ogni ramo può sbucare il pericolo, da ogni ombra può scaturire la morte. Occhi attenti, soldatino costretto a vestirsi di nero per immedesimarsi con la notte, tu che venti anni or sono eri costretto a vestirti di bianco per immedesimarti con la montagna e con la neve...

    Piove e la pioggia è cattiva compagna dei pensieri che vanno lontani dove gli uomini d’Italia cercano all’Italia una casa più grande! Sappiamo che il cielo d’Oriente è in questa stagione sempre azzurro, che non esiste una notte senza stelle, che la nostra neve invernale ha per contrapposto, laggiù, sole cocente e clima talvolta troppo caldo: ma la fantasia non riesce sempre a creare la realtà. Abbiamo imparato, noi della nostra generazione, a guardar la guerra delle cime nevose, delle tormente, delle trincee fangose, e il sanzionato benessere della casa, e la gioia mistica della Chiesa e della preghiera, e i cappotti caldi sotto questa pioggia che è neve acquosa, destano in fondo una specie di rimorso per le rinunce di quelli che combattono, per la loro lontananza da casa proprio oggi che tutti ci siamo riuniti.

    Ma forse il posto migliore, nel cuore e a tavola sotto il lampadario acceso, è riservato proprio all’assente: per lui tutti i nostri pensieri, ed in suo nome tutto il bene che in questi giorni possiamo compiere per render meno duro l’inverno degli altri; per lui tutte le rinunce perchè possa aver le armi forgiate col ferro delle nostre case, comperate con l’oro delle nostre «fedi».

    Pace agli uomini di buona volontà! Ma la pace è al di là della guerra, e non potrà mai esser pace sulla terra finchè non sarà nato nel cuore degli uomini il desiderio della pace, della pace giusta, della pace che conceda a tutti la parte di cielo di cui ha bisogno per vivere, della pace che porti lavoro, che porti giustizia, che porti bontà e civiltà, che porti ricchezza e non soltanto ricchezza materiale, dovunque. Pace agli uomini di buona volontà!

    GIORNALE LUCE

    Da qualche tempo il Giornale Luce rappresenta al cinematografo la parte migliore dello spettacolo: ora che si è appena entrati in estate e i buoni film dormono nei depositi, nell’attesa dell’inverno prossimo, l’attenzione del pubblico si concentra nella mezz’ora durante la quale oltre al Giornale Luce viene proiettata anche la cronaca della campagna in Africa Orientale. Nel buio della sala scoppiano applausi frequenti per ogni difficoltà superata, per ogni battaglia descritta con quella immediatezza che viene dalla verità delle azioni: mezza ora di vita vissuta dai soldati lontani e cari.

    Giorno per giorno vediamo quanto ci sia costata di fatica e di fede la campagna africana, giorno per giorno vediamo che gli eroismi sono stati compiuti da tutti: dai comandanti all’ultimo dei soldati. Le marce sotto il cielo basso nell’afa soffocante del temporale, che incalza, lungo piste così polverose che talvolta lo schermo non è che una nube chiara; e i guadi di fortuna, con tutti i mezzi e con tutti i virtuosismi; e gli assalti alle colline sulle quali le macchine rinculano improvvisamente per essere poi spinte a braccia da uomini che sono divenuti macchine e motori; e le discese ripide che pare divorino uomini e camion; e le sterminate pianure nude, desolate, sulle quali il sole scarica diluvi di lava ardente... sono altrettanti quadri di passione per noi che di lontano abbiamo sofferto ed esultato con i combattenti.

    Di questa guerra terribile e dura, pittoresca e gloriosa, restano documenti magnifici di chiarezza e di verità. La perfezione della cinematografia, la nitidezza della fotografia, permetteranno che fra molti anni si riconoscano persone e cose, e i bimbi di oggi che battono le mani ai soldati, che accolgono con un grido gli avieri miracolosi, che hanno sulle labbra i nomi di tutti i capi e negli occhi la fisonomia degli eroi, ritroveranno domani, vive come oggi, le immagini che hanno entusiasmato la loro infanzia. I soldati di oggi saranno allora uomini adulti e nonni, e si rivedranno com’erano giovani e forti e baldi, più forti della natura maligna, capaci di resistere a tutte le fatiche e a tutti i climi, superando l’amba altissima e gelida e il piano ardente e insidioso. I bimbi di oggi, divenuti grandi, vedranno da quale gente sono nati, quali eredità sono state loro affidate da custodire e da difendere, quali esempi hanno ricevuti, e la fierezza di domani sarà ancora più grande di quella di oggi che pur è già fierezza gloriosa.

