Le bande del quartiere basso
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È proprio grazie al ritrovamento del diario di quest’ultimo che oggi veniamo a conoscenza dei fatti svoltisi in quelli che furono i 10 giorni più terribili e decisivi per le bande e, come vedremo, per la vita del quartiere.
Giorgio Cavedon
Giorgio Cavedon (1930-2001). Scrittore, sceneggiatore di cinema, musicista jazz dal '49 al '73, editore prolificissimo,aveva creato personaggi famosi come Lucifera, Zordon e soprattutto Isabella de Frissac, soprannominata "la duchessa dei diavoli". Disegnata da Sandro Angiolini, Isabella vanta il primato di aver inaugurato il fumetto per adulti erotico italiano nell'aprile 1966 (per l'Editrice 66, mutata poi in RG e infine in Ediperiodici). Renzo Barbieri (1940-2007) inizia la sua attività come scrittore di fumetti per la casa editrice Dardo (James Dyan, 1960) e le Edizioni Alpe (svolgendo contemporaneamente l'attività di giornalista per La notte) e poi come editore. La sua prima casa editrice è la Editrice 66 (che prende il nome dall'anno di fondazione, il 1966), che si lancia nel settore del fumetto "per adulti" che riscuote un certo successo in quegli anni (ad esempio Diabolik, Kriminal e Satanik), giocando la carta dell'erotismo; pubblica così alcune testate sceneggiate da lui stesso e disegnate da Sandro Angiolini - Isabella, primo fumetto erotico italiano tascabile, e l'agente segreto Goldrake - ma fallisce a causa dello scarso successo delle due serie. Barbieri quindi passa a collaborare con Giorgio Cavedon, fondando una nuova casa editrice, la ErreGi, che lancia con successo diversi personaggi (Isabella, Jacula, Lucrezia), generalmente a carattere erotico. Nel 1972 la ErreGi e i suoi personaggi passano completamente in mano a Cavedon; Barbieri fonda allora la Edifumetto, la sua impresa editoriale più nota. Pubblica Lando, celebre fumetto degli anni settanta, il cui protagonista prendeva il nome dall'attore Lando Buzzanca e aveva le fattezze fisiche e il volto di Adriano Celentano.
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Le bande del quartiere basso - Giorgio Cavedon
Le bande del quartiere basso
Nel quartiere basso
di Santa Caterina alla periferia di Quincville, non ben identificata città di un altrettanto non ben identificato paese, nell’anno 1912, tre pericolose bande formate da 100 ragazzi ciascuna si contendono il potere e la supremazia del territorio: la Banda del Buco, con a capo il Lungo, affiancato dai fidati il Secco, il Gitano, il Bufalo, l’Ingegnere, e Giacomino Sarto; la Banda della Diavola con a capo il Riccio, affiancato dai fedeli il Siberiano, il Gracco; la Banda del Tibet con a capo il Tacchino, affiancato dal Giaguaro.
È proprio grazie al ritrovamento del diario di quest’ultimo che oggi veniamo a conoscenza dei fatti svoltisi in quelli che furono i 10 giorni più terribili e decisivi per le bande e, come vedremo, per la vita del quartiere.
Giorgio Cavedon
Giorgio CavedonGiorgio Cavedon (1930-2001), personalità eclettica e originale, fu scrittore, sceneggiatore, regista, musicista jazz. La sua prima pubblicazione fu un romanzo per ragazzi, Con me alla conquista della cava pubblicato da A. Vallardi nel 1958.
Editore di successo, nel 1967 fonda insieme a Renzo Barbieri le Edizioni RG, dalle iniziali dei nomi dei due soci, che nel 1972 viene rilevata da Cavedon con il nome di Ediperiodici.
VANDINI
Giorgio Cavedon: Le bande del quartiere basso Illustrazioni di G.A. Dalla Costa - VandA.ePublishing© Giorgio Cavedon
© 2014 VandA.ePublishing
Sede legale e redazione: Via Cenisio, 16 - 20154 Milano
ISBN 978-88-6899-015-2
Prima edizione digitale: dicembre 2014
Prima edizione cartacea: A. Vallardi, 1958
con il titolo:
Con me alla conquista della cava
Edizione elettronica: eBookFarm
Grafica di copertina: Network Comunicazione
Illustazione di copertina di G.A. Dalla Costa
Logo VandA.ePublishingwww.vandaepublishing.com
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Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
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Descrizione immagine non disponibilePrefazione
Accadde durante un trasloco. Bisognava sgombrare il solaio da un mucchio di roba che non ci apparteneva. Durante il trasporto giù per le scale, una vecchia cassa si ruppe e ne uscì una quantità di cianfrusaglie e di oggetti inutili.
