Siria: La strategia del caos sotto i nostri occhi
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Paolo Sensini
Storico ed esperto di geopolitica, per Jaca Book ha curato (con S. Rapetti) Il terrore rosso in Russia di Sergej Mel'gunov (2010), Nel paese della grande menzogna di Ante Ciliga (2007), Libia. Da colonia italiana a colonia globale (2017) e Siria. La strategia del caos sotto i nostri occhi (2017).
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Siria - Paolo Sensini
LA SIRIA NEL PERIODO MODERNO: DAGLI OTTOMANI ALL’INDIPENDENZA
di Khairiyya Qasimiyya¹
La province siriane dell’impero ottomano fino al XVII secolo
Agli inizi del XVI secolo la Siria divenne una regione parte dell’impero ottomano. Nonostante il legame islamico tra gli arabi e i turchi, i primi conservarono un sentimento nascosto delle differenze di radice, lingua e cultura. Il sistema amministrativo ottomano venne applicato alla Siria suddividendola, secondo le necessità del governo locale, in province (wilāyāt) che conobbero piccoli cambiamenti con lo scorrere del tempo: Aleppo, Damasco, Tripoli e Sidone (Acri divenne provincia anch’essa alla fine del XIX secolo, dopo che la regione di Gerusalemme fu elevata a sangiaccato).
Il governatore e gli amministratori erano incaricati con una delega inzialmente della durata di un anno per il potere amministrativo, la riscossione delle imposte e l’amministrazione della giustizia.
Il governo era però garantito anche dalla partecipazione di alcune figure locali. Il registro degli amministratori pubblici (al-dīwān) delle varie province riuniva i grandi ulamā’ locali, che lavoravano solitamente nei maggiori centri religiosi; facevano eccezione la carica del qādi, presente in ogni centro urbano, e i rappresentanti di categorie come quella dei notabili, che avevano guadagnato influenza attraverso l’attività agricola o in altri modi, così da ottennere gradatamente il riconoscimento ufficiale da parte del governo come rappresentanti locali. Lo stesso avvenne per i rappresentanti dei commercianti, delle corporazioni e delle scuole sufiche. Con il tempo, aumentò il ruolo di questi gruppi e organizzazioni locali legate al popolo, che avevano come obbiettivo difendere i propri interessi e occupare il vuoto politico creatosi tra il governo centrale e la popolazione.
Il legame delle province siriane con il governo centrale fu di massima fiducia, considerata la loro importanza rispetto a province più lontane, almeno fino al culmine della gloria ottomana. Infatti Damasco costituiva il centro dell’organizzazione del pellegrinaggio, mentre Aleppo quello del commercio internazionale. Questo rapporto con il potere caratterizzava dunque i centri maggiori, le grandi pianure, le vallate dei fiumi e le zone intorno alle città. Nelle restanti regioni il potere fu lasciato nelle mani delle famiglie locali, la cui autorità si ergeva su basi religiose, fondiarie o claniche. Gli Ottomani incoraggiarono il consolidarsi di numerosi potentati locali che si bilanciavano reciprocamente tra loro, così da impedire che uno qualsiasi tra questi divenisse in grado di minacciare l’equilibrio della regione.
Segnali della debolezza ottomana, conseguenza di ragioni militari, economiche e politiche, apparvero fin dalla seconda metà del XVIII secolo. La conseguente sclerosi dei confini comportò influenze sullo sviluppo dei territori e la diminuzione delle truppe, in particolare di quelle territoriali arruolate sulla base dei latifondi. Decrebbe l’influenza del potere centrale e apparvero forze locali ribelli che, legittimato il loro potere con la riscossione delle tasse, sostennero il pagamento di truppe mercenarie per consolidare la propria autorità nei confronti del potere ottomano e dell’avversario locale di turno. Queste forze però, nonostante la loro energia liberatrice, non proclamarono mai la propria piena indipendenza, per la ragione fondamentale che il sultano ottomano, anche nella sua debolezza, restava il capo dei musulmani e un’eventuale frammentazione avrebbe offerto l’impero alla bramosia di forze nemiche esterne (si veda ad esempio nel 1773 l’ingresso di Dāhir al-‘Amr nell’alleanza con l’egiziano ‘Alī Bey e il sostegno delle forze marittime russe al loro progetto).
