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Intanto corro
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Intanto corro

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About this ebook

Sono schegge di vita, immerse nella realtà oppure abbagliate dal sogno o dall'ossessione. Sono immagini e personaggi che si aprono alla narrazione, e ci invitano a riflettere sul nostro corpo, sul nostro rapporto con gli altri, sul tempo e sui luoghi, su quello che va oltre il nostro orizzonte, oltre i suoi limiti. Sono canzoni e sono poesia. Sono fulminanti esercitazioni filosofiche che partono dai particolari per esplorare il ricco panorama dell'esistenza. Sono la rivelazione di un attimo, che sconvolge il corso del tempo e può restituire senso a un destino intero, “Intanto corro” dice che, mentre l'esistenza continua a pulsare, anestetizzata dalle abitudini e dalle ossessioni, accade anche qualcos’altro, qualcosa di diverso e di importante, a volte abbagliante a volte oscuro, a cui si dovrebbe dare ascolto. Con questo libro Giulio Casale impone la sua voce e il suo punto di vista - o meglio, i punti di vista “sbilenchi” e tuttavia veri di molti suoi personaggi - in pagine intense ed emozionanti, con una prosa che accarezza e graffia, ferisce e consola.
LanguageItaliano
Release dateFeb 21, 2014
ISBN9788868990077
Intanto corro
Author

Giulio Casale

Giulio Casale nasce a Treviso da famiglia milanese nel 1971. Nel '91 lascia una carriera da giocatore di basket e fonda la band Estra. Nel 2000 pubblica la prima edizione di Sullo Zero, poemetto in versi, che diventa anche un concerto-reading più avanti documentato su Cd. Con la partecipazione, nel 2004 al Festival Teatro Canzone Giorgio Gaber getta le basi per il suo nuovo percorso artistico, che lo porta a pubblicare nel 2005 il miniCd da solista L’uomo col futuro di dietro. Nel 2006 pubblica Se ci fosse un uomo – gli anni affollati del Signor Gaber e riporta in scena lo spettacolo di teatro-canzone "Polli di allevamento" di Gaber e Luporini. Nel 2008 porta in scena lo spettacolo “Formidabili quegli anni” e lo stesso anno pubblica la raccolta di racconti Intanto corro (Garzanti). Nel 2009 torna a teatro con "La canzone di nanda", spettacolo basato sui diari di Nanda Pivano e nel 2010 scrive una canzone per il film di Aldo Giovanni & Giacomo, "La banda dei babbi natale". Sempre nel 2010 presenta un nuovo spettacolo "The Beat goes on". Nel 2012 è uscito Dalla parte del torto, disco di inediti che segna un ritorno al rock.

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    Intanto corro - Giulio Casale

    GUARDA SU DAVIDE

    Fermati Davide. Aspetta un momento.

    Non ti ricordi?

    Com’era? Cosa diceva la canzone?

    I ricordi son stranieri, la Storia è per i pazzi?

    Non riesci più a vederti mentre fai l’autostop per Atene o per Vienna,

    le ginocchia sbucciate e gli occhi gonfi di speranze?

    La memoria non t’aiuta?

