Brandelli di stelle
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Book preview
Brandelli di stelle - Lisa Bortolini
Lisa Bortolini
BRANDELLI DI STELLE
Prima Edizione Ebook 2020 © R come Romance
ISBN: 9788893472104
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
img1.pngwww.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena, Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
img2.jpgLa trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Lisa Bortolini
BRANDELLI DI STELLE
Romanzo
INDICE
PROLOGO
PRIMA PARTE
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
SECONDA PARTE
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
TERZA PARTE
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
EPILOGO
L’autrice
Catalogo
Le cose sono unite da legami invisibili:
non si può cogliere un fiore senza turbare una stella.
Albert Einstein
Mi domando, disse, se le stelle sono illuminate
perché ognuno possa un giorno trovare la sua.
Antoine de Saint-Exupery (Il Piccolo Principe, Bompiani, 2014)
PROLOGO
You, lose yourself
No not for pity’s sake
There’s no real reason to be lonely
Owner of a lonely heart (Yes)
«Dai, bevi ancora una birra» disse la barista, appoggiando un boccale di birra alla spina davanti al naso della ragazza. «Questa la offre la casa.»
Era una ragazza poco più grande di lui, a occhio, dai fianchi stretti e l’espressione intelligente.
Occhi castani, capelli lunghi fino alla vita, mani piccole e curate. Si era sorbita le sue pene in silenzio per un’ora, senza ribattere granché o protestare. Gli aveva anche offerto una sigaretta, che aveva fumato con lei in piedi sulla porta, nell’umidità delle prime ore notturne.
Se l’avesse conosciuta un anno prima, avrebbe senz’altro cercato di rimorchiarla. Non si sarebbe fatto problemi a corteggiarla, a farle credere di essere speciale, a pronunciare le parole che aveva bisogno di sentirsi dire per portarla a letto e lenire la sua solitudine. E poi si sarebbe comportato da stronzo: avrebbe smesso di dedicarle frasi dolci, di guardarla come si osserva un oggetto prezioso, di accarezzarla, di telefonarle. L’avrebbe ignorata e non avrebbe più soddisfatto i suoi bisogni. Farsi scaricare era sempre stato relativamente semplice.
Ma non aveva nemmeno voglia di provarci quella sera, neanche per gioco. La ragazza era stata gentile con lui, non si meritava di essere presa in giro. Era capitato lì per caso, perché gli occhi gli si chiudevano e aveva i muscoli indolenziti. Pensava di trovare altri sbandati come lui, ingollare una birra dietro l’altra in silenzio e ripartire, non una ragazza quasi sua coetanea.
Il minimo che potesse fare per ringraziarla era rimanere un’altra mezz’ora in quel bar di periferia in cui non entrava nessun altro, senza quadri alle pareti né musica alla radio, in cui aleggiava un odore stantio di fumo e i tavolini avevano uno strato di polvere sulle gambe di metallo.
Vuoto e cupo, malinconico come il suo umore.
La ragazza si annoiava, ecco perché lo teneva lì. Ma non gliene importava nulla, anche lui era affamato di compagnia. Era da tanto che non si sfogava con qualcuno e non aveva nessuno ad aspettarlo, che differenza avrebbe fatto partire subito? Non sapeva nemmeno dove sarebbe andato quando fosse uscito da quella bettola.
Alzò il boccale in direzione della barista, e fece un primo sorso. La birra scese nella sua gola irritata dal troppo fumo, rinfrescandola. Aveva un buon sapore, meno amaro di quella a cui si era abituato nell’ultimo periodo. Quella gli rimandava un sentore ferroso, soprattutto quando la beveva a temperatura ambiente.
Si asciugò la schiuma sopra il labbro con la mano, e trattenne a fatica un rutto. Era alla quarta birra, e non appena la finì dovette svuotare la vescica.
