Ti cuocio, ti mangio, ti brucio, e poi ti faccio morire: Come cogliere i messaggi nascosti nei pensieri, nei giochi e nei sogni dei bambini
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Masal Pas Bagdadi
Masal Pas Bagdadi è nata a Damasco nel 1938. A soli cinque anni fugge dalla Siria per le persecuzioni antisemite ed entra illegalmente in Palestina. Cresce in un kibbutz in Israele, dove impara a diventare una persona adulta, quindi si trasferisce in Italia. Psicoterapeuta e scrittrice, ha pubblicato molti saggi di psicopedagogia per genitori e educatori. Con Bompiani sono usciti le autobiografie A piedi scalzi nel Kibbutz (2003) e Mamma Miriam (2013). Dal libro Chi sono io?, edito da Franco Angeli (2006), sono nati il programma televisivo andato in onda sul canale Sky 137 e l’associazione Onlus che promuove iniziative sulla creatività nell’infanzia, di cui Masal è presidente. MASAL Pas Bagdadi was born in Damascus in 1938. At the age of five, when the anti-Semitic climate had reached alarming levels, she was illegally smuggled into Palestine. Although she was eventually reunited with her family, Masal grew up in a Kibbutz in Israel. She later moved to Italy where she now practices psychotherapy full time and writes a popular series for parents and teachers on child psychology. Bompiani published her memoirs: Barefoot in a Kibbutz (A Piedi Scalzi nel Kibbutz) in 2003 and Mother Miriam (Mamma Miriam) in 2013. Her book Who Am I?, illustrated with children’s drawings and published by Franco Angeli (2006), became a television series produced by Sky and an exhibition in Roma and Milan. Masal is the President of a non-profit association that promotes infantile creativity.
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Ti cuocio, ti mangio, ti brucio, e poi ti faccio morire - Masal Pas Bagdadi
PRIMA DI COMINCIARE
Questo libro è il resoconto delle attività svolte nell’asilo da me fondato e diretto tra il 1966 e il 1997, che, come si vedrà, è stato un asilo un po’ diverso dai soliti. L’idea di presentare ‘dal vivo’ la mia esperienza di relazione con i bambini nasce dalla convinzione che l’autenticità e la spontaneità del materiale presentato sapranno dare al lettore qualcosa di più, e certamente di diverso, rispetto a un trattato esauriente sulla psicologia infantile. Grazie alla facilità con cui il racconto permette di operare identificazioni con i vari personaggi, ciascuno potrà vedere in essi ora il proprio figlio, ora se stesso genitore, educatore o psicoterapeuta.
Chi si occupa di psicoanalisi potrà trovare comunque in questo libro un riscontro pratico delle conoscenze teoriche acquisite, tale da costituire un proficuo aggancio tra questi due momenti del sapere. I futuri psicoterapeuti infantili devono sempre tener presente che l’acquisizione professionale non può essere solo teorica né unicamente intuitiva o spontanea: proprio l’unificazione dei tre elementi dà infatti validità a un lavoro del genere.
In questo senso mi confortano sia il fatto che l’esperienza dell’asilo sia sopravvissuta per tanti anni, sia l’esito ampiamente verificato del lavoro svolto con i genitori, con gli educatori, con gli studenti, con i gruppi di osservazione.
Il mio più grande desiderio, nel mettere insieme il materiale, è stato ed è quello di comunicare agli altri il mio lavoro perché possa costituire uno spunto di riflessione.
Spero quindi che il mio libro possa diventare l’oggetto di un dibattito e di molte critiche costruttive, che non mi sono mai mancate in trent’anni di lavoro, affinché la mia attività e quella di chi opera nel campo dell’educazione possa essere sempre più viva e stimolante.
Mi piacerebbe poter ricordare le tante persone che in questi trent’anni mi sono state vicine con il loro affetto e la loro stima, ma elencarle tutte sarebbe davvero troppo lungo. Spero quindi che in questo ringraziamento generale possa ritrovarsi e riconoscersi ognuna di queste persone.