    La storia non la studieranno più sui libri perchè fin da piccoli la storia i bimbi la vivono. Le date fatidiche della grandezza d’Italia le hanno già nel cuore e non le dimenticheranno mai più, perchè hanno partecipato con spirito guerriero al tripudio della nazione, perchè hanno ascoltato le parole lapidarie della storia dalla voce viva del Capo, perchè la storia l’hanno vista svolgersi nei corti metraggi sugli schermi candidi. Forse mai, da che mondo è mondo, la vita della Patria è insieme la vita della Nazione e quella di ogni cittadino: forse mai, da che mondo è mondo, l’armonia italica è stata così perfetta, senza stonature, senza pause, senza esitazioni. Se fosse possibile sfogliare tutte insieme le pagine raccolte dal Giornale Luce — e un giorno lontano questo si farà per dar modo ai ragazzi di domani di conoscere gli uomini e i ragazzi di oggi — passeremmo in rivista il diario della Nazione, dalle prime pagine trepide a quelle sempre più fervide e sicure. Un giornale di amore di Patria, di amore sempre più grande e sempre più intenso, di amore sempre più fulgido e perfetto. Un giornale nobilissimo perchè ogni parola e ogni immagine è ispirata da purissimo amore.

    La storia sarà rivissuta, veduta, sentita, senza imprecisioni, senza mistificazioni: non si potrà svisare una pagina scritta attraverso la immagine fotografica, e quelli che nelle immagini si riconosceranno, potranno firmare il loro diario di giovinezza scritto col sangue.

    Ho visto bimbi, seduti accanto a me, guardare con occhi lucidi le visioni delle avanzate africane, e aggrapparsi ai braccioli delle poltrone nei momenti più difficili, quasi che con le loro piccole mani potessero aiutare quelli che faticavano a drizzare un carro rovesciato o quelli che sudavano sotto il peso delle armi e dei tascapani. Meglio dei grandi, i bimbi distinguono un cannone da un altro, come se già avessero fatto la guerra e portassero nella loro ascesa verso la vita il peso dell’esperienza, e più di tutti manifestano il loro entusiasmo con gli occhi lucidi di commozione e certe esclamazioni di ammirazione e di giubilo che a sentirli vien voglia di abbracciarli.

    Sognano ad alta voce gesta eroiche, e la lontana Africa è diventata la terra promessa, il centro della loro aspirazione, la certezza di tutte le vittorie e di tutte le ricchezze: conoscono le vie dell’Africa come quelle della loro città, e i nomi di laggiù come quelli dei paesi più vicini alla città. E non soltanto la storia di oggi conoscono e vivono, ma quella di cinquanta anni or sono, ma quella di tutte le campagne.

    Giornale Luce: nessun libro potrà rivaleggiare con le sue pagine vertiginose, nelle quali le descrizioni sono viste e i tramonti hanno bagliori argentei sul fondo nero della notte incombente. Nessuna penna potrà destare la stessa commozione delle visioni incantate di certe danze e di certe cerimonie; nessun conferenziere ci potrà ridire la voce dei Capi meglio di come può dirla il Giornale Luce, riportando la voce e la figura, vive l’una e l’altra col gioco delle espressioni sulle fisonomie e le diverse tonalità per ogni parola pronunziata. Le parole di oggi, quando le riudremo un giorno, ci sembreranno ancora più grandi e più solenni, poichè il tempo avrà realizzato tutti i vaticini e mantenute tutte le promesse. E allora risentiremo, più profondo e più vero, quel senso di divinazione che già oggi ci turba e ci entusiasma; e ci parrà di aver vissuto in pochi mesi tutta un’epoca, più grande e più bella di tutte le epoche, un’epoca che nessuno, or son pochi anni, credeva di poter vivere... È il sogno di ieri, il sogno d’un lontano ieri, che ha trovato oggi la sua realtà.

    CHE COSA FARAI QUANDO SARAI GRANDE?

    C’è in palio un libretto della Cassa di Risparmio da assegnare a quello tra i maschietti, a quella tra le femminucce che saprà scegliere il mestiere migliore per quando sarà grande. La gara si è svolta a Parigi, durante la quindicina della «Grande Saison», l’introito è stato versato a beneficio della Radio per i ciechi e il libretto di risparmio, principio di un capitale fruttifero, a beneficio del bimbo più intelligente o più furbo. I concorrenti sono dei «vrais poulbot» equivalente di «veri scugnizzi» poichè il disegnatore Poulbot, creatore dello scugnizzo parigino, ha dato vita coi suoi disegni a figurette indimenticabili di sbarazzini intelligenti, canzonatori, furbi, capaci delle monellerie e delle generosità più impensate.