    Valicavi frontiere clandestine, impavido,

    dormivi e sognavi forte sui pavimenti delle stazioni, nelle aree di servizio,

    nelle biblioteche d’Alessandria,

    sotto gli archi rinascimentali,

    in cimiteri mondiali, monumentali,

    hai scritto pagine di storia davanti alle ambasciate,

    agli ipermercati,

    alle banche delle mafie, dei calvari,

    ai palazzi di sgoverni nazionali,

    hai creduto alla psichedelia in musica e all’inedito in poesia,

    celebrato l’arte della fotografia, verità dell’ombra,

    preso caffè coi proletari e con le celebrità,

    facce da francobolli, facce da calci in culo,

    ogni sorta di scimmia t’è balzata sulle spalle e tu

    l’hai sempre scrollata via,

    ridendo a volte della tua irriducibile autonomia,

    pedalando tra la Mesopotamia e i Maya,

    l’India, e il Giappone di Kawabata e di Hiroshima,

    nuotando nel Giordano, nel Mississippi Blue,

    nella Marna o nel Ticino

    sotto a bellissime palme che poi son pioppi,

    e perdono lana bianca con cui danzare,

    fin dove è mare che è mai Mar Morto,

    fino a riconoscere che avevamo torto, quando ci davamo per spacciati,

    noi e tutte le ragazze occidentali,

    accusando il sistema di eroderci la facoltà di sentire, di sentirsi,

    spingendoci a un immaginario e regale suicidio di massa,

    le masse ci sono ancora,

    son più numerose e più ignoranti,

    e invece no, tutto come allora, Davide

    quando stavi dalla parte dei lunatici,

    stesi a migliaia sull’erba mariangela di Pompei, in pace sensuale,

    proponevi l’abrogazione dei giornali politici che son la prima iattura, quotidiana, citavi Jaspers,

    il tuo naso e il tuo indice all’insù

    verso Andromeda o Cassiopea,

    loro non sanno cos’è un oil-bacino, un gabinetto di guerra, un grande magazzino,

    un immobiliarista come un nazifascista,

    non hanno lo Stige e nessun Caronte che ti adesca in inglese «Come on over, man!», Ulisse è ancora ciascuno, o Nessuno,

    questo viaggio ha in sé il destino,

    Acapulco! Acapulco!

    Pascal è già smentito, disperato,

    Lautréamont ci ha salvato,

    Sartre c’ha riprovato,

    la corsa all’oro non finirà mai,

    la giungla è nel mercato, il mercato è già in giungla,

    nel frattempo a spintoni sei miliardi d’umani cercan le Porte dei Cieli,

    e sappiamo che bastano sei submarines nucleari,

    pinguini in fuga dai poli li incrociano spesso nei pressi d’Atlantide –

    beati loro,

    noi stiamo chiusi in casa,

    tranquillanti,

    psicofarmaci,

    tonnellate di antidolorifici pro capite,

    niente ci fermerà,

    votati all’incoscienza,

    labbra all’ingiù, che sonnolenza.

    Cos’è cambiato, Davide? Il mondo è sempre lo stesso, sempre diverso. C’è ancora un corpo, il tuo.

    Sede di torture. Sede dell’estasi. Godi, ti dico. Non aver paura.

    Guarda di nuovo su. Guarda che bella. È così lunga quest’eclissi.

    UNA STATUA

    Ha all’incirca sedici anni. Sta in piedi, all’uscita sul retro della stazione, a fine pomeriggio. Aspetta sua madre, o qualche altro parente che lo riporti a casa in macchina, ovviando alla carenza di mezzi pubblici che da sempre affligge il paese in cui tutti abitiamo. Ha i capelli lunghi, abiti da chitarrista dark-metal, un fuoco di pensieri e di anticipazioni dentro al petto, e anche più giù, nel basso ventre, ma non lascia trapelare alcunché: tutto è per lui, solo. Sta lì in piedi da un tempo infinito, non arriva nessuno ma rimane fermo, immobile.

    Perché sa stare fermo.

    Sono una statua, si dice, il monumento da vivo di me stesso. Canta solo mentalmente, senza voce, canzoni vere come il paradiso in terra, o la rivoluzione interiore. Cerca di visualizzare il vuoto, sguardo fisso in avanti. Così posso farcela, si ripete. Sempre. E anche se non vuole vedere veramente d’un tratto mette a fuoco che proprio di fronte a lui, sul lato opposto della strada, c’è una gioielleria: chissà com’è, non resiste. Butta per un attimo gli occhi oltre la porta vetrata del negozio e subito incrocia quelli del gioielliere. Il negoziante lo osservava, è chiaro. Allora quello ha un lampo evidente, un moto di sorpresa, forse paura. Serra con un gesto brusco la porta, a chiave, preme anche dei bottoni, lì a fianco, e concitato sparisce veloce verso il suo retro. Il ragazzo non muove un muscolo, tiene spalancate le palpebre, fisse. Niente lo deve spostare.