Mentre cercavo di rimettere un po’ d’ordine in tutta quella confusione, la mia attenzione fu attratta da un quaderno, dal quale spuntava un ritaglio di giornale. Lo sfogliai dandovi una rapida occhiata e già stavo per ributtarlo nella cassa, quando il mio sguardo cadde sul frammento di giornale che vi era inserito. Lo ripulii un po’ dalla polvere e cercai di capire perché fosse stato custodito così gelosamente. Parlava di lotte fra ragazzi.
La mia fantasia corse a ricordi non troppo lontani, quando io stesso, ragazzo esuberante, passavo i pomeriggi liberi in rocamboleschi inseguimenti, in agguati, in guerre, con altri miei coetanei.
Più tardi, seduto in una comoda poltrona, cercai di ricostruire, col materiale che avevo a disposizione, parte delle vicende vissute dai trecento ragazzi del quartiere basso. Già, il quartiere basso
. Ma di dove? Di che città, di che nazione? L’articolo, ritagliato alla meglio, non presentava alcuna caratteristica particolare che mi permettesse di rintracciare la provenienza del giornale. Leggendolo ne dedussi solo che doveva trattarsi di un giornale locale.
Ecco l’articolo:
Descrizione immagine non disponibileLa cosa cominciò a interessarmi, e in poche ore lessi avidamente il quaderno: conteneva il diario di un certo Giacomino Sarto, ragazzo di 12 anni, abitante nel quartiere Santa Caterina e protagonista numero uno di movimentate vicende, svoltesi in un periodo di grande importanza per le bande formate dai ragazzi della periferia di Quincville.
Per quante ricerche abbia fatto, una simile città non risulta in alcuna carta geografica, ed è impossibile che un terremoto o un cataclisma ne abbiano cancellato ogni traccia nel giro di così pochi decenni. Sono arrivato quindi alla conclusione che con ogni probabilità Quincville era un soprannome o una denominazione locale con cui veniva designata una città ancor oggi esistente, ma che in realtà ha un altro nome.
Sarebbe comunque interessante rintracciare questo signor Giacomo Sarto che oggi, a conti fatti, dovrebbe avere cinquantott’anni, e che senz’altro avrebbe ancora tante e tante cose da dirci. Dal momento che in soli dieci giorni gli sono capitate tante avventure, io penso che se ci raccontasse la sua vita fino a quindici anni, avremmo molto da divertirci. Perché non è giusto che solo i nipotini del signor Sarto, con tutto il rispetto, sappiano per filo e per segno le imprese delle bande e dei loro piccoli eroi.
Quindi, forza! Leggete il diario, diffondetelo, cercate anche voi. Se saremo in molti a farlo, state sicuri che il signor Sarto presto salterà fuori, e allora potremo rivolgergli tutte quelle domande che, alla fine di questo diario, io stesso mi sono posto e che voi certamente vi porrete.
Eroe di tempi non lontani, chi sei?
L’AUTORE
Descrizione immagine non disponibilemercoledì 29 maggio 1912
L’avevo detto io: con quelli della Diavola non si può più vivere. Vogliono fare i padroni. Anche ieri hanno preso venti ragazzi della banda del Tibet e li hanno costretti a lavorare alle loro fortificazioni.
Il nostro capo, il Lungo, dice che se facevano una cosa simile con noi del Buco, avremmo dovuto dichiarare la guerra.
Dio, che paura! Io mi darò malato. Non voglio prenderle da quei granatieri della Diavola, che quando le danno...! Io voglio divertirmi: su al Buco e alle montagnole è bello andarci proprio per giocare. Ma nossignori: i consiglieri continuano a pensare alla guerra e ci costringono un’ora al giorno a fare delle esercitazioni che mi sfiancano.
Oggi pomeriggio, per esempio, il Secco ci ha addestrati all’inseguimento lungo il versante nord del Buco, giù fino alla piana. Non ho parole per dire come mi senta adesso i piedi e la schiena. Poi, come non bastasse, su alla piazzola: tiro franco alla fionda. E mentre tiravamo ad un fantoccio vestito da Diavolo, lui gridava:
«Mirate giusto, marmotte! La volete capire sì o no che quelli della Diavola sanno usare la fionda cento volte meglio di voi?»