Il bagno era fatiscente come il resto del locale, con lo specchio rotto e diverse scritte oscene sulle piastrelle. Però era decente in quanto a pulizia; non puzzava di piscio o merda come si era aspettato. Si domandò se fosse la barista stessa a doverlo lavare, mentre armeggiava con la zip dei jeans. Appoggiò una mano al muro per mantenere l’equilibrio concentrandosi a centrare il water con il fiotto di urina. Si ripulì con l’ultimo pezzo di carta igienica e tirò lo sciacquone.
Non c’era sapone per le mani, ma quando mai c’era nel bagno dei maschi? Se le lavò con l’acqua fredda e ne usò un po’ per rinfrescarsi la nuca e il viso. Scrollò la testa, e quando gli sembrò di essersi ripreso tornò al bancone.
«Quanto ti devo?» chiese alla barista, estraendo il portafoglio dalla tasca dei jeans.
«Offre la casa, te l’ho detto» rispose lei. «Quando non c’è il titolare, offro sempre un paio di birre ai bei ragazzi dal sorriso dolce e il cuore infranto.»
Oh no, che si aspettasse qualcosa in più da lui? Il suo aspetto non la ripugnava? L’ultima volta che si era guardato allo specchio si era trovato repellente, con le occhiaie e la pelle ingrigita.
Era sicuro di puzzare, tra l’altro. Erano due giorni che indossava la stessa maglietta, e poche ore prima aveva aloni di sudore sotto le ascelle e sulla schiena.
«Non posso accettare, sul serio» protestò, ignorando il complimento. «Non tornerò mai più in questo posto, e ne ho bevute quattro. Non voglio che ci rimetta tu.»
«Tranquillo. Il titolare non se ne accorge.»
«Davvero, non mi sembra giusto.»
«Facciamo così: quando tornerai, mi pagherai anche le birre di oggi. Fatta?»
«Non ci contare. Sono di passaggio.»
«Io invece scommetto che ci rivedremo.»
Scosse la testa e le rivolse un sorriso amaro. La speranza era una brutta bestia, l’aveva capito a sue spese. Non gliene era rimasta neanche una briciola.
«Non sai cosa succederà tra dieci minuti, come fai a prevedere il futuro?» chiese lei.
«Come vuoi tu.»
Alzò le spalle e rimise il portafoglio in tasca. La ringraziò, e uscì. Era ancora buio pesto. Si intravedeva solo la luce fioca di un lampione nella strada principale, attutita da una lieve coltre di nebbia. Il freddo gli fece venire la pelle d’oca sulle braccia, prima di indossare la giacca di pelle nera.
Non aveva del tutto torto, la ragazza del bar. Se avesse saputo cosa sarebbe accaduto di lì a poco, sarebbe rimasto a chiacchierare con lei bevendo un’altra birra.
O forse, avrebbe fatto meglio a non berne neanche una.
PRIMA PARTE
I sogni sono come le stelle:
le vedi brillare tutte quando le luci artificiali si spengono,
eppure stavano lì anche prima.
Eri tu a non vederle, per il troppo chiasso delle altre luci.
Alessandro D’Avenia (Bianca come il latte, rossa come il sangue, Mondadori, 2010)
1
Strade troppo strette e diritte
Per chi vuol cambiar rotta
o almeno sdraiarsi un po’…
Non è tempo per noi (Ligabue)
Come al solito, era in ritardo. Trovava sempre la scusa della sveglia non suonata o dei pantaloni spariti dalla sedia. In realtà, aveva faticato ad addormentarsi dopo aver visto I cento passi al cinema: le era rimasta nella testa la musica dei Modena City Ramblers, e nel cuore la storia di Peppino Impastato.
D’altra parte, Nicola era abituato ad aspettarla. Ultimamente aveva preso l’abitudine di passare un po’ prima per bere un caffè in compagnia di Luca, al quale la parlantina non mancava mai.
«Stella, sono le otto meno dieci e Nicola è già arrivato. Vuoi sbrigarti, per favore?» urlò Luca fra una chiacchiera e l’altra. Chissà da chi aveva preso sua sorella, il resto della famiglia era puntuale come un orologio svizzero.
