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L’esperienza degli errori commessi, il rammarico di un gesto mancato, sono bagagli che l’Uomo conosce col trascorrere del tempo.
Non mancano momenti di grande commozione, il fiato sospeso, l’attesa della rivincita, assoluta, che il futuro riserva.
(dalla Prefazione).
Eugenio Barillà nasce il 24 giugno 1961. Artista poliedrico, sin da piccolo comincia ad esprimersi attraverso il disegno e la pittura. Nel 1982 consegue la laurea di Maestro di pittura e un anno dopo si abilita all’insegnamento di Educazione artistica presso la Sovrintendenza scolastica della Calabria a Catanzaro. Nel 2000 consegue la laurea in Architettura.
Nel 2015 partecipa alla rassegna di film, cortometraggi e sceneggiature “Artelesia film festival” con la sceneggiatura del suo film di fantascienza GE’ (in seguito diventerà anche un suo racconto illustrato). Nel 2017 vince il primo premio “La Fiabastrocca” (NA) con il racconto Il Fulmine.
Suoi dipinti sono stati pubblicati negli anni in numerose riviste e cataloghi d’arte moderna (gli ultimi sei nel 2020 sul CAM 2021 - Catalogo d’Arte Moderna internazionale n.56 edito dalla Mondadori).
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1us - Eugenio Barillà
Eugenio Barillà
1 μs
© 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-4174-7
I edizione luglio 2021
Finito di stampare nel mese di luglio 2021
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
1 μs
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Prefazione
L’Opera narrativa di Eugenio Barillà, architetto, designer, artista, dai molteplici aspetti, è prettamente surrealista e spazia nei temi e nelle ambientazioni più diverse, ma segue un filo logico comune a tutti i racconti.
L’autore, con magica semplicità, conduce il lettore, attraverso il personaggio protagonista, entro un sentiero solitario che rappresenta la vita, in cui il colpo di scena è il destino, mai prevedibile.
L’Esistenzialismo di cui sono pervasi esplora la vita dell’Uomo dalla nascita ancestrale, attraverso la quotidianità, per spingersi oltre i confini ultraterreni.
Il Cosmo è il suo spazio, l’Uomo lo interroga silenziosamente nella ricerca delle proprie origini, del senso e della vita.
L’Ermetismo che lo caratterizza è un seme donato alla terra; dai monosillabi dei titoli, ai personaggi, esprime la dignità dei sentimenti che permeano, asciutti, dal silenzio della consapevolezza e del contrasto alle avversità, attraverso una marcata guerra emozionale e fisica.
Ed è qui che subentra il carattere fantascientifico, ricco di dettagli veritieri, avvincente e sconfinante nella basilare ricerca scientifica di cui tutta l’opera è pervasa.
Sul cammino apparentemente solitario del protagonista aleggia l’amore.
È un sentimento ideale, purissimo; è lealtà di intenti e condivisione di ricerca.
È unione di vita nel progetto comune, nella meta, nella difesa reciproca, è l’interlocutore di una solitudine primordiale.
Il dejavu è un sentire che pervade gli animi dei protagonisti, ritrovarsi, riconoscersi, anche quando il Tempo li ha trasformati. Non ci sono limiti di specie, piante, animali, silenziosi pensano, esprimendo con la voce narrante i sentimenti più belli, ma anche la paura, o il timore di perdersi.
Ma il riscatto è lì. La Natura non fallisce e il lieto fine è dovuto, per un grande sistema finalizzato alla sopravvivenza e alla rinascita della vita.
Nel sentiero in cui ci conducono le narrazioni di Eugenio Barillà, ci perdiamo talvolta nel Tempo; lo scambio dei ruoli, magico e inaspettato, proietta il lettore in condizioni di vita eterogenee, che lo inducono a comprendere le diversità e le lontananze. Sono racconti fiabeschi, che trovano interesse dai giovani ai giovani vecchi.
L’esperienza degli errori commessi, il rammarico di un gesto mancato, sono bagagli che l’Uomo conosce col trascorrere del tempo.
Non mancano momenti di grande commozione, il fiato sospeso, l’attesa della rivincita, assoluta, che il futuro riserva.
Futuristica è la proiezione umana oltre i propri confini temporali; quasi una genesi moderna, istruttiva e rivelatrice.