E poi, correggendo qualcuno, aggiungeva tuonante: «Volete fare la fine di quelli del Tibet nella battaglia del Deserto?»
Io a quel pensiero mi sono sentito gelare, perché rammento bene come hanno trattato i prigionieri.
Stamane, a scuola, Gilardini mi ha interrogato in storia e ho risposto piuttosto male. Ma come si fa a seguire le lezioni in classe, quando anche lì siamo divisi in gruppi corrispondenti alle tre bande, ed è un continuo andirivieni di bigliettini?
E quando si arriva a casa, peggio che andar di notte: vien voglia solo di sdraiarsi su un divano e riposare le ossa rotte dalle tre ore passate alle montagnole.
Mia madre intuisce già da un po’ di tempo che lo studio mi va maluccio, e me le ha suonate anche oggi perché sono rincasato con i pantaloni strappati.
Ma cosa ci posso fare, io... O rinunciare alla banda, o assoggettarmi a tutto! Tanto più che spero di essere presto nominato attendente per i miei meriti di cultura
, come ha detto il Lungo giorni fa.
Ecco, l’idea di comandare è proprio il mio sogno. Ho riletto ancora il libro su Cesare che mi ha prestato Gilardini, e ho fatto un mucchio di sogni. Beh, per oggi stop, ho sonno.
giovedì 30 maggio 1912
Il secondo dei figli di Romeo il carbonaio è un consigliere della banda del Buco: ha un temperamento piuttosto quieto e il suo più gran desiderio, bizzarro in verità, è quello di riuscire a fabbricarsi uno strumento musicale: un mandolino, se ho ben capito. Infatti è sempre intento a maneggiare un coltellino attorno ad un legno, che dovrebbe diventare, secondo lui, il futuro manico dello strumento. Per questa sua mania lo hanno battezzato Gitano
.
Anche oggi Gitano è su al Buco: là dentro, nel nostro covo, abbiamo un po’ di tutto. È stato faticoso radunare un bazar così vasto, ma col tempo e la volontà ci siamo riusciti. Spaghi, figurine, ossa, barattoli, chiodi, archi e frecce, legni, viti, scope, qualche carta geografica, due finti cannocchiali e una tromba da fiera: è tutto nostro ma non basta. Quel pacco in fondo, avvolto con cura, è un po’ il nostro tesoro: è una raccolta di giornali illustrati di tutto il mondo, vecchi e recenti: chiunque ne trova uno e lo porta al Buco, riceve un premio. Questo spiega perché Giacinto detto il Secco
o il Droghierino
, come più garba, sia già nel consiglio: poco tempo fa ha portato dieci riviste che sua sorella aveva comprato in Francia! Bella forza!
Pazienza: io ho cercato anche ieri nell’immondezzaio del quartiere Santa Caterina, fino a puzzare dentro i pori, ma non ho scovato che due cartoline, due misere e sporche cartoline! Mi andrà meglio un altro giorno.
Gitano se seduto davanti all’ingresso del Buco e sta rifinendo un possibile manico. Appena mi vede arrivare mi domanda:
«Hai visto il capo?»
«No, giù non c’era.»
«Beh, sarà meglio che tu vada a cercarlo!»
«Ma... vengo su ora... e...»
«Miagola poco: sta succedendo qualcosa di strano e ho bisogno di parlargli.»
«Quelli della Diavola?»
«Sì, ma sono cose che devo dire a lui: sbrigati!»
«E va bene.»
Sto per allontanarmi di mala voglia: Gitano certe volte si dà troppe arie. Mi richiama indietro.
«Senti: se passi vicino a un pizzicagnolo, compra tre corde di budello: ecco dieci centesimi.»
«Senti, tu: io non faccio la serva
!»
«Ehi! Hai voglia di buscarne?»
«Ho voglia di non fare la serva.»
«Va giù, prima che ti faccia rapporto!»
«Vado giù a cercare il capo, ma questi centesimi te li ritorno.»
E lo lascio lì che mi guarda a bocca aperta: sento il cuore battermi veloce. È la prima volta che mi ribello a un consigliere, ma quel che è troppo è troppo; in fondo appartengo alla banda da più di due anni, e non hanno il diritto di farmi fare il fattorino. Se me lo chiedeva come un favore, sarei andato dal pizzicagnolo, ma così no! Se le compri lui le corde!
