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La voce del branco. Le origini
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La voce del branco. Le origini

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About this ebook

Sono trascorsi due anni dalla prima trasformazione in lupi di Mila, Ludo e Tristan.
Il tempo stringe e i tre ragazzi devono cercare le prossime vittime a cui trasferire la loro condanna, per non restare per sempre prigionieri della voce del branco.
Sotto la Sorgente, le pitture rupestri che ornano le grotte sotterranee testimoniano l’antichità della loro maledizione.
E se la soluzione venisse dal passato?

Il capitolo conclusivo della trilogia dei lupi di Gaia Guasti. 
LanguageItaliano
PublisherCamelozampa
Release dateJan 18, 2022
ISBN9791280014313
La voce del branco. Le origini

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    La voce del branco. Le origini - Gaia Guasti

    1

    Sulle pendici del Picco delle Anime, il ronzio insistente di un nugolo di mosche saliva da un crepaccio.

    Dentro la macchia, una pupilla dilatata, immobile, rifletteva un raggio di sole. Il sangue si era seccato attorno alla ferita e i miasmi della decomposizione si spandevano nell’aria ferma, stranamente tiepida.

    Era stato l’odore ad attirare Tristan sull’orlo del dirupo.

    In cima alla scarpata, il ragazzo osservava lo sciame d’insetti che tradiva la presenza di un cadavere. Preoccupato, scivolò giù lungo le pareti del crepaccio, scostò le frasche e scoprì la carogna di un cinghiale.

    Il pelo ispido si drizzava come un’armatura spezzata intorno alle viscere brulicanti di vermi.

    Ti sei nascosto per morire, pensò Tristan.

    Chiuse gli occhi per immaginare cosa fosse accaduto. Dopo essere stato ferito da un cacciatore, il cinghiale aveva probabilmente cercato una via di fuga ed era venuto a rifugiarsi in questa parte del bosco ormai chiusa al pubblico. Al limite della zona protetta, gli uomini avevano dovuto interrompere l’inseguimento e trattenere i cani. Tristan aveva quasi l’impressione di vederli mentre vociferavano e sputavano veleno sui cartelli di accesso vietato, su quelle maledette catene che sbarravano i sentieri, prima di rassegnarsi a tornare indietro, il fucile in spalla.

    Come tutti i cacciatori della zona, anche Tristan sapeva che qualcosa stava cambiando su quel versante della montagna. C’era un segreto nell’aria, che si appiccicava come resina ai tronchi degli alberi e faceva ammutolire gli animali del bosco.

    Dapprima avevano visto passare quei fuoristrada carichi di attrezzature che salivano verso il Passo della Loubière. Nuove facce erano spuntate tra gli abitanti del paese. E infine erano saltate fuori quelle inspiegabili ordinanze comunali che proibivano l’accesso al versante più scosceso del Picco, senza che nessuno conoscesse il motivo di tutti quei movimenti sospetti. Tristan fu colpito dal fetore della putrefazione in corso, accelerata dal calore del sole. Dagli ultimi giorni di ottobre, su tutta la vallata era tornato a insediarsi un caldo inconsueto, che disorientava gli anziani e modificava le loro abitudini.

    Era uno strano autunno.

    Tristan si chinò per sfiorare i denti nella bocca della bestia, che la lingua nera e gonfia manteneva aperta. Ben presto i miasmi sarebbero spariti. I tessuti sarebbero stati assorbiti dalla terra, digeriti dai vermi, assimilati dalle radici, trasformati in linfa vitale, per poi risalire all’interno dei tronchi fino alle cime degli alberi.

    Alzando lo sguardo verso le chiome dei castagni, Tristan respirò l’aria filtrata dalle foglie e ancora una volta sentì l’eterno ciclo della natura all’opera, che senza sosta modellava ogni minuscolo e recondito angolo nel bosco. Nessuna morale, nessuna emozione di fronte alla morte. Era così da sempre, fin dagli albori della vita stessa.

    Si chiese se, tra i suoi nuovi professori, ci fosse qualcuno che riuscisse a percepire questa vibrazione.

    Durante l’estate aveva dovuto insistere con i suoi genitori per ricominciare a studiare. Alla fine era riuscito a iscriversi a una formazione che conferiva un diploma in professioni agricole e lavori forestali, definizione amministrativa che avrebbe dovuto evocare il futuro, assai incerto, che cercava di costruirsi.