Si evince, in tutto il dispiegarsi della narrazione, la lotta sotterranea che l’Uomo conduce tra la sua macchina-corpo e la propria interiorità, e si alternano fragilità e forza.
Ciò che inspiegabile nella conoscenza umana, qui si chiarifica, mediante geniali ricerche sperimentali.
Non trascurabile il riferimento al processo di trasformazione del pianeta per mano dell’uomo, di cui l’autore sottolinea il fallimento e l’errore e indica la strada della rinascita e del ritorno.
Tutta l’opera è pervasa di etica, intesa come riscoperta di valori bellissimi, che fanno dell’Uomo un essere unico e lirico.
L’acme in cui consolida l’intreccio tra i forti e romantici valori del passato e l’avanzata tecnologica proiettata nel futuro, produce un’evoluzione umana che anela alla perfezione dell’essere.
Nel viaggio infinito nel Nulla, nel Caos originario, nello Spazio e nel Tempo, il senso della vita.
Anthos Antonella Rossano
1
«... prima ancora... prima ancora...» disse...
«... ancora si sta espandendo...» risposi...
«... prima ancora...» continuò...
«... il Big Bang...» risposi...
«... prima ancora...» insistette...
«… prima c’era una specie di miscela, gli scienziati la chiamano plasma, il brodo primordiale...» risposi...
«... prima ancora...» azzardò…
«... prima ancora... non c’era niente... IL NULLA, senza materia, senza antimateria, senza luce, senza buio, senza tempo... indescrivibile... impossibile, la materia non può nascere dal nulla assoluto... anche se esistesse una forza tale da riuscire a modificarlo, in che dimensione sarebbe? E poi... come sarebbe fatta? È difficile da comprendere, da spiegare, per noi umani...» conclusi...
Una calda sera d’estate, seduti a cena, parlavamo di tutto, l’aria fresca di campagna entrava leggera dalla porta spalancata del balcone, ogni tanto ci giravamo a guardare il cielo stellato e la luna, poi in televisione un programma scientifico catturò la nostra attenzione e orientò i nostri discorsi espandendo la nostra mente.
Spesso con mio padre analizzavamo tutte le teorie possibili sull’esistenza della realtà, stavamo ore ed ore a parlare, a volte facevamo mezzanotte inoltrata, c’era chi si addormentava sul divano.
«Se l’universo fosse finito, sarebbe come un pallone che quando viene gonfiato, giunto al massimo dell’espansione, può scoppiare, oppure potrebbe essere infinito, senza esplodere mai, pieno di materia e particelle spesso in collisione, pieno di realtà dinamica» diceva. «Il nulla invece, prima ancora di tutto, non dovrebbe avere avuto un inizio e la sua fine non è neanche certa, ma cosa avrebbe provocato la sua modifica?». Solo supposizioni...
I cinque sensi degli umani lì non servivano, non c’era da percepire nessuna realtà, non serviva avere nessuna macchina corpo umano o animale o altro ancora, non c’era il tempo... c’era però un qualcosa di immateriale che ragionava; non un cervello ma UNA FORZA intelligente, da sola, nel nulla...
Questa forza non aveva problemi, non c’era niente e nessuno, ma...
NON LO FAREEE! Non lo fare, ci sarà solo sofferenza ed un po’ di felicità temporanea, non lo fare...
pensava tra sé e sé, poi si fermò... ma decise improvvisamente, gli bastò... UN MICROSECONDO...
Nell’eternità di un tempo inesistente, infinitesime energie erano immobili come un flusso di corrente elettrica a circuito aperto, poi l’interruttore si chiuse e cominciarono ad espandersi creando un’immensità di particelle; molte di esse, legandosi fra loro, formarono dei nuclei, ancora erano come polveri sospinte da un vento magnetico, poi pian piano si ammassarono creando forme sempre più grandi, i vortici magnetici, sempre più potenti, formarono delle correnti tra loro, la velocità era elevatissima, incalcolabile e lì...
«Ancora sei in tempo, ferma tutto...» parlai nel sonno... che continuò.