«Eccomi, sto arrivando» rispose la ragazza scendendo le scale di corsa. «Non trovavo più il pullover bianco, qualcuno l’ha visto?»
I due ragazzi si guardarono cercando di non ridere. Almeno aveva cambiato la versione, al posto dei pantaloni aveva messo il pullover. Di certo non le mancava l’inventiva.
«È rimasto qualcosa per me?» domandò Stella, indicando il sacchetto dei biscotti al cioccolato mentre dava un bacio sulla guancia al fratello, ancora assonnata.
«Non c’è tempo, dobbiamo andare o faremo tardi a scuola. Dai, prendi lo zaino e monta in macchina. Ciao Luca, ci sentiamo presto. Anzi, vuoi un passaggio? Il negozio è di strada.»
Detto fatto, i tre ragazzi si trovarono nella vecchia Punto blu metallizzato di Nicola, una carretta di seconda mano comprata da suo padre giusto in tempo per evitarle la demolizione. L’estate prima l’aveva rimessa a posto col suo amico Alberto e voilà, come nuova, diceva lui.
Gli altri non la pensavano allo stesso modo, e comunque erano troppo assordati dalla musica rock a tutto volume per preoccuparsi del cattivo stato della macchina sulla quale viaggiavano.
«Nick, quante volte ti ho detto che devi abbassare la musica?»
«Solo un centinaio, tesoro.»
«E quante volte ti ho detto di non chiamarmi tesoro, specialmente in presenza d’altri?» rispose infatti Stella, con una smorfia.
«Solo un migliaio, tesoro» ripeté il ragazzo, accentuando appositamente l’ultima parola per osservare nello specchietto l’amica sbuffare. Luca rise, divertito nel vedere la sorella alterarsi per via di un nomignolo affettuoso. «Prima fermata. Ciao Luca, buon lavoro.»
«Ciao, grazie per il passaggio. Ciao piccola, buon divertimento!» concluse Luca dirigendosi verso il negozio di abbigliamento nel quale lavorava.
La macchina ripartì immediatamente a gran velocità. «Com’è che tuo fratello ti può chiamare come cazzo gli pare e io no?»
«Forse perché è mio fratello e siamo cresciuti insieme.»
«Anche noi due siamo cresciuti insieme.»
«Vero, ma è fastidioso. Perché stamattina non mi hai chiesto se mi volevo sedere davanti? E perché devo rimanere dietro anche adesso, visto che Luca è sceso?»
«Perché è tardi e siamo quasi arrivati. E poi, da lì non mi puoi mordere.»
«Ah sì? E questo cos’è?» disse Stella addentando scherzosamente il braccio del suo amico.
«Dai, sto guidando! E poi non so se ti sei vaccinata contro la rabbia.»
«Molto divertente. Ah, siamo arrivati, mi fai scendere?»
«Non mi dai neanche un bacio per salutarmi, tesoro?» continuò il ragazzo accentuando il vezzeggiativo mentre apriva la porta.
Stella incrociò le braccia e alzò le sopracciglia, guardandolo con fare serio.
«E cosa direbbe Laura se ci vedesse? Non è gelosa del suo ragazzo?»
«Dai, sa che siamo soltanto amici. Inoltre non è una storia seria, ci frequentiamo da appena due settimane. Lo sai che tengo solo a te» ammiccò Nicola.
«Sì, come no! Ci vediamo. Ciao.»
Stella si allontanò col suo fare un po’ stralunato, ma dopo neanche venti metri si girò verso Nicola, che teneva in mano il suo zainetto come un trofeo: «Il destino voleva che tu tornassi indietro e mi baciassi, vedi? Dai, vengo con te fino all’entrata.»
La ragazza sbuffò, e si mise lo zaino sulle spalle. Poi si allungò sulle punte dei piedi per dargli un bacio sulla guancia. Nicola esibì un sorriso trionfante, che la fece sbuffare nuovamente.