Corro giù a perdifiato per la scorciatoia; sto per girare, quando mi arresto di botto. Sul sentiero grande, all’incrocio con quello che porta alla Diavola, stanno sette dei loro. Mi accorgo subito che tira aria di funerale, perché sotto le maglie di due spuntano degli elastici inconfondibili: le fionde.
Non so se tornare indietro ad avvertire Gitano, o fermarmi ad osservare che cosa succede: mi nasce persino il dubbio che stiano aspettando il Lungo, e mi sento gelare. Se pestano il capo, scoppia una battaglia all’ultimo sangue.
In quel momento vedo arrivare di corsa un altro ragazzo: è il segnale. I sette si sparpagliano dietro i cespugli: il sentiero ritorna deserto. Ormai sento che non posso più muovermi. Penso un attimo che se Gitano era già a conoscenza dell’imboscata, è stato un bel tonto a non avvertire qualcuno; ma poi scarto l’idea come poco probabile.
A ogni modo io sono qui, bloccato e non so cosa fare. Se avessi meno fifa, griderei a quello che arriva: Attento!
, ma sento che la voce non mi uscirà.
Ci siamo, eccolo che viene: santi numi! Non è il capo ma è uno dei consiglieri: lo riconosco per via della sciarpa gialla che porta sempre come cintura e del cappellaccio ficcato in testa: è Mario, chiamato l’Ingegnere
, perché dirige sempre i nostri lavori di scavo e di costruzioni. Adesso arriva portando un pacco piuttosto voluminoso e sale faticosamente.
Pochi passi ancora, ed ecco sbucano quelli della Diavola. Lo circondano: lui alza le mani e lascia cadere in terra il pacco.
Uno lo raccoglie; parlottano, ma non sento bene. Mi avvicino un tantino di più.
«Quel pacco è nostro, sacrosantamente nostro!» sta urlando l’Ingegnere.
«Questo pacco è stato visto da noi ieri e tu sai bene dove!»
«Vale chi prima prende, non chi prima vede.»
«Questo lo racconti tu.»
«E poi chi mi assicura che lo avete visto?»
«Su, diglielo un po’...»
Si avanza un piccolotto: mi sembra che abiti vicino all’ospedale Santa Caterina.
«Era sopra certe casse nell’angolo del magazzino centrale.» miagola.
«In che cortile?»
«Nel secondo, dove fermano per la pesata.»
«E perché non te lo sei preso?»
Silenzio. Interviene l’altro.
«Non voleva correre rischi!»
«Il rischio l’ha corso invece, perché l’ho preso io!»
«Finiamola! Vattene prima che ci venga voglia di picchiarti!»
«Questa storia non finisce qui, ve lo dico io.»
Uno di loro lo butta per terra: i due finiscono nei cespugli. Altri gli danno man forte. Stringo i pugni, ma son fermo. Che rabbia mi faccio! Dopo un po’ lo lasciano sul sentiero a rotolarsi nella polvere e salgono disordinati, passando il confine e rifugiandosi nel loro territorio.
Appena scorgo il gruppetto a un tiro di fucile, mi precipito a raccogliere l’Ingegnere. Non gli hanno fatto gran che: è solo tutto sporco e gli corre un po’ di sangue ad un ginocchio per lo striscione della caduta.
«Presto, filiamocela al Buco» dice, sollevandosi.
«Appoggiati» faccio io.
Lui si alza. Dopo qualche passo esce a dire:
«E tu dov’eri?»
«Io?!» rispondo, un po’ confuso.
«Sì, tu! Da dove sei sbucato?»
«Arrivo ora dalla piazzola... andavo in cerca del capo.»
Lui riprende a camminare e io tiro un sospirone. Dopo un attimo soggiunge:
«Che peccato! Se arrivavi un momento prima, forse potevamo batterci!»
Io fingo disappunto, ma dentro di me ho un piccolo inferno e sento di averla fatta grossa a starmene lì immobile senza correre in suo aiuto: se lo scoprono, mi cacciano via per sempre.
Arriviamo al Buco tutti sudati. Non vedo Gitano, ma ci sono degli altri. Appena ci scorgono, muovono verso di noi:
«Che cos’è stato?»
«Niente di grave.» dico.
«Andate a giocare: ne riparliamo dopo!» ordina l’Ingegnere.
«Ma ti goccia sangue» fanno.