Su quelle strade magnetiche viaggiavano scie di minerali diversi, si era formata la materia, ma ancora non aveva abbastanza potenza per prevalere sul suo opposto, l’antimateria; erano come due specchi posti l’uno di fronte all’altro, particelle caricate al contrario. Era cominciato anche il tempo, quell’interruttore lo accese.
Erano due forze non simmetriche, ancora troppo diverse come densità, grandezza e potenza; bisognava scegliere, prevedere il futuro, calcolare nel minimo dettaglio cosa sarebbe successo, il tempo non era un problema, anzi, era il motore principale di quella che sarebbe stata l’evoluzione del plasma dinamico.
Ancora c’era molta indecisione, questo era possibile solo in presenza di una coscienza e quindi quella forza doveva averla per logica, conoscere il futuro al quale avrebbe portato il tempo, richiedeva molta saggezza, sofferenza... essere soli nel nulla è una sofferenza.
«SIAMO FIGLI DELLA SOFFERENZAAA!» gridai nel sonno... che continuò.
Era imprescindibile, sarebbe esistita sia nell’uno che nell’altro verso, era come quando una coppia umana mette al mondo un figlio consapevole che prima o poi soffrirà e morirà, ma lo crea ugualmente e così accadde.
Forze magnetiche di nuclei potentissimi andarono in collisione, un’esplosione immane, dimensionalmente impensabile, una capacità catastrofica indescrivibile, si spaccarono rocce gigantesche a temperature incalcolabili, una potenza di lancio a velocità impossibili scaraventò materiali incandescenti dappertutto: il BIG BANG.
Viaggiavano come semi al vento, le sostanze chimiche che avrebbero creato la vita, attratte da trottole con campi magnetici potentissimi, sopra molte di esse, alla distanza giusta dalle stelle di fuoco, si era già formata dell’acqua ed insieme ad alcune sostanze, i primi batteri, da lì l’evoluzione dei primi organismi che si adattarono nel tempo alla gravità ed all’ambiente circostante.
Era tutto programmato, comprese le cellule che man mano costruivano gli esseri viventi...
«Come hai imparato tutto questo? Dove hai studiato?» gli chiesi nel sogno.
Non aveva corpo, era un punto che sprigionava una luce bianca molto intensa, non mi dava fastidio agli occhi, sapevo che mi stava osservando, non potevo fare forza per avvicinarmi, tutt’intorno era buio, eravamo sospesi, non c’era gravità… Passarono così interminabili minuti, poi parlò; inizialmente aveva una voce strana, cambiava sempre tonalità, era un misto di versi animali e linguaggi umani, non riuscivo a capire, ma questo durò poco...
«Tu non sei ciò che ti sembra, sei un punto immateriale dentro il tuo cervello, così come lo sono gli altri, ma per vivere sopra quella che tu hai chiamato TROTTOLA, avevate bisogno di una macchina adatta. Io non sono mai nato, non ho imparato niente, sapevo già tutto, io sono laddove per te non esiste niente, ma voi percepite solo una piccola parte di realtà... Il NULLA È REALTÀ». Si fermò ed io cominciai a capire.
«Come fa il nulla ad essere realtà?» gli chiesi poco dopo.
«Ingrandisci mentalmente la materia come se fosse la maglia di un tessuto, diventa una rete molto larga, ci può passare dentro qualcosa, ad esempio i neutrini… ingrandisci ancora di più, all’infinito, non resterà niente... quel niente è realtà, se la materia lo è, lo è anch’esso» rispose.
«Vuoi dire che se ingrandisco la maglia dell’universo... ci passo dentro?» gli chiesi ancora.
«Sì, ma s’ingrandirebbe anche il tuo corpo e non passeresti, solo il tuo IO, quel puntino immateriale, può passare» rispose.
«Ma allora l’universo è piccolo?» continuai a chiedergli.
«Sì, rispetto al nulla è piccolo, anche se in espansione, il nulla è infinito» rispose.
«Io non mi ricordo di te...» gli dissi.
«Non puoi ricordarti, come non ti ricordi i tuoi primi momenti di vita...» rispose.
Mi svegliai e pensai a quel sogno per molto tempo, avrei voluto chiedergli tante altre cose, il perché della sofferenza, del dolore, della morte, della sua scelta, ma la realtà mi distrasse e continuai a vivere. Giorno per giorno, quelle sue parole però