Nonostante ripetute guerre e insurrezioni locali, il periodo ottomano si caratterizzò come tempo di ripresa dei traffici mondiali e, grazie a ciò, la Siria rimase tra i centri di comunicazione più importanti nel commercio tra Oriente ed Europa con i conseguenti grandi guadagni che resistettero anche ai cambiamenti successivi alla scoperta della via marittima diretta per l’India intorno al Capo di Buona Speranza. Gli stranieri svolsero un ruolo principale in questo commercio (gli italiani principalmente, poi gli inglesi e i francesi): nelle maggiori città commerciali crebbero quartieri speciali per questi gruppi e con essi anche uffici e alberghi nelle zone portuali. Aleppo e Damasco erano tra i maggiori centri di transito, dove confluivano e defluivano tappeti persiani, mussolina indiana e perle, e da dove si esportavano anche merci di provenienza locale (tessuti, tappeti, armi e prodotti in rame) che, attraverso queste città, raggiungevano gli scali marittimi dove potevano essere comprate dai mercanti europei.
Un aiuto al potere degli europei nel commercio venne dall’istituzione delle concessioni: atti specifici che concedevano ai mercanti europei diritti e privilegi particolari. Erano vere e proprie facilitazioni che il sultano accordava volontariamente ai commercianti stranieri e che da questi furono sfruttate, nel momento della debolezza dello Stato ottomano, ai fini dell’asservimento coloniale divenendo infine causa del ritardo dello sviluppo interno.
La Siria tra la «Questione d’Oriente» e le riforme ottomane
Parallelamente allo sviluppo dell’industria in Europa, aumentò la bramosia europea nei confronti dell’Oriente arabo-ottomano e si rafforzò la lotta tra i maggiori Stati per spartirsi l’impero e i suoi territori. Questa lotta, che prese il nome di «Questione d’Oriente», occupò un posto importante nella diplomazia europea fin dalla fine del XVIII secolo. La Siria cadde nel vortice degli avvenimenti internazionali e fu tra quei Paesi arabi che, una volta occupati, rappresentarono per Napoleone la possibilità di creare un impero coloniale che gli consentisse di compensare i possedimenti da poco persi, minacciare la supremazia inglese sui mercati mondiali e coloniali e rinforzare l’autorità francese in Oriente. Il progetto si scontrò con una rivolta locale (Acri 1799) che bloccò a Napoleone la strada verso nord, anticipando il totale fallimento della spedizione egiziana.
In seguito la Siria entrò nel corso delle riforme ottomane, provocate dalla crisi del sistema militare nel primo quarto del XIX secolo, che imposero il ritorno a una struttura amministrativa urbana con l’abolizione della leva legata ai latifondi e il conseguente scioglimento di parte delle truppe. Ciò suscitò contestazioni spontanee, subito sfruttate dall’egiziano Muhammad ‘Alī, che avanzò progetti ambiziosi anche riguardo ai territori arabi della sponda asiatica. Il suo piano di realizzare un grande Stato arabo non era certo possibile senza l’acquisizione della Siria: annetterla ai suoi possedimenti significava rafforzare i confini orientali e garantire l’indipendenza dell’Egitto dalla Sublime Porta. Oltre a ciò era di fondamentale importanza la natura stessa della Siria in quanto regione tra le più ricche dell’impero nonché produttrice di stoffe di seta, grano, lana, olio e frutta. La regione sarebbe infine dovuta divenire il mercato idoneo per la produzione industriale egiziana.
Le forze di Muhammad ‘Alī occuparono dunque la Siria senza che venisse opposta loro alcuna resistenza e iniziarono un programma di riforme seguendo lo stesso schema sperimentato in Egitto. Queste comportavano l’incoraggiamento alla produzione agricola, lo sviluppo dell’industria e del commercio, la modernizzazione delle città, l’ampliamento del commercio estero, il rafforzamento del potere centrale con una forte organizzazione amministrativa nelle città minori e un corso di riforme nel campo dell’insegnamento.
Ma i grossi pesi che gravavano sulle spalle dei contadini, la leva decretata e le vessazioni dei possidenti terrieri suscitarono un’ondata di sollevamenti che ebbero inizio in Palestina per poi estendersi nelle zone meridionali dell’Hawrān e di Laja. La situazione interna si complicò con l’intervento delle potenze straniere, in special modo l’Inghilterra che, guardando al potere di Muhammad ‘Alī come una minaccia per la propria centralità e le proprie vie di comunicazione, intervenne con il pretesto di difendere le terre dello Stato ottomano. La Siria tornò così a essere il teatro degli scontri tra le forze turche e quelle di Muhammad ‘Alī fin quando le armi inglesi e austriache non scesero nelle zone delle pianure siriane e lo costrinsero a ritirarsi in cambio dell’assicurazione del rispetto del diritto di successione in Egitto per la sua discendenza (1840).