    Il miraggio di ottenere un impiego statale presso la Forestale era stato decisivo per convincere suo padre. In cambio, fino a quel momento Tristan si era sforzato di applicarsi. Ma quante volte aveva avuto l’impressione di saperne più dei suoi insegnanti?

    Loro conoscevano forse le leggi della biologia e della natura.

    Lui ne faceva parte.

    Era profondamente legato alla montagna, al bosco, a quel groviglio inestricabile di vita animale e vegetale. E proprio come quel cinghiale braccato dai cacciatori, era sempre là, all’ombra dei castagni, che Tristan veniva a rifugiarsi quando aveva paura del futuro.

    Da un anno, l’ansia aveva sempre lo stesso nome.

    Mila.

    Tristan l’aveva vista chiudersi nelle sue ossessioni. Mettersi in pericolo. Dimagrire fino ad avere le guance scavate. Come se l’assenza di Ludo le avesse strappato via una parte di se stessa. Aveva smesso di andare al liceo, aveva abbandonato il corso di teatro. Andava alla deriva.

    Angèle Koré non aveva potuto fare niente per evitare l’isolamento progressivo della figlia, che si era ostinata a rifiutare ogni proposta di aiuto. Tristan era l’unico che fosse riuscito a mantenere un contatto con lei.

    E la responsabilità di doverle stare vicino era diventata opprimente. Ogni volta che Mila aveva cercato invano di ritrovare la pista di Ludovic, Tristan l’aveva seguita, accompagnandola in lunghe e inutili fughe notturne, che li sfiancavano entrambi. L’aveva ascoltata rimuginare le stesse idee fisse, architettare piani senza senso. Citare continuamente quel libro. Quel maledetto libro.

    In silenzio, Tristan era stato la spugna che aveva assorbito la sua sofferenza. Ma oggi sentiva che quel fiume di angoscia, che aveva bevuto con pazienza, goccia dopo goccia, stava per riaffiorare da ogni poro. Il 15 novembre era arrivato.

    L’ora del loro appuntamento annuale si avvicinava.

    Per Mila, l’assenza di Ludo sarebbe diventata tangibile, definitiva. Insopportabile.

    E quando fosse finito il tepore anomalo di quell’ostinata estate di San Martino, la voce del branco si sarebbe risvegliata, ancora più incontrollabile dell’anno precedente. Che ne sarebbe stato di loro? Come avrebbe fatto, lui, Tristan, solo e senza aiuto, a tenere sotto controllo le ossessioni di Mila, dominare i loro istinti selvaggi, mantenere i nervi saldi e scegliere i loro eredi?

    Il brusio di un motore in lontananza lo distolse dalle sue riflessioni. Risalì lungo la scarpata e si acquattò tra le felci.

    Dopo pochi istanti un fuoristrada apparve in fondo al sentiero forestale.

    Tristan non si mosse. Nascosto nella vegetazione, osservò l’auto avvicinarsi a tutta velocità, rompendo il silenzio del Picco delle Anime con il suo rombo assordante. Fu solo quando il fuoristrada passò davanti alle felci dove si era rintanato che Tristan scorse, tra i passeggeri, una giovane donna. Non l’aveva mai vista prima, di questo era più che certo.

    La sconosciuta aveva i capelli corti, castani, e la frangia le tremava sulla fronte al ritmo degli scossoni della strada. Teneva gli occhi semichiusi. Rideva.

    E Tristan si sentì stranamente rincuorato da quella risata, di cui ignorava tutto, ma che d’un tratto gli sembrava una scoperta inedita, straordinaria, come se, a forza di calarsi in un corpo animale, avesse dimenticato che l’uomo sapeva ridere. Meraviglioso privilegio, senza alcuna utilità nel ciclo delle stagioni, e che le bestie selvatiche non avrebbero mai posseduto. E contro ogni logica, Tristan provò un improvviso slancio di gratitudine nei confronti di quella giovane donna sconosciuta, per quella stilla di umanità che gli offriva senza neanche saperlo, e che aveva il potere di ridargli confusamente fiducia nel futuro.

    Non ti conosco, pensò, ma forse un giorno ti renderò il favore.