«Senti, se mi posso permettere…» disse con improvvisa incertezza prima di entrare, «si può sapere perché non è durata con il tuo ultimo ragazzo, come si chiamava…»
«Simone. Perché era un cretino» replicò acidamente Stella, evitando di guardare l’amico in faccia. Oh oh, brutto argomento. La ferita bruciava ancora.
«In che senso?»
«Voleva tutto subito, e io non gliel’ho dato. Contento?»
«Non è affar mio la tua vita sessuale, tesoro.»
«No infatti, ne hai abbastanza per conto tuo per interessarti anche alla mia.»
«Decisamente. Cascano tutte ai miei piedi, mi pregano di portarle a letto!» esclamò a voce alta per sdrammatizzare, facendo voltare un paio di teste in corridoio. «Quando abbiamo finito di divertirci, però, non c’è più motivo di stare insieme.»
«Perché non sei mai stato innamorato» concluse Stella, davanti alla porta della sua classe. Lo salutò con un cenno della mano e prese posto accanto all’amica Margherita.
Nicola scosse la testa mentre si dirigeva verso l’aula in fondo al corridoio, la buia quinta C.
2
Rebel rebel, you’ve torn your dress
Rebel rebel, your face is a mess
Rebel rebel (David Bowie)
Capelli lunghi e arruffati, viso stralunato, barba di un paio di giorni. Giacca con ampio cappuccio, maglietta bianca, e pantaloni mezzi infilati negli stivaletti neri militari, slacciati più della metà. Una sfilza di braccialetti di cuoio su entrambi i polsi, qualche libro sottobraccio e una mela verde in mano. Così si presentò Thomas.
L’insegnante di educazione tecnica disse che era irlandese e che si era trasferito da poco a casa della zia. Lo fece sedere accanto a Stella, nel banco vuoto che in genere usavano per le interrogazioni o per spostare qualcuno dell’ultima fila che disturbava la classe.
Mentre le ragazze si davano pacche sui gomiti e parlottavano del loro nuovo compagno di classe, Margherita inviò un bigliettino a Stella con su scritto che era fortunata ad avere come vicino di banco un ragazzo così intrigante. Sotto quella massa confusa di capelli chiari che coprivano il viso, secondo lei, si nascondevano due meravigliosi occhi azzurri color del mare. Stella ridacchiò e rispose che potevano fare a cambio di banchi, tanto Thomas non era il suo tipo.
Lo sbirciò e intravide un paio di piercing alle orecchie e un tatuaggio sul bicipite che gli usciva parzialmente dalla maglietta, quando si tolse la giacca; si stava mordicchiando le unghie.
Al cambio dell’ora gli rivolse la parola, per non sembrare antipatica.
«Ciao Thomas, sono Stella. Piacere. Da dove vieni?»
«Piacere mio. Da Dublino» rispose il ragazzo con un buffo accento, rivolgendole un sorriso disarmante.
«Perché sei finito proprio in questa scuola?»
«Non ho finito gli studi in Irlanda, e lì facevo una scuola come questa. Tu invece?»
Già, perché aveva scelto l’istituto tecnico per il turismo se tutto quello che voleva fare nella vita era disegnare? Ormai non se lo ricordava più. Forse perché i suoi genitori non avrebbero mai approvato il liceo artistico, forse perché viaggiando sarebbe entrata in contatto con artisti e avrebbe visto dal vivo i suoi quadri preferiti, esposti nelle migliori gallerie d’arte del mondo, o forse perché avrebbe potuto visitare i paesaggi che avevano ispirato pittori come van Gogh, Rembrandt e Monet. Fatto sta che ora quella scuola cominciava a piacerle. Peccato, se n’era accorta a un anno dalla fine e ormai era tardi per rimediare ai brutti voti degli anni precedenti.
«Non lo so» disse, evitando però di condividere le sue riflessioni con lui. «Non sapevo cos’altro fare. A te piace?»
«Sì, molto. Ma cambiare casa, scuola e amici non è facile.»
«Lo immagino. È per il lavoro dei tuoi genitori?»
«No, loro sono rimasti lì.»
