Architettura è...: Pensieri dei maestri di movimento moderno: Wright, Loos, Gropius, Frank.
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Architettura è... - Federico Quattrin
MARCO VITRUVIO POLLIONE.
In questi libri ho esposto tutte le regole dell’arte. Essa nasce da due attività: la materiale e l’intellettuale.
Io mi son sforzato di scrivere non come sommo filosofo, o facendo retore, né come letterato esercitato alle raffinatezze della forma, ma soltanto come architetto non digiuno di lettere.
Avendo dunque raccolto abbondante copia di cognizioni, e per cura dei genitori, e per la dottrina dei maestri; e dilettandomi di cose letterarie e tecniche, nonché di speciali monografie: apparecchiai al mio spirito un corredo di ricchezze dei frutti delle quali questa è la somma.
Perciò volli scrivere più diligentemente che ho potuto tutto il corpo dell’architettura, ritenendo che ciò avrebbe costituito in futuro un lavoro utile a tutti.
Vorrei anch’io che l’argomento dei nostri studi permettesse, con una maggiore amplificazione, una maggiore autorità, ma ciò non è agevole come si potrebbe credere; infatti, non si scrive di architettura come di storia o di poemi epici. Ma questo non può verificarsi nei trattati di architettura, perché i vocaboli tecnici, nati per la stretta necessità dell’arte, colla loro austerità, danno oscurità al testo. Essendo quindi la materia trattata di per se stessa difficile e i suoi nomi inconsueti, accadrebbe che se i testi, anziché restringersi ed esprimersi in brevi e chiare sentenze, divagassero e si diffondessero per lungo e per largo, la mente dei lettori risulterebbe confusa per il soverchio affollamento delle parole. Pertanto esporrò brevemente il mio assunto. Tanto più che vedo la città profondamente occupata in pubblici e privati affari; anche lo scriver poco permette a chi ha poco tempo libero di apprendere in breve. Pertanto, seguendo il naturale esempio dei nostri maggiori, e ben sapendo che devo scrivere cose inusitate e oscure per molti, ho deciso di scrivere volumi brevi, onde siano più accessibili al senso del lettore. E ho stabilito l’ordine della materia in modo che chi cerca trovi le spiegazioni argomento per argomento tutte insieme in singoli volumi.
Gli architetti i quali badarono soltanto alla pratica manuale senza curare gli studi non arrivarono a conseguire un’autorità proporzionata alle loro fatiche, quelli invece che ebbero fiducia soltanto nei ragionamenti e nelle lettere appaiono aver cercato l’ombra non la cosa. Al contrario, quelli che impararono bene l’una e l’altra cosa, come fornitori di tutte le armi, più presto raggiunsero il loro proposito con autorità. Sembra perciò opportuno che colui il quale si professa architetto sia esercitato nell’una e nell’altra attività; deve avere quindi ingegno ed esperienza pratica, giacché né l’ingegno senza scuola, né la scuola senza ingegno possono fare il perfetto artefice. La filosofia poi rende l’architetto magnanimo, senza avarizia; giacché nessun’opera può esser fatta seriamente senza fedeltà e senza onestà.
Essendo pertanto quest’immensa disciplina ornata e composta di molte e svariate cognizioni, non credo che possano di colpo professarsi architetti se non coloro i quali, fin da ragazzi, salendo le scale di queste dottrine, nutritisi di lettere e di arti, siano arrivati al sommo santuario dell’architettura.
Per una retta disposizione degli edifici bisognerà prima considerare in quali regioni e sotto quale latitudine vengan costruiti. Poiché i procedimenti costruttivi variano a seconda delle varie proprietà delle regioni; e in Egitto non come in Ispagna, o nel Porto, o a Roma; giacché la terra in una parte è premuta più da vicino nel corso del sole, e nel mezzo è temperata. Ne consegue che, come la costituzione del cielo rispetto alla terra è naturalmente determinata dall’inclinazione dello zodiaco e dal corso del sole con disparate caratteristiche, così egualmente si pensa che la collocazione degli edifici debba esser regolata secondo i caratteri delle regioni e la varietà del cielo.
Verso nord gli edifici debbono essere a volta ben chiusi, e senza aperture, ma rivolti verso le parti calde. Al contrario sotto l’impeto del sole, nelle regioni meridionali, ove il calore opprime, le costruzioni devono essere aperte e rivolte a settentrione e all’aquilone. Così, il difetto di natura si deve emendar coll’arte. Ad analoghi temperamenti si deve procedere per le altre regioni a seconda della latitudine.