    Uno degli esaminatori è il generale Mariaux che interroga un concorrente ripulito come un signorino, con la faccia lavata e con le unghie senza lutto.

    — Che cosa farai quando sarai grande?

    Lo scugnizzo eccede in furberia. Guarda il libretto della Cassa di risparmio, poi il generale, poi pianta gli occhi negli occhi del disegnatore Poulbot e risponde con una convinzione troppo scaltra:

    — Farò il disegnatore...

    — Bravo! — esclama Poulbot. — Ma non certamente in omaggio a me.

    E, nonostante il trucco dell’adulazione, il monello non è premiato. Gli succede una ragazzina dagli occhietti innocenti, stupita della sua audacia e intimorita un poco dalla presenza del generale Mariaux.

    — E tu, tu hai pensato a quello che farai quando sarai grande?

    La piccola dà un’occhiata al Parco Monceau, come per implorare un’ispirazione, poi, arrossendo, confessa in fretta e furia:

    — Quando sarò grande, farò la balia... mi piace dare il latte ai piccini.

    Ed è a questa futura nutrice dei bimbi francesi che è stato assegnato il premio.

    Poulbot, terminata la cerimonia della premiazione, ha chiamato vicino a sè la pupattola futura nutrice: voleva sincerarsi della spontainetà della piccola.

    — Vorrei sapere perchè hai scelto la professione di balia per quando sarai grande... Ti piacciono i bambini?

    — Sì... Perchè le balie danno il latte ai bambini dei loro padroni, e poi vanno sempre al parco con la carrozzella, e poi fanno all’amore coi soldati...

    — Ma prima di dare il latte ai bimbi dei loro padroni, le balie danno il latte ai propri bambini. Bisogna aver marito, figli, prima di poter fare la balia. Lo sapevi?

    — No.

    — E ti piace ancora l’idea di fare la balia?

    — Mi riprendete il libretto di risparmio se ve la dico?

    — Non ti riprenderò nulla, ma vorrei sapere quello che pensi.

    — Ecco: preferirei far la balia senza marito... e dare il latte ai bimbi della signora.

    La piccola innocente sorride: le sembra facile veder realizzato il suo sogno e Poulbot non ha il coraggio di disilluderla, tanto più che la piccola vincitrice non soltanto vuole dare il latte ai bimbi della signora, ma vuole anche andare al parco tutti i giorni, e fare all’amore coi soldati. Sarà certamente una di quelle creature che prendono marito troppo presto.

    A poter raccogliere le risposte dei bimbi ci sarebbe da scrivere le pagine migliori di tutta una esistenza votata alla letteratura. Il bimbo di un collega assisteva, durante una visita, ai complimenti che amici e conoscenti rivolgevano a suo padre per il successo d’una commedia.

    — Bah! — disse ad un tratto il bimbo con tono di superiorità — se credete che sia difficile il mestiere del babbo! Io lo vedo tutti i giorni quando lavora... Prende tanti fogli bianchi e scrive con l’inchiostro e la penna finchè il foglio è pieno. E quando uno è pieno ne riempie un altro, poi un altro... sempre così... E poi tutti dicono che è bravo. Anch’io scrivo con la matita rossa su tanti fogli... e nessuno dice che sono bravo.

    Bambini!

    — Lasciami andare avanti, zia... — sussurra la mia figlioccia di due anni e mezzo. — Lasciami... Così appena entro nel salotto dico: «Buon giorno, cavaliere!». Poveretto, lo hanno appena fatto cavaliere e se glielo dico gli fa piacere.

    E non oso intavolar con le mie amiche mamme la conversazione sui «ragionamenti e le risposte argute» dei loro figlioli per non soffrir troppo nel dover sempre andare racimolando briciole di maternità, io che avrei voluto allevar una dozzina di figlioli. Certo è che oggi i piccoli hanno una mentalità chiara, definita, pronta, intelligente, scaltrita assai prima che l’età giustifichi quella loro maturità spirituale e intellettuale.

    Se ripenso alle mie compagne di giochi e di scuola, ai miei piccoli amici, non ritrovo tanta maturità e tanta sicurezza. Eravamo forse più pensosi, ma più bambini, più infantili, e diciamolo, più tardi nel comprendere la vita. Oggi, i bimbi hanno già l’aria di tanti esperti, e certe loro risposte ragionate fanno male come se di un tratto li vedessimo invecchiati. Se a cinque anni mi avessero chiesto che cosa avessi voluto fare quando fossi stata grande, avrei risposto: «La stiratrice!», perchè a quell’età il ferro caldo non si poteva toccare, ma non avrei mai risposto che avrei desiderato di dare il latte ai bimbi, nonostante un esercito di bambole da allevare...