    Per essere novembre, il livello della Sorgente dei Lupi era stranamente basso. In autunno succedeva persino che la fossa in piena tracimasse. Adesso, invece, bisognava sporgersi dal bordo per riuscire a toccare l’acqua.

    In ginocchio, Mila sfiorò la superficie gelida dello stagno.

    Per una volta, era arrivata per prima all’appuntamento. Era così dimagrita che i tratti del volto sembravano diversi, più marcati. I capelli tirati all’indietro sottolineavano la forma del cranio, gli zigomi erano diventati sporgenti. Ma lo sguardo era sempre lo stesso. Determinato e profondo come sempre.

    Mila era consapevole che tutti la consideravano mezza matta. I suoi amici al liceo, Rosalie, i suoi professori, sua madre. Erano tutti convinti che stesse andando alla deriva verso territori sconosciuti e pericolosi. Definitivamente andata per la maggior parte di quelli che la circondavano, in grande difficoltà nel migliore dei casi.

    Non capivano niente. Nessuno capiva. Neanche Tristan. Anche con lui era costretta a mantenere il segreto. Eppure sarebbe bastato che la guardassero negli occhi per vedere che non era pazza. Anzi, era proprio il contrario, non era mai stata così lucida. Cercava solo la soluzione. La chiave. E nient’altro contava.

    Non aveva dimenticato la promessa che aveva fatto a Ludovic. Avrebbe trovato un modo di controllare la loro natura selvaggia, di domare lo spirito del lupo.

    E quando la voce del branco le sarebbe di nuovo esplosa nella mente, avrebbe saputo risponderle.

    Mila ricordava il bacio leggero con cui aveva sfiorato le labbra di Ludo, prima che lui si alzasse e le voltasse le spalle. Poteva quasi rivedere la sua sagoma leggermente curva, che lei aveva seguito con lo sguardo fino a quando non l’aveva visto sparire, in fondo al sentiero. Era in quel punto che sarebbe riapparso? Sempre che non scegliesse di arrivare dall’altro lato, lungo la scarpata. Perché Mila ne era certa, tra qualche ora, qualche minuto, Ludo sarebbe tornato, e lei lo avrebbe rivisto. Per niente al mondo sarebbe mancato all’appuntamento. E questa volta lei lo avrebbe convinto a restare.

    Aveva letto e riletto le memorie del visconte de La Roche-Bannière, che Ludovic le aveva affidato prima di partire. Si era convinta che quel manoscritto contenesse un enigma, ma anche un insegnamento. Se lo avesse seguito alla lettera, sarebbe forse riuscita a dominare la sua natura selvaggia.

    La via della liberazione. Cosa nascondeva quella espressione? Chi erano le domatrici di anime? Passo dopo passo, si stava avvicinando al cuore del mistero. Le immagini che si formavano nella sua mente gliene davano la certezza. La chiave era dentro di lei, ben nascosta, da qualche parte. Doveva solo cercare ancora, andare più lontano. Percorrere la strada che conduceva alla liberazione. Senza paura, senza limiti, all’interno del suo stesso organismo. Il dolore fisico non le faceva paura. Doveva riuscirci. Perché Ludo stava per tornare da lei.

    Senza fretta si alzò, e cominciò a spogliarsi.

    La sua pelle scura sembrava scintillare sotto i raggi del sole.

    Si guardò le braccia. I tagli più recenti non si erano ancora rimarginati.

    Entrò in acqua lentamente.

    Ormai si era abituata a quei bagni gelidi, ai brividi che le risalivano lungo la schiena, alla morsa dell’acqua glaciale che la stringeva da capo a piedi e, stranamente, le bruciava quasi la pelle.

    Chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla deriva verso il centro del piccolo lago, e sentì che una vibrazione insolita risaliva dalle profondità della sorgente.

    Non dovette aspettare a lungo prima che un’immagine le balenasse nella mente. Stavolta più nitida.

    Una folta pelliccia. Il muso di un lupo, le sue pupille vitree.

    La testa della bestia si solleva e ricade all’indietro.

    Dentro l’animale, come se uscisse fuori dalle sue viscere, appare il volto di una donna.

    I tratti scavati, quasi scolpiti nella roccia.

    Le labbra strette, che nascondono qualcosa tra i denti.

    Gli occhi grigi.