Un grazie speciale a Paola Forti, autrice di una tesi di laurea sulle dinamiche del gruppo di gioco, che con il suo appoggio e il suo incoraggiamento mi ha consentito di aprire il Centro Giochi che costituisce il tema centrale di questo libro.
Ringrazio i genitori, che mi hanno affidato i loro figli, i bambini che ho visto crescere; gli studenti e i tirocinanti, che con la loro curiosità mi hanno stimolato nella ricerca; i professori universitari, che hanno riconosciuto la validità del mio lavoro; gli amici.
In modo particolare sono grata a tutti i protagonisti di questo libro, i cui nomi sono stati ovviamente modificati per garantire la dovuta discrezione.
Gli originali dei disegni che in questo libro sono riprodotti in bianco e nero sono a colori.
IL CENTRO GIOCHI DI MASAL,
I SUOI BAMBINI, I SUOI GENITORI,
I SUOI EDUCATORI
IL CENTRO GIOCHI DI MASAL:
CRONACA DI UN ASILO DIVERSO
Ho avviato l’esperienza dell’asilo nel 1965, in una casa privata nel centro di Milano, organizzando un gruppo di gioco per sette bambini tra i diciotto mesi e i due anni.
Erano anni di fermento che presto sarebbe maturato in un’importante svolta nel panorama culturale italiano, e i primi bambini a frequentare il mio asilo erano figli di persone particolarmente aperte e politicamente impegnate, disposti a correre il rischio di un’esperienza educativa diversa. Nessuno di questi genitori aveva una vera necessità di ‘parcheggiare’ i figli per andare a lavorare: viceversa erano persone convinte del fatto che limitare i bambini all’interno dell’ambito familiare avrebbe potuto impoverire la loro vita. La mia proposta di socializzazione concentrata nella mattinata li entusiasmò. In questo spazio infatti i bambini esprimevano le loro esigenze affettivo-intellettive attraverso il gioco e l’intreccio di relazioni e rapporti emotivi che stabilivano con me e tra loro; la separazione dalla famiglia veniva elaborata in modo vitale e dinamico.
Nei primi anni, la mia coscienza delle dinamiche psicologiche del profondo, cioè quelle che muovono le azioni e le reazioni dei bambini e dei genitori, era basata in gran parte su una capacità intuitiva di cogliere l’essenziale e di entrare profondamente in comunicazione con l’inconscio del bambino. Anche la capacità di osservare, di ascoltare i bambini e di accogliere i loro messaggi faceva già parte del mio bagaglio personale e della mia storia individuale. Negli anni, queste capacità si sono arricchite di studi e di sapere teorico, oltre che di un’analisi personale. Penso infatti che solo la conoscenza profonda di se stessi può dare la possibilità e i mezzi per entrare in contatto con la profondità dell’inconscio di un altro.
Questo libro è il frutto di questa maturazione personale e i metodi di cui parlo sono stati elaborati esclusivamente in base alla mia esperienza. È stato un piacere trovare in seguito una serie di conferme anche nella letteratura psicoanalitica.
L’esperienza raccontata in questo libro è il risultato dell’attività che svolgo con bambini, con genitori, studenti e futuri psicoterapeuti (i ‘tirocinanti’) dal 1984/1986.
Nei riferimenti e nelle annotazioni prese al volo, il lettore attento può rintracciare in vari casi anche un’elaborazione teorica dei contenuti ma, con tutto ciò, il libro non ha la pretesa di fare un discorso globale ed esauriente sul trattamento psicoanalitico infantile. L’intenzione è quella di presentare l’approccio e gli strumenti che impiego all’asilo, ovviamente elaborati a partire da studi psicologici e psicoanalitici.
Impostazione del Centro e linea educativa
I motivi che mi hanno indotto a prendermi cura di bambini così piccoli e a metterli in gruppo per socializzare tanto precocemente hanno bisogno di essere spiegati, anche se brevemente. Le ricerche psicoanalitiche in campo infantile ci hanno detto quanto le esperienze del bambino dalla nascita in poi incidano sullo sviluppo futuro dell’adulto e quanto la componente inconscia giochi un ruolo fondamentale nel modo di essere dell’individuo.
