Astana e i 7 mari
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Quanto dista Astana dal Mediterraneo? Perché è così importante prendere nota dei fiumi carsici che poi, senza preavviso, sfociano nel mare aperto e determinano conseguenze tangibili? Perché storie, tracce, movimenti e influenze di vecchi imperi e nuove potenze economiche si irradiano da quelle terre e influenzano anche il nostro Occidente. Che si tratti di nuovi zar, raïs o canuti cattolici, predicatori, sultani, imam, leader di milizie filoislamiste, comandanti militari o principi regnanti tratteggerò le leadership presenti e i loro dilemmi geopolitici e strategici.
Il Mediterraneo è un mare che metaforicamente contiene tutti gli altri, un tesoro blu che irradia il suo ascendente verso le vie fluviali – nervatura del Vecchio Continente che si spinge nelle terre mitteleuropee e balcaniche – e gli snodi marittimi più nascosti, e trae linfa dai canali e dagli stretti. Una guida per raccontare una fiaba piratesca, un po’ geopolitica, un po’ storica, economica e sociale. I 7 mari e, forse, anche qualcuno in più.
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Book preview
Astana e i 7 mari - Antonella De Biasi
Capitolo 1. Mari agitati e prospettive (51°10’N 71°26’E)
Astana e la tragedia siriana
L’opportunità di Astana
Nel 2016, qualche giorno prima di Natale, un incontro tra ufficiali russi, turchi e iraniani ad Ankara, al quale quelli statunitensi non erano stati invitati, ha sancito il cessate il fuoco in Siria e l’evacuazione dei combattenti da Aleppo. Questo passaggio si è consumato a seguito dei negoziati avvenuti fra russi, turchi e ribelli all’inizio del mese.
È in questo momentum della guerra civile che il processo di Astana prende forma: il negoziato per la pace a trazione orientale per risolvere la crisi siriana messo in atto dalle diplomazie di Russia, Turchia e Iran si prospetta complementare a quello ufficiale di Ginevra. A metà dicembre Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdoğan si accordarono sulla scelta di Astana, l’attuale Nur-Sultan, capitale del Kazakistan, come nuova sede per condurre i negoziati di pace sulla Siria.
L’iniziativa proviene da un appello della Turchia alla Russia per evacuare i civili da Aleppo, dopo quattro mesi di assedio delle truppe governative.
La caduta della metropoli del Nord del paese mediorientale – devastata e sfiancata dalla prolungata battaglia della guerra civile e soprannominata per questo la Stalingrado di Siria
– ha orientato definitivamente il corso della guerra del conflitto a favore di Bashar al-Assad e ha cambiato il ruolo di Mosca nell’intera regione. La parte orientale e i quartieri popolari di Aleppo si trovavano sin dal luglio 2012 sotto il controllo dei ribelli siriani. Come spiega Gilles Kepel nel suo documentato saggio Uscire dal caos. Le crisi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente (Raffaello Cortina, 2019), la caduta di Aleppo costituisce il coronamento della strategia di Mosca in territorio siriano attuata in soccorso del suo alleato damasceno Assad.
Il conflitto è stato condotto con fare metodico da Mosca da quando gli occidentali non hanno saputo accordarsi nell’agosto del 2013 con bombardamenti punitivi contro l’oftalmologo di Damasco Assad, dopo l’impiego del gas sarin sulla Ghuta. L’Occidente, americani in testa, ha così dovuto avallare il piano del Cremlino di distruggere l’arsenale chimico siriano sotto l’egida dell’Onu con la collaborazione del regime. Da questa iniziativa in poi Mosca si è continuamente rafforzata.
Ma la riconquista della città che ha dato il nome al pregiato sapone, distante pochi chilometri dal confine con la Turchia, è stata facilitata oltre che dall’impiego delle forze straniere – le milizie sciite, in primis Hezbollah e le Guardie della Rivoluzione dall’Iran – e dai bombardamenti di matrice russa sui quartieri insorti, anche dal via libera del presidente turco Erdoğan che, come sempre motivato dalla sua scaltrezza, ha smesso di approvvigionare gli assediati e ha compiuto l’ennesimo cambio di rotta negli affari levantini.
I 10 anni di procura alla guerra civile
Dopo dieci anni di guerra civile in Siria nulla di buono sembra prevalere tra violenza, odio settario, distruzione e macerie. Dieci anni sono passati da quella scritta sui muri di una scuola a Daraa: È arrivato il tuo turno, dottore, riferita al presidente Assad. La Siria, per questi dieci anni, è stata al centro geopolitico del mondo, landa di guerre per procura e tradimenti, precipizio e pianoro insieme del nuovo ordine mondiale.
La Siria di Obama e dei francesi, la Siria di Trump e degli iraniani, la Siria della Turchia e dei jihadisti, la Siria dell’orgoglio e della tragedia curda, la Siria dello Stato islamico, la Siria di Biden (forse), la Siria degli sciiti e soprattutto la Siria di Putin. Così Assad ha potuto chiarire oltre ogni dubbio in questi lunghi anni che era disposto a tutto per mantenere il potere. Anthony Samrani sottolinea in un suo editoriale sul libanese L’Orient-Le Jour
che era evidente come «il seguito della storia sarebbe stato brutale e radicale. Come poteva non esserlo dopo decenni di repressione nel regno del silenzio e della paura? La rivoluzione non aveva altra scelta che prendere le