Cechov nella mia vita
By Lidija A. Avilova and Dario Pontuale
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Il risultato è il più classico romanzo
sentimentale russo, con tutto l’armamentario che conosciamo e
amiamo: i bigliettini mandati attraverso la servitù, le vetture di piazza, i balli in maschera, i fiumi di tè, gli struggimenti. Eppure non c’è alcun sentimentalismo e la voce di Avilova è limpida e vivace, piacevole da ascoltare, attentissima a guardarsi dentro e a giudicare gli uomini che la circondano, ironica. La voce di una donna moderna.
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Cechov nella mia vita - Lidija A. Avilova
Tavola dei Contenuti (TOC)
i dubbi che peso non hanno di Dario Pontuale
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note
contrappunti / saggi
© 2021 Miraggi Edizioni, Torino
www.miraggiedizioni.it
Titolo originale: А.П. Чехов в моей жизни
In copertina: Čechov nel 1889, fotografia di V. Čechovskij
Progetto grafico Miraggi
Finito di stampare a Borgoricco (PD) nel mese di novembre
da Logo srl per conto di Miraggi Edizioni
su Carta da Edizioni Avorio – Book Cream 80 gr
Prima edizione digitale: novembre 2021
isbn 978-88-3386-202-6
lidija alekseevna avilova
Čechov nella mia vita
Traduzione dal russo di Barbara Delfino
Prefazione di Dario Pontuale
i dubbi che peso non hanno di Dario Pontuale
Un messaggio di poche parole può deviare il corso degli eventi, perfino intere esistenze; succede a Lidija Alekseevna Avilova il 24 gennaio 1889, quando la sorella Nadja le fa recapitare un biglietto inaspettato. Il cognato, Sergej Nikolaevič, è direttore della «Gazzetta di Pietroburgo», periodico sul quale firma il più stimato autore di Russia: Anton Pavlovič Čechov, che proprio quella sera sarà loro gradito ospite. Lidija ha venticinque anni, un figlioletto di nome Levuška ed è sposata con Miša, impiegato al ministero. Anton, invece, di anni ne conta ventinove, celibe drammaturgo con oltre due dozzine di pubblicazioni tra racconti e lavori teatrali. La giovane donna adora l’arte dell’intrigante scrittore di Taganrog, ne divora ogni opera e si ritrova tra le dita un invito improrogabile: «Vieni subito immancabilmente, c’è da noi Čechov». Prima tentenna, poi coglie l’occasione, si veste, annoda le folte trecce e attraversa il buio della città. L’incontro in casa Nikolaevič rispetta in pieno il gusto dell’epoca: l’atmosfera garbata, l’eloquio sobrio, i colletti inamidati, gli abiti eleganti, il mobilio raffinato, la tavola riccamente imbandita. Nulla manca per un perfetto appuntamento. Čechov si trova a Pietroburgo per seguire la rappresentazione di Ivanov, è scontento della messa in scena, talmente adirato da farsi sanguinare la gola, ma l’incontro con Lidija lo ammansisce. Parlottano complici, sorridono in disparte. Lui la invita alla prima in programma al teatro Aleksandrinskij, lei replica timidamente che sarà arduo procurarsi un biglietto a pochi giorni dalla data. Il drammaturgo promette di riservarle un posto, poi uno sguardo colmo di bellezza e attrazione scrolla le anime. Lidija, allora, prende coraggio e confessa l’amore per la scrittura, euforica confida di custodire dei manoscritti nel cassetto; Anton si propone di leggerli dedicandogli massima attenzione. La serata volge al termine, le chiacchiere si consumano assieme alle candele, i volti si congedano, le carrozze ripartono. L’aspirante scrittrice rincasa sospinta dal soave incanto degli istanti vissuti, ma varcata la soglia si scontra con l’asprezza del marito pronto a mortificarla e a ricondurla ai doveri famigliari.
