Un tempo piccolo: Continuare a essere famiglia con l'Alzheimer precoce
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Book preview
Un tempo piccolo - Serenella Antoniazzi
Dedica
A Mattia, Andrea, Alberto, Sara e Silvia
perché non smettano mai di lottare per ciò che è giusto
PREFAZIONE
ANNALISA MONFREDA direttrice di Donna Moderna
Ho ripensato a Sherazade, che salva la propria vita raccontando storie, una notte dopo l’altra. Michela assomiglia a lei, pur vestendo i panni di una donna contemporanea, madre di due figli, sbattuta tra lavoro e famiglia, del tutto dimentica di sé stessa.
Nelle sale d’attesa d’ospedale, sul divano rosso di casa, ovunque si ritrovi, con suo marito accanto e un po’ di tempo a disposizione, Michela gli racconta una storia. Sempre la stessa, a dir la verità. È la storia di loro due, prima e dopo essersi incontrati. Lui ne è protagonista, ma al tempo stesso ignaro spettatore. Non si annoia mai di ascoltarla perché, a causa di un brutto incantesimo, il suo cervello è come una spiaggia battuta dalla marea. Tutto ciò che vi viene scritto, l’onda successiva lo cancella. Quel brutto incantesimo è l’Alzheimer, che ha colpito Paolo a poco più di quarant’anni.
La forza di questa narrazione, ciò che mi ha tenuta incollata alle pagine, è che non si tratta di una favola. Raccontare, per Michela, non è mentire, consolarsi, immaginare. Ma capire. E così dà voce a tutto. Alla rabbia, all’acidità, al rimpianto. Non risparmia niente di ciò che una malattia porta in una famiglia. Scambierei volentieri la demenza con il cancro
, urla a un certo punto. Ma è vero amore questa relazione che oggi è diventata una prigione, una missione?
, si chiede a un tratto. La verità non risparmia neanche gli anni prima della malattia. Un matrimonio che è un eterno compromesso, la continua attesa di una felicità che quasi mai è lì, presente. Eppure Michela resta, in nome di qualcosa che non sa se chiamare amore.
Ogni giorno, lei racconta, la malattia di lui cancella.
Come Sherazade, cerca di salvare sé stessa. Perché se Paolo sparisce, anche gli anni e il senso di Michela spariscono con lui. Ma cerca anche di salvare lui. Il racconto, così come le piccole azioni che gli lascia compiere, a costo di ore e fatica, hanno l’effetto di rallentare la marea. Di tenere vivo quel cervello che si sta spegnendo.
Soprattutto, Michela racconta per aiutare tutti quelli come Paolo, che avranno la sfortuna di incontrare questa malattia in un’età precoce. Le terapie, le scoperte scientifiche, i piccoli progressi, le battaglie quotidiane per un’ora in più di aiuto. Solo una narrazione come questa, imbevuta di verità e di emozione, riesce a farci sentire l’urgenza di fare ricerca in questo campo della medicina e l’importanza di costruire reti di sostegno per le famiglie colpite da questa malattia.
Sì, salverà tante vite questo racconto, se arriverà lontano.
PREMESSA
SERENELLA ANTONIAZZI
Il racconto di Michela e Paolo è nato quasi per caso. La prima volta che ho conosciuto Michela eravamo sulla mia pagina Facebook; anche se abitiamo a pochi chilometri di distanza, non la conoscevo di persona e non conoscevo la sua storia.
Quando abbiamo iniziato a scriverci ho saputo qualcosa di più sulla battaglia che stava mettendo in campo e su quanto fosse necessaria. Dal canto mio sapevo bene che, in questi casi, la solitudine del combattente la fa da padrona. Quando poi ci siamo incontrate insieme a Paolo e successivamente riviste a casa loro, mi hanno chiesto di scrivere la loro storia con la speranza di riuscire a farla diventare un libro.
Non è stato facile organizzarci perché, già da metà febbraio, gli effetti del coronavirus spaventavano e così abbiamo continuato con il metodo adottato fin da subito: registrare a step la loro storia.
Nei momenti di lucidità anche Paolo ha contribuito vivamente con i suoi interventi, rispondendo agli stimoli e ai suggerimenti di Michela. La sua presenza era sottile, fatta di un umorismo delicato, una voce flebile e calma, che io sapevo accompagnata da un sorriso struggente e uno sguardo velato.
Le registrazioni che facevano le ascoltavo nei lunghi viaggi in macchina o in treno, finché è stato possibile viaggiare per motivi di lavoro, oppure nel soggiorno di casa quando è diventato il mio ufficio e la sera, prima di andare a dormire. Ascoltavo e riascoltavo. I racconti registrati erano un salto fra presente, futuro e passato, che ho ricostruito sulla carta grazie alle loro voci. Mi è sembrato giusto dare dignità alle loro vite non solo durante la malattia, ma anche prima che questa arrivasse, per sconvolgerle per sempre. Per questo motivo il libro si divide in due parti, prima e dopo l’insorgenza della malattia.
La voce narrante è quella di Michela, è lei a tessere le fila delle storie; è lei la custode principale delle memorie e la combattente del presente. Grazie ai suoi pensieri, timori, desideri per il futuro, fatiche quotidiane e, soprattutto, alla volontà di svelarli con coraggio, è stato possibile realizzare questo libro, che si fa contenitore della comunicazione tra loro. Il tu privilegiato, l’interlocutore definitivo, quello che Michela ha perso nella realtà ma che, attraverso la narrazione, le viene restituito, è infatti Paolo, con la speranza che non perda mai la memoria delle loro esistenze.
Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.
( La morte non è niente, Sant’Agostino)
INTRODUZIONE
DOTT.SSA ANNACHIARA CAGNIN NEUROLOGO PRESSO AZIENDA OSPEDALE UNIVERSITÀ DI PADOVA
Quella che leggerete in questo libro è la storia di Paolo. La vita di prima, quella di uomo giovane e padrone del suo piccolo grande mondo nella campagna veneta. Il lavoro, gli amori, il perfetto incastro di gioie e dolori, scommesse vinte e perse, progetti riusciti e naufragati. Poi c’è la vita dopo. Quella che inizia con qualche momento di irritazione, con un umore che diventa ballerino e ci si arrabbia per un niente. Gli appuntamenti che si dimenticano, l’amministrazione meno precisa al lavoro, il far finta di niente. Anche se proprio niente non è, se ripensa a come era suo padre, alle stranezze e alla sua fine dolorosa. Il dopo è fatto anche di visite e accertamenti, tanti per capire cosa non va a poco più di 40 anni. Anche tra i medici c’è una forma di negazione: Ad un giovane no, non può essere… Cerchiamo altro.
Invece, quando è entrato in ambulatorio la prima volta, gli occhi neri e lucidi, il sorriso tenero e amaro, un po’ spaventato, dicevano tutto. Era già rassegnato al destino, al di là della diagnosi che non arrivava. Gli occhi testimoniavano che lo sapeva già, intimamente. E poi la diagnosi, le terapie, gli alti e bassi di umore.
Ma questa è anche la storia di Michela, la donna che c’era fin da quando Paolo portava i capelli a coda di cavallo e la seduceva con occhi liquidi. è anche e soprattutto la storia della loro vita insieme, fatta di case vissute e cambiate, attese la sera per cenare assieme, qualche vacanza e poi i figli. Michela c’era alla prima come alla duecentesima visita, con il suo rossetto e i capelli in ordine a darti quella mano che ti ha sempre condotto, sostenuto, guidato, rincuorato. Finché c’è Michela sto bene
. Michela la guerriera