«Porta un po’ d’acqua» grida un altro.
«Il Lungo c’è?» chiede l’Ingegnere.
«No, il capo non si è ancora visto.»
«Allora mandate qualcuno a cercare lui e gli altri consiglieri: facciamo una riunione.»
«Va bene, Ingegnere.»
«Tu resta qui con me.»
«Sì...» rispondo a mezzo fiato.
Entriamo nel Buco: lui siede, guardandosi il ginocchio. Entrano uno con l’acqua, poi altri due a prendere degli archi: mi sembra che lì attorno tutti siano migliori di me.
«Ecco il capo» annuncia una voce all’ingresso del Buco. Quello che ha parlato, visto così in controluce, mi sembra uno scheletro con la parrucca. La paura mi aumenta: penso nuovamente a Gitano che non c’era più quando sono tornato, al battibecco che ho avuto con lui: se per caso mi ha spiato, sono fritto.
Entrando, lo scheletro con la parrucca si trasforma in Giacinto il Secco.
«Che cosa fai tu qui?» dice duro non appena mi vede.
«Gliel’ho detto io di rimanere» interviene l’Ingegnere, prima che abbia il tempo di muovermi.
«Ti fa male, vero?» chiede allora il Secco, guardando la ferita che l’altro si sciacqua.
«Insomma...» e tace. Io non fiato.
«Il capo non entra ancora?» si spazientisce dopo un po’ l’Ingegnere.
«È mezz’ora che parla con Gitano» risponde il Secco, e io mi sento gelare: comincio ad avere il nero presentimento del condannato.
«Salve, ragazzi!» si sente in quel momento. Entrano il capo, Gitano e l’altro consigliere: Gianni detto Bufalo
, perché è grasso dai capelli ai piedi. Ci siamo: si siedono tutti in silenzio.
Capisco che tira aria grama per me. Timidamente azzardo:
«Sarà meglio che aspetti fuori, eh?»
«No, no: resta pure» dice il Lungo, e il tono della sua voce non promette nulla di buono. I cinque mi guardano e io abbasso gli occhi.
«Di che cosa cominciamo a parlare?» chiede Bufalo.
«Liquidiamo prima di tutto la questione di questo qui» propone Gitano, lanciandomi un’occhiata che mi agghiaccia. Ormai non seguo più il ritmo del cuore: penso solo che vorrei tanto essere cento leghe sotto terra, nascosto, sepolto.
«Da che parte sei venuto per cercarmi?» esordisce calmo il Lungo.
«Sono sceso dal solito sentiero di destra» balbetto, rosso in viso.
«Non hai fatto la scorciatoia?»
«No.»
«Come mai? Avevi o non avevi fretta?»
«Sì che l’avevo...»
«E allora?»
«Correvo tanto che l’ho sorpassata...»
«Strano: Gitano mi assicura invece che tu devi essere sceso dalla scorciatoia...»
«Non è vero!»
«Sì che è vero!» interviene Gitano.
«No, non è vero!»
«Un momento di calma» ribatte Bufalo, troncando quelle grida. «Io vorrei sapere» continua sornione «perché t’importa tanto la storia della scorciatoia.»
«A me non importa: è solo che...»
«È solo che se tu avessi fatto la scorciatoia, avresti dovuto vedere per forza quelli della Diavola, no?» e ride soddisfatto.
«Ma tu sei matto!»
«Silenzio!» urla il Lungo.
Io ho perso il controllo: è ormai chiaro che qualcuno di loro mi ha spiato: forse Gitano o forse qualcun altro.
«Senti, tu» ricomincia il Lungo, fissandomi «li hai visti insomma o non li hai visti, quelli della Diavola? Rispondi!»
«Certo che li ha visti!» incalza Gitano «Quando se n’è andato a cercarti, è sceso per il sentiero di destra: io ero arrabbiato con lui per un certo discorso e mi è venuta la voglia di corrergli dietro: quando sono arrivato alla curva, lui sul sentiero non c’era già più!»
«Che cos’hai da dire?» interviene calmo Giacinto il Secco.
Io rimango zitto e freno a stento le lagrime: non voglio farmi veder piangere da loro: non voglio! Ma dopo un attimo, fuggo dal Buco singhiozzando come un disperato: intravvedo appena due o tre facce stupite di alcuni che attendono sullo spiazzo.