La simmetria nasce dalla proporzione e la proporzione è la commensurabilità di ogni singolo membro dell’opera e di tutti i membri nell’insieme dell’opera, per mezzo di una determinata unità di misura o modulo; come nel caso di un uomo ben formato rispettando le quali gli antichi pittori e statuari famosi ottennero grandi elogi. Così, il centro del corpo è naturalmente l’ombelico; infatti, se si collocasse un uomo con le mani e i piedi aperti e si mettesse il centro del compasso nell’ombelico, descrivendosi una circonferenza, si toccherebbero tangenzialmente le dita delle mani e dei piedi. Ma non basta: oltre lo schema del circolo, nel corpo si troverà anche la figura del quadrato. Infatti, se si misura dal piano di posa dei piedi al vertice del capo, e poi si trasporterà questa misura alle mani distese, si troverà una misura uguale all’altezza, come accade nel quadrato tirato a squadra.
Quando si vedrà, infine, un’opera magnificamente compiuta, saranno giustificate le spese di ogni magistratura; se appare l’abilità strutturale, si loderà il costruttore per la sua esattezza; quando però presenta decorosa bellezza di proporzioni e simmetrie, la gloria incoronerà l’architetto. Tutto ciò riesce bene se costui non rifiuterà di accettar parere e consiglio dagli operai e dai privati. Ognuno, infatti, e non soltanto gli architetti, può avere la nozione di ciò che è bene; ma tra il privato e l’architetto la differenza è questa: che il privato, se non vede l’opera compiuta, non può sapere ciò che verrà fuori; l’architetto invece ha nel cervello l’opera anche prima che sia incominciata, e ha già stabilito con precisione come sarà e per bellezza, e per l’uso, e per il decoro.
Un tempo era la perizia e la virtuosità dell’artista che conferiva dignità all’opera; ora quel che conta di più per dare autorità a un’opera è quanto costi al padrone.
I nostri vecchi stabilirono, saggiamente e utilmente, di tramandare per iscritto ai posteri le loro esperienze e conoscenze in modo che non si perdessero. Bisogna quindi avere gratitudine infinita a costoro, d’aver curato la trasmissione ai posteri, colla scrittura, dei risultati di ogni genere di scienza, anziché invidiosamente ed egoisticamente tacerne.
Io senza mutare le indicazioni e i risultati altrui, né frapponendo in mezzo il mio nome, presento questo corpo di dottrine, né intendo di lodar me biasimando gli altri. Al contrario, io ringrazio vivamente gli altri tutti perché, assommando nei secoli intelligenze e scoperte, essi ci prepararono, chi in un campo, chi nell’altro, un’abbondante messe di dati, donde noi attingendo, come da fonte acqua, e opportunatamente adattando ai nostri progetti abbiamo spianata la via alla composizione, e sulla base di sì grandi autori possiamo osare nuove teorie e nuove istituzioni.
Anche Epicuro parla similmente: «Poche cose dà la fortuna ai sapienti, ma le più grandi cose e più necessarie sono governate dai pensieri dell’animo e della mente».
Io non cercai di ricavar denaro dall’arte mia. E così mi son procacciata poca rinomanza. Spero tuttavia dopo la pubblicazione di questi volumi di essere noto anche ai posteri.¹
¹ Marco Vitruvio Pollione, Architettura (dai libri I-VII), Bur Rizzoli, Milano 2002. [Titolo originale: De Architettura, 29-23 a.C.]
FRANK LLOYD WRIGHT.