Quando il bambino comincia a camminare e ad essere più indipendente, le sue forze sono rivolte in modo naturale alla scoperta di tutto ciò che lo circonda; il nucleo familiare gli diventa troppo stretto: vuole uscire, andare al parco, e impazzisce letteralmente quando incontra altri bambini. Nel contempo, però, non ha ancora un Io abbastanza forte per far fronte da solo a tutte queste esperienze.
Perciò, quando si rende conto che allontanandosi può ritrovarsi solo, comincia ad avere una serie di paure che lo spingono sempre più a esercitare un controllo sull’adulto perché non lo abbandoni, né mentre compie le sue esplorazioni né in generale. Il momento di separazione è carico di ansie ed è molto temuto. I bambini colgono questo elemento con maggior consapevolezza quando vanno a letto (spesso le mamme confermano questo ‘strano’ cambiamento verso i diciotto mesi). Immaginatevi la notte: è lunga, buia, e i sogni qualche volta sono angoscianti e fanno paura. Il bambino ‘grande’ del giorno ritorna così ad essere piccino, bisognoso di calore e di contatto fisico per non sentirsi smarrito e abbandonato.
È proprio in questo particolare momento evolutivo (oltre a camminare, il bambino comincia a parlare, a capire le sue funzioni fisiche, a distinguere in parte se stesso dagli altri...), che l’inserimento in un gruppo di coetanei può essere molto positivo.
Svolgendosi su terreno neutro, quindi sgombro dall’emotività familiare, i problemi dell’inserimento possono essere elaborati psicologicamente in modo più vario e più vasto.
L’educatrice assume su di sé il ruolo materno, e diventa un contenitore fisico e psichico i cui interventi hanno lo scopo di ridurre la tensione e l’angoscia legate alla separazione dalla madre.
Inoltre, anche se (come è normale) le angosce continuano ad essere presenti, i vantaggi dello stare con gli altri sono tanti che vale la pena di ‘soffrire’ un po’ per acquisire nuovi piaceri e provare nuovi interessi.
A quest’età, il bambino si rispecchia negli altri in vari modi: prova a toccarli, ad attaccarli, a strappare loro i giocattoli di mano... In questo modo sperimenta le sue capacità di rapporto finché, a poco a poco, con il nostro aiuto, riesce a controllarsi meglio. Per esempio, quando strappa un gioco al compagno e per istinto affonda i suoi denti nell’altro, noi lo sgridiamo perché fa male ma, nello stesso tempo, gli diamo una bambola da morsicare, fornendogli così l’opportunità di spostare altrove il proprio moto pulsionale; in questo modo, il bambino, oltre a esplorare i suoi impulsi, riesce a viverli in modo non colpevolizzante e a sublimarli pian piano senza bisogno di mettere in atto un’inibizione massiccia della sua aggressività.
I vari materiali presenti nella stanza favoriscono i suoi giochi, sia di ‘costruzione’ sia di identificazione. Penso che l’idea diffusa che i bambini inventino tutto da soli sia assolutamente infondata. L’aiuto continuo e l’incoraggiamento nell’esplorazione verso se stesso, verso l’adulto che lo segue e nei confronti dei coetanei è fondamentale. Man mano che l’altro viene riconosciuto da lui come diverso, il processo di scambio emotivo e materiale si evolve.
Le risposte che l’adulto deve dare alle varie richieste del bambino sono tante e variate. Spero che il materiale presentato qui aiuti a definire in modo più chiaro questa idea di adulto-educatore. Essendo un lavoro in cui si creano dei rapporti umani è naturale, per noi che lavoriamo al Centro, affezionarci ai bambini, ai genitori, e viceversa. Penso che sarebbe difficile modificare certe situazioni psicologiche in assenza di una componente affettiva.
