Un tuffo nel relitto
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About this ebook
Boss è una cacciatrice di tesori spaziali, sempre alla ricerca di vecchi relitti di astronavi, da cui ricavare manufatti e materiali preziosi, o anche informazioni e tecnologie che possono rivelarsi di inestimabile valore.
E la scoperta di un’antichissima, immensa astronave, misteriosa e proveniente da un lontano passato, da una flotta di una guerra remota, dai tempi in cui l’umanità ancora non aveva scoperto il viaggio FTL, potrebbe davvero cambiare la vita di Boss e del suo equipaggio.
Ma c’è sempre un prezzo da pagare, e forse alcuni segreti sono troppo pericolosi e dovrebbero rimanere tali in eterno…
Nata il 4 giugno del 1960 a Oneonta (New York, USA), Kristine kathryn rusch ha raggiunto la notorietà come editor di Magazine of Fantasy & Science Fiction, che ha guidato per sei anni, dal 1991 al 1997, vincendo anche un premio Hugo come miglior editor professionale. In seguito ha abbandonato l’editing per concentrarsi sulla produzione narrativa, diventando in breve una delle scrittrici di punta del mercato americano. Dotata di grandi doti narrative, la Rusch si è dimostrata autrice competente e prolifica in numerosi campi, passando con disinvoltura dalla fantascienza hard al romance, fino ai romanzi gialli. Nel campo prettamente fantascientifico si è fatta notare per i suoi magnifici racconti e romanzi brevi, come Millennium Babies (Premio Hugo 2001 come miglior novelette), Recovering Apollo 8 (Il recupero dell’Apollo 8, Odissea Delos Books), The Retrieval Artist (2002, vincitore del premio Endeavour; L’artista dei recuperi, Delos Digital), e Echea, del 1999, finalista a tutti i maggiori premi del settore, dallo Hugo al Nebula, allo Sturgeon e al Locus. È altresì assai celebre il suo ciclo delle Immersioni e della Tecnologia dell’Occultamento (Stealth), di cui fa parte questo Un tuffo nel relitto (Diving into the Wreck).
Kristine Kathryn Rusch
New York Times bestselling author Kristine Kathryn Rusch writes in almost every genre. Generally, she uses her real name (Rusch) for most of her writing. She publishes bestselling science fiction and fantasy, award-winning mysteries, acclaimed mainstream fiction, controversial nonfiction, and the occasional romance. Her novels have made bestseller lists around the world and her short fiction has appeared in eighteen best of the year collections. She has won more than twenty-five awards for her fiction, including the Hugo, Le Prix Imaginales, the Asimov's Readers Choice award, and the Ellery Queen Mystery Magazine Readers Choice Award.
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Un tuffo nel relitto - Kristine Kathryn Rusch
1
Ci avviciniamo al relitto in modalità furtiva: luci e sistemi di comunicazione spenti, sensori in allerta per qualsiasi altra nave operativa nelle vicinanze. Sono da sola nella cabina di pilotaggio della Questione Privata. Solo io conosco le coordinate esatte.
Il resto della squadra si trova in sala ricreativa, il loro equipaggiamento è nella stiva. Ho perquisito personalmente ognuno di loro prima ancora di farli mettere seduti. Nessuno, davvero nessuno sa dove si trovi il relitto tranne me. Questo era l’accordo.
O lo rispettano o non se ne fa niente.
Siamo a sei giorni di distanza dalla Stazione Longbow, ma ne abbiamo impiegati dieci per arrivare qui. Un altro depistaggio, anche se avevo messo in conto di impiegare solo un paio di giorni per attraversare la fascia di asteroidi intorno a Beta Sei. Ho finito col mettercene tre, nel tentativo di togliermi dai piedi un parassita che ci seguiva sperando di scoprire dove andiamo a immergerci.
Mirava al bottino.
Io no. Dubito ci sia attrezzatura spaziale di un qualche valore in un relitto vecchio quanto sembra essere questo. Ma rimane sono il valore storico, e la curiosità, e la cara vecchia soddisfazione di avercela fatta. Ho scelto i membri della squadra tenendo presenti queste cose.
La squadra: siamo in sei, tutti con esperienza di operazioni nello spazio profondo. Ho già lavorato con due di loro, Turtle e Squishy, entrambe donne tutte pelle e ossa cresciute nello spazio e dotate di una sensibilità per la storia che manca a molti di noi qua fuori. Abbiamo fatto un sacco di immersioni insieme in equipaggi composti da sole donne, quando eravamo agli inizi e credevamo ancora nell’importanza della solidarietà femminile. Non abbiamo impiegato molto a cambiare idea.
Karl ha più referenze di Dio in persona; con un simile curriculum non l’avrei fatto salire a bordo ma avevamo bisogno di lui: non solo per la varietà di immersioni a cui ha partecipato, ma per le sue tecniche di sopravvivenza. So che ha salvato almeno due spedizioni di immersione che si erano messe male.
Gli ultimi due, Jypé e Junior, sono padre e figlio ma sembrano più le due metà della stessa persona. Non ho mai fatto immersioni in relitti insieme a loro, anche se li ho portati fuori un paio di volte prima di parlargli di questo viaggio. Si muovono in sincrono, pensano in sincrono e sono più ricchi di tutti noi messi assieme.