Nel 1876, durante la grande esposizione per il centenario della dichiarazione d’indipendenza a Philadelphia, mia madre trovò i Doni
di Friedrich Froebel; e Doni
erano in realtà. Collegato a questi doni era il sistema, inteso come base per il disegno e la geometria elementare che sottendono ogni nascita naturale della Forma. Le strisce di carta colorata lucida e opaca, dai colori teneri e brillanti. Ecco il giuoco geometrico in attraenti combinazioni a scacchiera di colori! I blocchetti da costruzioni in acero, dalle forme lisce e definite, il cui significato non abbandonerà più le dita: così la forma diventa sensazione. Quali forme creavano da se stesse, solo a lasciarle in libertà! Queste forme e segni elementari erano la base segreta di tutti gli effetti sperimentati da sempre nell’architettura di tutto il mondo; i lisci triangoli di cartone e i blocchetti d’acero erano importantissimi. Me li sento ancora oggi sotto le dita.⁴
Durante tutta la mia prima infanzia mi addormentavo sera dopo sera, sugli accordi delle sonate di Beethoven.⁸
Il compositore è un costruttore. Mio padre m’insegnò ad ascoltare una sinfonia come se fosse un edificio di suoni, costruire è la stessa cosa: è prendere un motivo, un tema e creare da esso un edificio che sia coerente e organico, un organismo come tutto unico.7
Di tutte le arti belle, la musica è stata quella senza la quale non avrei potuto vivere, e, in essa, trovai un parallelismo e una consonanza con l’architettura.
Acquistai presto la sensibilità al modello costruttivo, evolversi in tutto ciò che vedevo. In questo modo imparavo a vedere
; e quando vidi, volli comporre.
La figura umana mi si rivelò, verso il 1883 e anche prima, come la vera base della scala umana nell’architettura. Gli edifici che progettai e costruii a quel tempo nel Midwest si manifestarono, per mezzo di nuova scala, come specificatamente appartenenti all’uomo e al momento che l’uomo viveva sull’ondulata prateria del West. Mi dovetti accorgere ben presto che ogni pollice in altezza risultava esaltato nella prateria; mentre ogni larghezza appariva come inadeguata. Perciò, in larghezza, lunghezza, altezza e peso, questi edifici appartennero alla prateria, esattamente come gli apparteneva l’essere umano stesso, col suo potere di velocità. Il termine streamlined
, aerodinamico, nel senso che io gli diedi, nacque allora e in quei luoghi.3
Amavo istintivamente la Prateria, per la sua grande semplicità, gli alberi, i fiori, il cielo steso, formavano un contrasto affascinante. Mi resi conto che nella Prateria il più modesto rilievo sembrava alto, ogni particolare acquistava verticalità, le ampiezze si riducevano. Ebbi l’idea che i piani orizzontali negli edifici appartenessero al terreno. Cominciai a mettere in pratica quest’idea.8
Tutta la mia attività compositiva s’imperniò su un opportuno sistema modulare e proporzionale. Mi accorsi che esso avrebbe mantenuto ogni cosa alla propria scala, avrebbe assicurato un’armonica proporzionalità a tutto l’edificio, che in tal modo sarebbe divenuto - come un arazzo - un tessuto coerente di unità interdipendenti, e sempre in relazione l’una all’altra, per quanto varie.
Perciò, fin dall’inizio applicai questo sistema di tessitura
anche nella progettazione di edifici minori.
I metodi meccanici e questi inediti effetti aerodinamici, svolti sul piano orizzontale, apparvero insieme per la prima volta nell’architettura americana, espressione di metodi nuovi per raggiungere fini veri nell’edificare. L’obiettivo principale era quello di una grazia e appropriatezza dell’architettura come arte, rispetto al Tempo, al Luogo e all’Uomo moderno.3
Fu Lao-Tse, cinque secoli prima di Cristo, a dichiarare per primo, per quanto mi consta, che la realtà di una costruzione non consiste nelle quattro mura del tetto, ma nello spazio che esse racchiudono e in cui si vive.¹
Questo ideale nuovo, di modellare un ambiente confacente alla vita – un ambiente libero – è oggi il vero fattore determinante tanto della tecnologia quanto dello stile.3
Per parete non intendo il lato di una scatola, ma una delimitazione dal caldo o dalle intemperie solo quando necessario e serviva anche a portare in casa il mondo esterno e a portare fuori la parte più intima della casa.8
La natura della macchina, studiata sperimentalmente e usata integralmente nella composizione strutturale, doveva limitarsi a mero strumento, e si dimostrò un mezzo espressivo potente e nuovo. In breve tempo gli edifici manifestarono semplicità e bellezza, fresca esuberanza di contenuto. Originalità.
Mai ho tollerato che la macchina divenisse, in sé, causa efficiente: sempre la macchina al servizio dell’uomo, e mai viceversa. E, dal punto di vista dello stile, mai ho considerato la macchina fine a se stessa, né dal punto di vista urbanistico, né da quello architettonico, né da quello dello stile. La quantità non ha travolto mai la qualità.
Perciò la quantità –