Dopo il ritorno della Siria nell’impero, la Sublime Porta ne pianificò l’amministrazione istituendo nuove leggi e dando corso a nuove suddivisioni amministrative (le province di Sidone e Tripoli furono accorpate in una provincia unica con Beirut come capitale). Le questioni interne però non si consolidarono e, proprio nelle dispute tra parti diverse, le potenze straniere trovarono un’occasione per penetrare (specie in Libano), così come i diversi possidenti terrieri sfruttarono le differenze dottrinali tra le varie comunità per suscitare rivolte locali, nel tentativo di consolidare la proprietà e la loro autorità personale. Allo stesso tempo, la politica degli interventi stranieri, in complicità con i poteri ottomani, lavorava al cuore del movimento di liberazione cercando di ridurlo a mero movimento religioso: l’obbiettivo era delegittimarlo così da poter cambiare a proprio vantaggio il sistema latifondista.
La seconda fase delle riforme ottomane facilitò la penetrazione di capitali stranieri sotto forma di accordi internazionali. Inghilterra e Francia conservarono il loro ruolo centrale all’interno dell’impero ottomano specie nelle regioni arabe, nonostante l’accresciuta forza della penetrazione tedesca. La Siria era la principale regione soggetta all’influenza francese, l’Inghilterra era presente invece in Iraq e in una parte della Palestina. La Francia s’impegnò nel trasformare la Siria in una base per la produzione di tessuti vegetali, in particolare della seta; a questo scopo furono costruiti il porto di Beirut e una rete ferroviaria, così come furono aperte filiali per le banche francesi.
Allo stesso tempo, un’altra via per l’occupazione straniera in Siria era rappresentata dalle attività missionarie. La loro presenza si rafforzò fin dagli anni Quaranta del XIX secolo attraverso l’apertura di scuole e fondazioni; ad esempio l’iniziativa missionaria cattolica (lazaristi e gesuiti) fondò una rete di scuole e istituti religiosi. Ugualmente entrarono in competizione le missioni americane (l’Università Protestante Siriana), mentre la Russia inviò la prima missione religiosa a Gerusalemme nel 1840. L’Inghilterra invece sostenne le missioni protestanti tedesche e allo stesso tempo incoraggiò l’immigrazione ebraica. Differenti tipi di progetti sionisti vennero abbozzati grazie all’appoggio inglese, che in essi vedeva una garanzia per la sicurezza delle sue relazioni imperiali. La competizione internazionale si rifletteva in Siria attraverso la contesa tra le differenti missioni religiose e la trasformazione della controversia in crisi internazionale servì poi come espediente per lo scoppio della «guerra orientale» (1853-1856, guerra di Crimea) aprendo così la strada all’incremento dell’occupazione straniera.
Il risveglio culturale e la questione araba
Questi sviluppi, interni ed esterni, spinsero un certo numero di intellettuali siriani a ricorrere alla cultura come unico mezzo per esprimere la tolleranza religiosa, per affrontare l’occupazione straniera e invitare al risveglio (nahda) culturale dopo un lungo periodo di stagnazione intellettuale. Al-Bustānī e al-Yazājī parteciparono insieme ad altri letterati al movimento di rivivificazione dell’eredità araba, invitando gli arabi ad affrontare in senso positivo le differenze di credo in un momento nel quale non cessava la violenza del fanatismo.
Diplomati in scuole straniere avviarono il confronto con l’Occidente tramite ricerche scientifiche svolte in maniera individuale; studi locali formarono culturalmente il nucleo da cui venne poi elaborata la richiesta di riforme sociali e religiose. Il risveglio passò dall’ambito culturale a quello politico sotto forma di associazioni e partiti politici (Associazione segreta di Beirut, 1875) per compiere un primo passo verso ciò che è possibile chiamare nazionalismo. Apparvero numerosi lavori letterari che ebbero grande influenza nel risveglio nazionale (gli scritti di al-Kawākibī e di ‘Azūrī).
Di fatto, però, il movimento arabo nei suoi primi passi non aveva un particolare carattere che lo distinguesse dal riformismo interno all’impero ottomano: aspirava infatti a una qualche forma di autogoverno piuttosto che a un’indipendenza completa. Ciò avveniva, inoltre, avendo cura del legame islamico all’interno del mondo ottomano e temendo sempre le ambizioni occidentali che puntavano su gran parte della nazione araba (Umma).
Gli arabi siriani ebbero un ruolo chiave tra gli intellettuali e gli ufficiali del movimento dell’assemblea turca al-Fatat e della