    Pochi istanti dopo, eccoli qui: due poliziotti a bordo della solita Alfa. Accostano, evidentemente chiamati da un allarme a distanza. Scende quello che non guida, già sul lato marciapiede. Gli si para davanti, corpulento, lo fissa serio serio e alla fine apre pure bocca: «Ragazzo, attento a quel che fai, eh?» (con una voce da film sulla mafia) e dopo già se ne vanno, lentissimi, i gomiti in divisa sui finestrini abbassati, un po’ delusi un po’ orgogliosi.

    «Attento a quel che fai...»

    Lui non lo ha mai dimenticato, fino alla fine.

    TEEN! TEEN!

    Ingvar Kamprad, fondatore di Ikea, è uno degli uomini più ricchi del mondo. Vive come un pensionato, guida una Volvo degli anni Ottanta e fa la spesa al discount. Questa è l’unica notizia che tiene a mente dal free press raccolto in metro, mentre varca la soglia del liceo, come ogni mattina. Cercava articoli sul Milan e gli è cascato l’occhio su una breve, voltando pagine verso lo sport. Chissà come funziona l’attenzione, lo stupore. Elia ha diciassette anni, niente pare interessarlo veramente, e il solo sentimento che lo accompagni quotidianamente è l’impreparazione – non solo scolastica, s’intende.

    Si sente il primo di una nuova specie, in un mondo assurdo e antico, in nulla corrispondente ai suoi bisogni e ai suoi desideri, e dopo tutto non saprebbe neppure lui chiarire quali siano questi bisogni e desideri. È impreparato.

    Sa che ha avuto tutto, tranne quello che voleva. Sa che non deve sorridere troppo, e tantomeno piangere. Sa che lui e la sua generazione dovrebbero rifondare il mondo, ma non sa in quale direzione. Sente dolore? Non sente alcunché, tranne l’impreparazione.

    Si è scritto sul diario un verso di Bono che dice: «L’unico vero dolore è non sentire proprio niente». Poi stasera ha visto gli U2 su MTV e notando che suo papà si era stranamente fermato a sorridere a tempo davanti allo schermo ha sentenziato: «Sono dei vecchi rimbambiti». Ha spento e se n’è andato in camera, sbattendo la porta. Lì s’è messo al computer, su Messenger, ha controllato chi c’era in rete, mandando piccoli testi simili a SOS. Le risposte erano altrettanto vaghe richieste d’aiuto, di vicinanza, calore. A Carlotta ha detto di sintonizzarsi su Ali Music e là le ha fatto trovare in diretta una sontuosa dichiarazione d’amore, che anche lei sapeva essere giocosa, in scadenza serale, nemmeno l’indomani.

    Il suo migliore amico è il Massimo. Brillante, cinico, sfrontato, tiene testa ai professori quanto e come ai genitori. Si fa dare centocinquanta euro a settimana (contro i venticinque di Elia), ha un cellulare della madonna, uno scooter ultima generazione già elaborato da un meccanico cinese, lo stesso con il quale è in società per le pastiglie e il fumo che poi distribuisce (a volte anche gratis) a tutta la compagnia.

    A Elia l’amico procura insieme sicurezza e invidia, amore e odio, costanti. Massimo ha già fatto l’amore, sia con le donne sia con gli uomini, Elia è ancora vergine, ancora una volta impreparato. Di più: Massimo ha già dichiarato che il sesso è una cazzata, d’ora in avanti non gli interessa più, sono altre le cose che contano, ma non ha completato il concetto, nonostante che tutti pendessero dalle sue labbra, nel McDonald’s di via Paolo Sarpi.

    Ogni tanto si

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