Quanto rappresentato somiglia alle numerose pagine della letteratura russa, agli atti delle tante pièce ottocentesche; rispecchiandone dinamiche e suggestioni, invece è vita reale. È, più esattamente, il contenuto del primo capitolo di Čechov nella mia vita, un’autobiografia vergata dalla stessa Lidija Alekseevna Avilova, completata nel 1939 e pubblicata postuma, quattro anni dopo la sua scomparsa. In Italia fu stampata nel 1960 da Lerici Editori, settimo volume della collana «Narratori», diretta da Romano Bilenchi e Mario Luzi. Un volume che originariamente doveva intitolarsi Romanzo della mia vita e destinato a provocare prolungati dibattiti critici attorno all’effettiva relazione sentimentale tra i due.
Avilova nasce nel 1864 nel villaggio di Klekotki, all’interno del governatorato di Tula, sulle rive dell’Upa, quasi duecento chilometri a sud di Mosca. Diplomatasi, lavora come maestra, dopo le nozze trasloca prima a Mosca, in seguito a Pietroburgo, dove la professione del cognato la mette in contatto con Tolstoj, Gorkij, Bunin e, ovviamente, Čechov. Nel 1890 debutta con il racconto Due bellezze sulla rivista diretta dallo scrittore Aleksandr Šeller, tra i suoi primi estimatori. Negli anni a venire trova regolare pubblicazione su noti periodici dell’epoca, stampando la prima raccolta intitolata L’uomo fortunato e altre storie (1896). Molte delle storie traggono caratterizzazione dagli strati sociali più umili, i personaggi maggiormente ricorrenti sono contadini, immigrati e diseredati, che si ritroveranno anche nei romanzi Eredi (1898) e L’inganno (1901). Tornata a Mosca si dedica con successo a testi dal carattere pedagogico, orientati alla psicologia infantile: Potere e altre storie (1906) e Il primo dolore e altre storie (1913), L’immagine umana (1914). Ammessa nella Società degli Amanti della Letteratura Russa e nominata membro dell’Unione Panrussa, nel 1922 si trasferisce in Cecoslovacchia a conforto della figlia malata. In una lettera di quel periodo appunta tutta la nostalgia per l’amata e lontana terra natia: «Dove non c’è la Russia, non c’è sé», così rimpatria due anni dopo.
La conoscenza tra Avilova e Čechov è confermata da un fitto carteggio tuttora custodito all’archivio Centrale dell’Unione degli Scrittori; un epistolario decennale costellato di reciproci suggerimenti letterari e consigli stilistici, non privo di critiche, rimproveri, screzi. Un rapporto fonte di nutrite interpretazioni, complesso da qualificare. Alcuni studiosi sostengono che la vicenda narrata nel čechoviano Dell’amore (1898) abbia corrispondenze con la realtà e che l’autore confidasse nel divorzio di Lidija; contrariamente altri critici affermano sia stata Avilova a subire il fascino, non unicamente letterario, di Anton. «I biografi devono fare i conti seriamente con i ricordi della Avilova. […] Lidija racconta del suo amore, quasi sconosciuto in questo paese, per Anton Čechov» annota il premio Nobel Ivan Alekseevič Bunin, buon amico di entrambi e autore di A proposito di Čechov (1955)*.
Nonostante i dubbi, le dispute, le sfumature, permane un innegabile legame, un rapporto cadenzato da incontri e slanci, da una connaturale intesa spirituale, umanamente generoso che si riverbera nelle lettere, tanto quanto nelle memorie. Diciassette capitoli in cui si respira una sfuggente riservatezza, una volubile confidenza, un gioco di calibrata reticenza, sempre accompagnato da un sofisticato senso di indefinitezza. Un’autobiografia narrata con tatto in forma di romanzo, una cronaca nella quale Avilova ricorda il passato con fedele affetto; senza incappare nella lasciva allusione, o peggio nel malizioso depistaggio. Manca la vanitosa intenzione di rivelare dettagli pruriginosi oppure svelare scandali, semmai si assapora il desiderio di rievocare un tempo non sbiadito, la voglia di un supplemento di vitalità. Probabilmente alcuni episodi possono colorirsi di eccessivo sentimentalismo, ma non si può considerarla una colpa, nemmeno una furbizia. Tutto occorre a illustrare una dedizione all’intimità, una sincera stima così come sostenuto da Bilenchi e Luzi:
Per quanto possa avere alterato qualche tratto, per quanto possa mostrarsi compiaciuta dall’idealizzazione che Čechov aveva fatto di lei, non può essere stata tanto infedele agli insegnamenti del grande amico da aver falsato in queste pagine i caratteri essenziali di quella storia. E del resto nel racconto vive un personaggio Čechov al naturale, tanto conforme all’uomo che conosciamo dalle lettere e tanto simile allo scrittore, con tutte le movenze che gli presterebbe chiunque abbia confidenza con la sua umanità e la sua opera.*
Absit iniuria verbis, avrebbero chiosato i latini, questo è opportuno rammentare attraversando il volume e pure se la carnalità, il sesso, l’adulterio si sono realmente consumati, risulta irrilevante; conta la celebrazione dell’empatia, non altro. La pittrice messicana Frida Kahlo scrisse che «fummo quello che non si racconta né si ammette, ma che mai si dimentica», un concetto ben rapportabile alle emozioni riportate da Avilova.