Certo, sono ricreazionisti, ma del tipo gestibile: il loro hobby è la storia e, almeno stando a tutto quello che sono riuscita a trovare su di loro, vogliono recuperare la conoscenza del passato dell’umanità, non arricchirsi grazie a essa.
Io i soldi li voglio fare, ma a modo mio, e solo quanto basta per sopravvivere fino alla prossima spedizione nello spazio profondo. Non diventerò ricca qua fuori, ma non posso farne a meno.
La procedura prende il nome dai rischi: ai vecchi tempi le immersioni dentro relitti di astronavi venivano chiamate immersioni spaziali per differenziarle dalle analoghe operazioni effettuate negli oceani dei pianeti.
Qui non abbiamo a che fare con l’acqua, non dobbiamo vedercela con il suo peso o le sue peculiari caratteristiche, specie a grandissima profondità. Abbiamo altro di cui preoccuparci: niente gravità, niente ossigeno, freddo estremo.
E avidità.
Il problema peggiore per quanto mi riguarda è di essere nata a terra, una cosa che non confesso tanto spesso. Ho trascorso i primi quarant’anni della mia vita a cercare di dimenticare che i miei piedi un tempo erano incollati alla superficie di un pianeta da gravità vera. Anche il mio esordio nello spazio è avvenuto tardi: avevo quindici anni, ero già legata a terra. I miei primi istruttori mi dissero che non avrei mai disimparato il modo di pensare che l’atmosfera ti instilla nel corpo.
Per lo più avevano ragione; la terra mi contamina, mi sottrae quel vantaggio che una persona cresciuta nello spazio sviluppa naturalmente. Io devo scegliere coscientemente di addentrarmi nel vuoto buio e profondo; per chi è cresciuto nello spazio è come bere il latte dal seno della madre. Ma se faccio un confronto tra me e chi è vincolato a terra, sono una spaziale di prim’ordine, una che capisce il vuoto come la maggior parte delle persone comprende l’aria.
Secondo i veterani, tutti cresciuti nello spazio, il mio interesse per il passato scaturisce proprio dall’essere legata a un mondo. Gli spaziali voltano pagina, si lasciano tutto alle spalle e dimenticano. I nati a terra sono sempre in cerca di legami, convinti che capiranno meglio cosa gli sta davanti solo avendo ben chiaro ciò che è stato.
Non credo sia così semplice. Ho conosciuto spaziali con il pallino della storia, così come ho incontrato nati a terra sempre rivolti al futuro.
A me importa cosa si fa con la conoscenza acquisita e io, io trasformo sempre la mia in oro.
2
Parlavamo del relitto.
Ne sono venuta a conoscenza quasi un anno fa, di ritorno da una fregatura di missione in cui mi avevano coinvolto con promesse di gloria. Stavo pilotando manualmente la mia nave monoposto, compiendo nel frattempo una mappatura della zona per vedere di racimolare qualche soldo extra. Dicono che non ci siano più luoghi da scoprire in questa parte della nostra galassia, ma solo posti dimenticati, e penso sia vero.
Un solo battito di palpebre in più sarebbe bastato a farmi mancare il relitto. Scorsi il debole segnale di energia su un sensore che tenevo puntato sullo spazio profondo intorno a me. Fu un lampo, il sensore lampeggiò una volta e basta. Ma ero abbastanza esperta da sapere che là fuori c’era qualcosa. La traccia energetica era troppo distante, troppo debole, non poteva essere altro che qualcosa alla deriva.
Uscii dall’FTL più in fretta che potei, azzerando nel contempo anche la velocità subluce. Furono necessari altri due salti e mezza giornata di ricerche prima che riuscissi a ritrovare il segnale e a quel punto adeguai velocità e direzione alle sue.
Avevo ragione. Era una nave. Una massa nera nel buio dello spazio.
La mia nave monoposto è modificata. Non ho strumentazione automatica a bordo, il che può renderla pericolosa (la ragione per cui le navi monoposto sono completamente automatizzate è garantire l’incolumità del loro unico occupante), ma questo la rende anche completamente mia. Ho modificato i motori, i computer e i dispositivi di comunicazione, in modo che niente accada senza il mio permesso.
La nave non è nemmeno connessa a me, anche se è programmata per tenere sotto controllo frequenza cardiaca, respirazione e movimenti oculari della sottoscritta. Se il mio battito o la respirazione rallentano oppure gli occhi si chiudono per più di un minuto, i controlli automatici prendono possesso dell’intera nave. La perdita di coscienza non rappresenta un pericolo come nel caso in cui i comandi della nave siano al cento per cento manuali, ma il fatto di essere cosciente a sua volta non comporta rischi. Nessuno può monitorare i miei pensieri o i miei movimenti semplicemente accedendo al computer della nave.
Cosa che si è rivelata una benedizione perché adesso nei sistemi di bordo non c’è traccia di quello che ho trovato. Risulta solo che mi sono fermata.
Il mio computer interno mi confermò tramite la connessione oculare quello che il mio cervello aveva già capito. Il relitto era stato abbandonato molto tempo fa. La debole traccia energetica non era altro che corrente elettrica residua all’interno della nave.
Il computer ipotizzò che il relitto provenisse dalla