Poi mi butto giù a precipizio per il sentiero come un ubriaco.
venerdì 31 maggio 1912
Dopo una notte piena di incubi, sono sveglio: sento la cava funzionare già e capisco così di aver dormito un po’ più del solito.
Con gli occhi ancora assonnati scorgo il pezzo di pane e marmellata che mia madre lascia sempre sul tavolo: vicino, un biglietto. Lo leggo ad alta voce come per capire meglio:
Vado in città a comprare della stoffa: mettiti i pantaloni che ti ho preparato sulla sedia. Questa mattina presto sono venuti due del Buco a cercarti: li ho mandati a quel paese: tu pensa ad andare a scuola, mi raccomando
.
Straccio il foglio e mi sdraio sul letto meditabondo.
Andare a scuola! È una parola! Quando succedono fatti come quelli di ieri, uno non può più farsi vedere dai compagni: lo deridono, lo evitano, lo umiliano. Dio mio! Pensare che quest’anno speravo tanto di essere nominato attendente! Mah! Mi sta bene: non ho fegato, io... sono un vigliacco. Sì, un vigliacco, un buono a nulla, una femminuccia! Ormai sono finito.
E adesso cosa faccio? Per la scuola e i giochi cambierò rione: ricomincerò tutto da capo, tra facce nuove; mi hanno detto che nel rione Santa Chiara, il più vicino al nostro, ci sono anche lì delle bande, ma non hanno molto spazio: giocano nelle strade...
Sento salirmi un’ondata di tristezza: penso con nostalgia ai tanti ricordi che ho lassù alla montagnola, e alla mia scuola.
In quest’attimo suonano alla porta: quando apro, entrano senza tante storie Gitano e il suo attendente.
«Dormi a lungo, eh?» comincia lui in tono ironico.
«Lasciatemi in pace!» rispondo brusco.
«Su, su... non fare lo schizzinoso!»
«Io non vengo più al Buco...» sbotto a dire a testa bassa.
«Ah sì?!»
«Sì, me ne vado via...»
«Ma bene! Hai capito, l’eroe!? Se ne va, lui!» Gitano mi muove incontro. «Senti, Giacomino, ti consiglio di non scherzare...»
«Io non sono un eroe e non voglio nemmeno diventarlo.»
«E va bene: però ti avverto: il consiglio ha deciso che se tu non ricuperi da solo il pacco dell’Ingegnere, al Buco e in nessun altro posto non ti lasceranno più in pace: tu fa quel che ti pare!»
«Come sarebbe a dire: da solo
?!»
«Sì, da solo: non è poi una cosa impossibile!»
«Se quelli della Diavola mi pescano, non faccio più ritorno...»
«Non raccontare storie: sei smilzo, non dai nell’occhio: puoi farcela, se vuoi...»
«Vorrei vedere te al mio posto!»
«Io non sono un vigliacco!»
«Beh, lasciatemi in pace...»
«Come vuoi: tu sai quel che hai da fare...»
«No, non ci vado.»
«Arrangiati: se però hai bisogno di qualcosa, vieni su al Buco domani!»
«Ciao, Giacomino» mi dice l’attendente con voce triste.
«Zitto tu!» e Gitano se lo porta dietro, chiudendo l’uscio.
Così, tutt’a un tratto, per essere stato lì ad osservare un agguato, mi trovo a non poter più giocare e girare dove mi piace. Il pensiero mi pare assurdo e cerco di convincermi che non vorranno veramente mandarmi allo sbaraglio in questo modo. Ecco cosa significa ricevere una condanna.
Scendo in strada: i libri non li ho presi, tanto a scuola non ci posso andare, sebbene il pensiero mi angustii, perché a scuola ci sono sempre andato e poi oggi c’era disegno e il disegno è la mia passione.
Vedo all’angolo tre compagni con i libri: sono tutti e tre del Buco. Non so se scantonare, o passare e far finta di nulla. Alla fine passo, ma quando sono lì per girare, uno fischia, l’altro mi dà lo sgambetto, ma senza ridere e il gesto assume così qualcosa di ostile. Non cado per miracolo e mi allontano correndo, con nelle orecchie i fischi dei tre.
Mi fermo col fiato grosso ai Casoni
. Lì abitano molti della Diavola: sono paraggi che non frequento molto volentieri da solo. Oggi però ci respiro meglio, perché lì quelli del Buco, i miei amici
, non li trovo e posso girare tranquillo.
Rallento l’andatura e rimugino le possibilità che mi rimangono: vorrei tanto ritornare al