Lo spazio dei bambini piccoli
Alla stanza dei bambini piccoli si accede attraverso una porta scorrevole che dà sull’ingresso del Centro. Appena al di là della porta, sui due lati, sono situate due poltrone bianche con dei cuscini colorati. Una delle due poltrone ha una funzione particolarmente importante, dal momento che, per i bambini, è ‘la poltrona di Masal’.
Nei momenti più difficili, quando si sentono stanchi o agitati, i bambini si rifugiano volentieri in questa ‘poltrona di Masal’ che assume per loro una funzione simbolica di contenimento. Sopra le due poltrone, appesi alla parete, ci sono tre bei quadri; da un lato e dall’altro, su alcune mensole, si trovano i libri, il gioco del pongo e altri ancora; in un angolo, vicino alle mensole c’è un tavolo esagonale con sei piccole sedie, dove i bambini giocano quando formano un gruppo ristretto.
Nella stanza si trova anche un lungo tavolo basso rettangolare, dove i piccoli giocano e si riuniscono per fare la merenda. Dietro il tavolo c’è un armadio basso a scaffali, chiuso, all’interno del quale sono collocati i giochi di costruzione e di concentrazione. Ci sono anche alcuni puzzle, che vengono tirati fuori solo in momenti particolari della giornata, quando il gruppo dei bambini è piuttosto tranquillo e integrato. Sopra il ripiano dell’armadio basso c’è la cesta del lego e quella degli animali. Un muretto (alto circa un metro e venti) separa il lavabo da un armadio che viene scherzosamente definito ‘l’ufficio di Masal’. Di fianco c’è una casetta di legno a dimensione di bambini con dentro alcune bambole, due culle di legno e qualche mensola con pentoline e piattini. Accanto alla casetta ci sono uno specchio e una carrozzina per le bambole.
Una porta comunica con la stanza dei bambini grandi. Accanto alla porta c’è uno scivolo, sotto al quale stanno molti giochi: tra questi una grande culla di legno che contiene animali di peluche, pupazzi e palle colorate. I giochi sono disposti sempre nello stesso modo per non disorientare i bambini. Man mano che crescono collaborano anche loro a riordinare la stanza.
Lo spazio dei bambini grandi
Anche alla stanza dei ‘grandi’ si accede dalla saletta di ingresso. Questa stanza è simile a quella dei piccoli ma molto più spaziosa.
Ci sono due tavoli grandi, uno scivolo, una casetta e vari giochi posti sulle mensole. In un angolo della stanza c’è un letto vero, con molte bambole e cuscini. In questa stanza sono stati volutamente creati numerosi angoli che permettono ai bambini di isolarsi a gruppi di due o tre.
Per favorire le attività di movimento si spostano tavoli e sedie, rendendo così possibile ballare, recitare, far ginnastica e riposare su grandi materassi di gommapiuma.
Uno scatolone di legno contiene vestiti per travestirsi e imitare gli adulti; per favorire i giochi proiettivi c’è un teatrino di legno e una cesta piena di marionette.
Sulle pareti sono appesi i disegni dei bambini, maschere di cartapesta fatte da loro e due quadri d’autore. In questa stanza teniamo anche il giradischi e numerosi dischi.
La disposizione che ho descritto risulta molto comoda e funzionale, sia per i bambini sia per le educatrici che li seguono.
All’esterno dei locali del Centro ci sono due grandi vasche di sabbia dove tutti i bambini giocano nelle giornate di sole, quando fa abbastanza caldo.
Una giornata tipo
È difficile descrivere una giornata tipo perché, a voler essere veramente precisi, non esiste. È più giusto forse dire che, nel tempo, ho finito per strutturare in un certo modo le nostre giornate, cercando di cogliere il ritmo di vita e di interessi dei bambini per rispondere alle loro esigenze nel modo più adeguato possibile.
Nel gruppo dei piccoli
I bambini (in tutto otto-dieci) arrivano tra le 8.30 e le 10.00. La prima ora ci sono io ad accogliere ognuno personalmente e approfitto dell’occasione per scambiare due parole anche con i genitori.
Verso le 9.00 i bimbi grandi si spostano, con