    Con un gesto calmo e silenzioso, la donna scosta un lembo della pelliccia che la avvolge. Svela il suo corpo nudo. Il braccio muscoloso che si stringe al seno un piccolo essere vivente.

    Una palla di pelo che cerca con il muso, gli occhi socchiusi.

    Il cucciolo trova, esita. Poppa infine, avidamente. È un lupacchiotto, che si nutre di latte umano.

    «Milù! Che cazzo fai!»

    Mila aprì gli occhi di scatto, ingoiando inavvertitamente un sorso d’acqua gelida.

    Sulla sponda dello stagno, Tristan era sul punto di buttarsi per andare a ripescarla.

    «Aspetta» sussurrò lei per fermarlo, ancora frastornata dalle immagini che le si erano formate nella mente.

    «Esco».

    «Basta, Milù, non è più possibile. La devi smettere. Così ti becchi una polmonite. Ti sei portata un asciugamano, almeno?»

    Mila non gli rispose. Si avvicinò al bordo con un paio di bracciate che il freddo faceva sembrare maldestre.

    Tristan si tolse la felpa per asciugarla. Ma quando Mila si tirò fuori dall’acqua rabbrividendo, nuda, senza vergogna, la felpa gli cadde dalle mani.

    «Che ti è successo…» mormorò, sconvolto.

    Le gambe, la pancia, le braccia. Ovunque, il corpo magrissimo della sua amica era segnato da una serie di tagli, alcuni recenti, ancora leggermente gonfi, altri più vecchi. Le abrasioni seguivano linee precise, a volte parallele, come se fossero state fatte con le unghie.

    Anzi, con gli artigli.

    «Chi è stato?»

    «Nessuno».

    Mila lo fissò, impassibile, lo sguardo diretto.

    Tristan sentì che gli mancava il coraggio. Milù è persa, si disse per la prima volta, temendo che la voce del branco l’avesse già spinta troppo lontano.

    «Sei stata tu a ridurti in questo modo?» bisbigliò, la voce roca.

    «Non lo decido io. Succede».

    «Succede?» ripeté Tristan con un involontario accento di sarcasmo.

    Infastidita, Mila cominciò a rivestirsi senza una parola.

    «Perché ti fai del male? È per colpa di quel libro, vero?»

    «L’hai letto anche tu. Per domare lo spirito del lupo, bisogna seguire la via degli antenati…»

    «Sei impazzita?» la interruppe Tristan, improvvisamente fuori di sé. «Non crederai mica alle follie di quello squilibrato?»

    «Non abbiamo scelta, Tristan. Dobbiamo esplorare questa pista, tornare nel passato. Percorrere la via delle domatrici che conduce alla liberazione…»

    «Ma ti senti? Ti rendi conto di cosa stai dicendo? È assurdo!»

    La rabbia gli toglieva il fiato. Era così insolito per lui. Ma vedere quelle ferite sul corpo della sua cara, carissima amica d’infanzia, a cui voleva da sempre un bene infinito, lo faceva andare fuori di sé. Mila non aveva il diritto di infliggersi tutta quella sofferenza.

    «Mi sto avvicinando alla meta, lo sento».

    «Ti avvicini al manicomio, più che altro. Ora basta, Milù, davvero basta. Devi piantarla. La tua storia di domatrici non ha alcun senso. La Roche-Bannière fingeva di essere un cacciatore di lupi mannari, ma era solo un sadico, un pazzo sanguinario. Non esiste nessuna via degli antenati!»

    Mila distolse lo sguardo e osservò il sentiero. Il sole stava calando. Ludovic era in ritardo.

    «Quando Ludo arriverà…»

    «Ludo non verrà. Mettitelo in testa una volta per tutte, Milù, se ne è andato. Andato. Si troverà un erede per conto suo. E anche noi dovremmo cominciare a pensarci seriamente, prima di trasformarci di nuovo…» … in bestie feroci, pensò mentre la voce gli moriva in gola.

    D’un tratto si sentì stremato. Non aveva più la forza di insistere. Si sedette per terra, la testa tra le mani. Non serviva a niente lottare. Non avrebbe ottenuto niente. Mila gli si avvicinò.

    «Fidati di me» gli disse, piano.

    Tristan sorrise, ironico.

    Fidarsi di lei. Mila non mangiava più, aveva comportamenti autolesionistici, si tagliuzzava gambe e braccia, cercava di raggiungere un

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