«Ah, capito.» In realtà non le era chiaro come mai loro fossero rimasti in Irlanda e lui no, ma pensò che sarebbe stato indiscreto domandarglielo. «Come ti trovi in Italia?»
«Bene, ma mi manca Dublino. Avevo una band, lì. Conegliano è diversa, e non ho amici.»
Stella aveva paura che con queste parole Thomas cercasse in qualche modo di diventarle amico, e francamente lei non se la sentiva di stargli appiccicata, di aiutarlo a fare i compiti e di inserirlo nella vita sociale studentesca. E chissà cosa avrebbe detto Manuel se l’avesse visto! Gli avrebbe detto di tagliarsi i capelli e di togliersi gli orecchini.
Cercò di sviare chiedendogli come mai sapesse già parlare così bene l’italiano. Rispose che sua madre era bolognese e aveva conosciuto suo padre in un viaggio di lavoro in Irlanda. Conosceva fin da piccolo l’italiano, ma aveva detto ai prof di non saperlo parlare bene per essere avvantaggiato nei compiti e nelle interrogazioni.
Stella pensò che, tutto sommato, non era da disprezzare. Ma non si sarebbe mai offerta di aiutarlo a mettersi al passo con le lezioni, se non per fare un dispetto a quella stronza di Eva e dare una mano a Margherita, la sua Daisy. Aveva visto l’interesse negli occhi di entrambe le ragazze, perciò lo doveva alla sua migliore amica.
«Ti va di venire a fare i compiti da me con Margherita?» domandò, prima di potersene pentire, mentre entrava in classe il professore di storia. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte.
«Grazie, sei molto gentile.»
Thomas le dedicò un sorriso radioso, aperto, e lei si rilassò. Non avrebbe trovato il tempo per disegnare, ma avrebbe fatto ritrovare un po’ di felicità ad un’amica.
Alla fine dell’intervallo, metà della classe era in corridoio a vedere i belli della quinta C che andavano in palestra. Si alzò per andare a salutare Nicola, accolto come sempre da risatine e da battute sul suo fondoschiena.
«Ciao, tesoro. Mi sei mancata, sai? Le ore non passavano più senza di te.»
«Ci stanno guardando tutti per via del tuo tesoro
, sei contento?»
Nicola si avvicinò e sussurrò all’orecchio dell’amica: «È bello vedere Eva che mi fa gli occhi dolci da gatta in calore e che ti lancia occhiate di fuoco, non è vero?»
A Stella sfuggì un sorriso. Poi si riprese dandogli una pacca sul braccio.
«Ora devo andare. In caso ti vengo a trovare oggi pomeriggio, tesoro» le disse, a voce alta.
«Vieni stallone, datti una mossa» lo richiamò Alberto, strizzando l’occhio in direzione di Stella.
«Guarda che Nicola è solo mio…»
«Arrivo, deficiente. Allora?»
Stella lo informò che ci sarebbe stato anche il suo nuovo compagno di classe, e Nicola disse che sarebbe passato un’altra volta. Quando tornò al suo posto, Thomas le fece i complimenti.
«Sembra che il tuo ragazzo sia uno dei più ammirati della scuola.»
«È solo un caro amico che ama mettermi in imbarazzo. E comunque, abituati ai fischi e alle battutine sul tuo aspetto, è impossibile camminare nei corridoi senza che qualcuno faccia commenti. Non so com’è in Irlanda, ma qui le ragazze sono molto spigliate.»
«Me ne sono accorto, e in effetti non è piacevole. Dublino è una città dove ognuno si fa i fatti propri, e non vengo notato molto dalle ragazze.»
Strano, pensò Stella. I capelli biondi, gli occhi azzurri e l’aria da cattivo ragazzo attiravano da morire le ragazze. Lei non si sarebbe mai sognata di abbordare qualcuno che le piaceva, ma le sue compagne dicevano che nel 2000 era lecito fare il primo passo. Quella fuori moda era lei.
3
And if your glass heart should crack
And for a second you turn back
Oh no, be strong…
Walk