    CANZONI PATRIOTTICHE

    La radio annunzia: «Selezione di canzoni patriottiche». Ho un tuffo al cuore. Alle canzoni patriottiche è legato il periodo più ansioso e più febbrile della nostra giovinezza. Il periodo della guerra. Allora, prima dell’intervento, le canzoni patriottiche erano cadute in disuso, e pareva che fosse caduto, in disuso l’istintivo spirito armonioso del popolo latino. Poi venne il 1915 e i canti patriottici furono il nostro nutrimento.

    Canzoni vecchie e nuove. Ne fiorirono ogni giorno dal cuore dei musicisti e dal cuore dei fanti nelle trincee. Da allora si sono moltiplicate, da allora hanno rappresentato il ritmo al quale abbiamo marciato e continuiamo a marciare.

    Oggi rappresentano una specie di sacrario musicale del popolo: abbiamo tutti pianto alle note del «Piave», abbiamo tutti tremato di emozione all’ «Inno a Roma», «Faccetta nera» ci ha fatto vibrare, e le «Le campane di Trieste» urlare.

    Ritornano, attraverso la radio, le emozioni di un tempo: rivediamo le strade percorse da file interminabili di soldati che partivano per la guerra, un fiore tra le labbra, un pacchetto di sigarette in tasca, la speranza del ritorno nel cuore. Gettavamo fiori dalle finestre, e coi fiori gettavamo il nostro pianto e il nostro sorriso: se fosse stato possibile avremmo gettato il nostro cuore. Partivano a migliaia, così giovani che li sentivamo morire non appena erano passati, troppo giovani, troppo coraggiosi, e troppo temerari perchè la morte non li colpisse in fronte.

    Ma partivano cantando anche se avevano la gola chiusa, gridavano «evviva» anche se sentivano che non sarebbero tornati, perchè erano giovani e perchè le canzoni patriottiche galvanizzavano il dolore.

    Canzoni patriottiche! Chi potrà mai dire quanti eroi hanno fatto le note del Piave o quelle delle canzoni bersaglieresche, o quelle delle canzoni alpine? Quanta stanchezza hanno cancellato, quanta disperazione annullata, quanto tremore fugato? Musica palpitante, che è fatta del nostro sangue e delle nostre illusioni, quando la riudiamo è come se riudissimo noi stessi di altri tempi vissuti accanto alla morte, nell’attesa della vittoria.

    Tutto ci ritorna di allora: riaffiorano sensazioni e vibrazioni, emozioni e ansie. Vivevamo in un’atmosfera di tensione e di apprensione; notizie buone e cattive ci trovavano sempre col respiro oppresso. La disperazione diveniva follia, la gioia esaltazione. Non riuscivamo a misurare e a dominare i nostri sentimenti, sconvolti da avvenimenti più grandi di noi, superiori alla nostra concezione. Tutto assumeva un aspetto particolare. I teatri riunivano persone che volevano dimenticare per poche ore le loro preoccupazioni e di quelle parlavano a ogni intervallo, e persino durante lo spettacolo, venivano propalate notizie, buone o cattive, ma impossibili a tenere celate. Ogni ora ci portava un mutamento di situazione, un maggiore sgomento o una maggiore speranza, e talvolta rimanevamo con un sorriso appena cominciato senza aver la forza di ritrovare la nostra espressione di prima. Nasceva in noi, a un tratto, il rimorso di aver sorriso forse nello stesso momento nel quale un combattente cadeva. E pensavamo che avremmo dovuto soltanto piangere, non perchè un uomo era divenuto, morendo, un eroe, ma perchè rimanevamo ad attendere senza poter combattere come gli altri, come i ragazzi, con le armi, e morire con loro.

    Allora, inattesa, sbucava una fanfara in testa a una colonna di soldati che andavano al fronte. Cantavano. Fiori cadevano dalle finestre. Donne con gli occhi troppo lucidi distribuivano sigarette. Cantavamo anche noi, affiancate ai soldati, in linea con loro, al loro passo, e per un momento pensavamo che andassimo anche noi alla guerra, un fiore tra le labbra, la baionetta al fianco. Ma le canzoni patriottiche risuonavano, cantate anche da chi gettava i fiori, e la sera, gli organetti per la strada suonavano il «Piave» e «Le campane di Trieste».

    La sera, in certi tramonti sanguigni che promettevano notti stellate con la luna chiara, talvolta, non potevamo ammettere che si potesse dormire. Non per il timore

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