Anton Pavlovič Čechov nel maggio del 1901 sposerà a Mosca l’attrice Olga Knipper, mentre Lidija Alekseevna Avilova mai abbandonerà il burocrate Miša, i tre figli e il tetto coniugale. Anton Pavlovič morirà il 2 luglio del 1904 a Badenweiler, nella Foresta Nera. Il sangue dalla gola non era provocato dall’ira, bensì dalla tubercolosi già manifestatasi nel 1884 e sarà tumulato nel principale cimitero moscovita, accanto al monastero di Novodevičij. Lidija Alekseevna si spegnerà nella capitale Sovietica il 27 settembre del 1943, sepolta nell’allora periferico camposanto di Vagankovo. Oggi la tomba di Anton trabocca di fiori; le spoglie di Lidija sono andate sciaguratamente perdute.
Proprio come vuole la migliore letteratura russa, tutto si consuma con l’arrivo della morte e tutto comincia con l’arrivo di uno stringato biglietto. Un biglietto, però, sul quale non serve sciogliere dubbi.
čechov nella mia vita
i
Il 24 gennaio 1889 ricevetti un bigliettino da mia sorella: «Vieni subito immancabilmente, c’è da noi Čechov». Mia sorella era sposata con il redattore-editore di un quotidiano diffusissimo. Aveva molti più anni di me. Piccola, biondina, con grandi occhi sognanti, mani e piedi minuscoli, suscitava sempre in me un sentimento di tenerezza e invidia. Accanto a lei avevo l’impressione di essere troppo alta, troppo grossa e troppo rossa in viso… per niente simile a un sogno come lo era lei. Inoltre io ero moscovita ed era solo poco più di un anno che abitavo a Pietroburgo, quindi io ero ancora una provinciale e lei non solo era una signora della capitale, ma viaggiava molto all’estero, indossava abiti parigini e viveva in una ricca villa di proprietà. La sua casa era frequentata da molte celebrità: attori, pittori, cantanti, poeti e scrittori. E anche il suo passato, il suo matrimonio d’amore con tanto di ratto
direttamente da una serata danzante, mentre nostro padre, che aveva in odio il suo prescelto, la sorvegliava in modo particolarmente attento, tutto questo ai miei occhi la circondava di un’atmosfera magica. E io chi ero? La ragazza del quartiere di Pljuščicha, che si era sposata con uno studente appena laureato che ora era impiegato come contabile subordinato al Ministero della Pubblica Istruzione. Cosa c’era nel mio passato? Soltanto sogni irrealizzati. Ero la fidanzata di un uomo che pensavo di amare ardentemente. Ma rimasi delusa da lui e ritirai la mia parola. E da tutta questa esperienza, per me molto difficile, presi una ferma decisione: di non soccombere più all’ebbrezza dell’innamoramento, ma di scegliere un marito con assennatezza, ragionevolmente, come si sceglie una cosa che si indosserà a lungo. E così feci e fui molto orgogliosa della mia scelta. Era molto intelligente, molto capace e, oltre a quelle universitarie aveva acquisito numerose e svariate conoscenze grazie alla sua curiosità e al suo amore per la lettura.
Un po’ rozzo nelle sue espressioni, era sincero, diretto, spesso sarcastico, non aveva alcun imbarazzo a esprimere la propria opinione e, nonostante la sua giovanissima età, piaceva anche agli adulti