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Goodbye Irpinia
Goodbye Irpinia
Goodbye Irpinia
Ebook380 pages4 hours

Goodbye Irpinia

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About this ebook

Un'antica maledizione. Un’oscura presenza. Un paese in ostaggio.

Steve Caruso, giornalista italo-canadese, viene inviato dal suo giornale a Montaguto, paesino del Sud Italia dov’è scomparso un bambino di otto anni, ritrovato l’indomani. Pochi giorni dopo, spariscono due trentenni. Nel '95 si persero le tracce di un altro ragazzino, Luigi Altieri.

Gli indizi portano alla "Cappella Maestri", un monumento funerario dov’è custodito l’inquietante ritratto di un ingegnere morto a Toronto. Nel frattempo, una frana mastodontica continua la sua discesa verso valle, riportando a galla una lugubre storia.

Insieme al giornalista Alberto Cataldi, Steve ingaggia una corsa contro il tempo per salvare i ragazzi, col supporto di una comunità di montagutesi di Toronto e New York. I due diventeranno testimoni di una verità terribile, tenuta nascosta per secoli sotto la nuda terra. Una terra che ingoia tutto ciò che trova sul suo cammino.

Goodbye Irpinia è il primo Paper novel al mondo – un romanzo-inchiesta tra fiction e realtà che, con l’ausilio di inserti giornalistici creati ad hoc – trasporta il lettore in un viaggio reale/immaginario tra l’Italia e l’America. Ma è anche la malinconica storia dei tanti emigrati che soffrono a stare lontani dalla propria terra. Anche se, come rivela l’autore: “Puoi provare a lasciare il paese ma è il paese che non ti lascerà mai”.

LanguageItaliano
Release dateSep 12, 2019
ISBN9788869345494
Goodbye Irpinia
Author

Mike J. Pilla

Mike J. Pilla è nato a Napoli nel dicembre 1982. Giornalista e conduttore radio/televisivo, appassionato di lettura e scrittura, dirige il giornale online Montaguto.com, che sin dall'inizio ha destato grande interesse da parte della comunità montagutese all’estero, diventando in poco tempo un vero e proprio riferimento per gli italo-americani, il primo social network "glocal". L’amore e la dedizione verso gli italiani all’estero gli permette di ricevere nel 2017, proprio grazie al progetto Montaguto.com, un prestigioso riconoscimento a New York. Qui, insieme al collega e amico Luigi Liberti, decide di creare Patrimonio Italiano Tv, la webtv degli italiani all’estero, di cui è direttore responsabile. Con questo network inizia a viaggiare tantissimo tra Europa e America, dove entra in contatto con tantissime meravigliose realtà molto eterogenee tra loro, tenute insieme da quel collante fantastico che è l’italianità. Patrimonio Italiano Tv gli vale la prestigiosa “Citation” da parte del Presidente del Borough di Brooklyn, Eric Adams, ancora una volta a New York. Il suo romanzo thriller Goodbye Irpinia, dedicato a tutti gli emigrati italiani che soffrono lontani dalla propria terra, è il primo paper-novel al mondo. Il suo sito è: www.michelepilla.it

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    Book preview

    Goodbye Irpinia - Mike J. Pilla

    Mike J. Pilla

    Goodbye Irpinia

    Paper Novel

    © Bibliotheka Edizioni

    Via Val d’Aosta 18, 00141 Roma

    tel: +39 06.86390279

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, settembre 2019

    Isbn 9788869345487

    e-Isbn 9788869345494

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,

    del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta

    dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Disegno di copertina: Paolo Niutta

    www.capselling.it

    Progetto grafico:

    Brozzolo Riccardo per Eureka3 S.r.l.

    www.eureka3.it

    Myke J. Pilla

    Mike J. Pilla è nato a Napoli nel dicembre 1982. Giornalista e conduttore radio/televisivo, appassionato di lettura e scrittura, dirige il giornale online Montaguto.com, che sin dall’inizio ha destato grande interesse da parte della comunità montagutese all’estero, diventando in poco tempo un vero e proprio riferimento per gli italo-americani, il primo social network glocal.

    L’amore e la dedizione verso gli italiani all’estero gli permette di ricevere nel 2017, proprio grazie al progetto Montaguto.com, un prestigioso riconoscimento a New York. Qui, insieme al collega e amico Luigi Liberti, decide di creare Patrimonio Italiano Tv, la webtv degli italiani all’estero, di cui è direttore responsabile. Con questo network inizia a viaggiare tantissimo tra Europa e America, dove entra in contatto con tantissime meravigliose realtà molto eterogenee tra loro, tenute insieme da quel collante fantastico che è l’italianità. Patrimonio Italiano Tv gli vale la prestigiosa Citation da parte del Presidente del Borough di Brooklyn, Eric Adams, ancora una volta a New York.

    Il suo romanzo thriller Goodbye Irpinia, dedicato a tutti gli emigrati italiani che soffrono lontani dalla propria terra, è il primo paper-novel al mondo.

    Il suo sito è: www.michelepilla.it

    Può pruà a lassà lu paése, ma è lu paése ca nun te lassa maije

    A zia Lina, zio Rocco e ai miei nonni.

    So che da Lassù

    avete fatto il tifo per me.

    Nota dell’Autore

    Neanche a farlo apposta, proprio in questi giorni, alla fine del 2018, la frana di Montaguto ha deciso di tornare a muoversi. Era dal luglio del 2010, otto anni e mezzo fa, che la terra aveva arrestato la sua marcia, bloccata con opere di canalizzazione che hanno provveduto sinora a drenare l’acqua. Ebbene, dalla fine del 2018 l’allarme è tornato a farsi rosso, le canalizzazioni si sono otturate e l’acqua ha ripreso ad ammorbidire la terra. Qualcuno parla di scarsa attenzione da parte delle competenti autorità. E allora questo romanzo torna quantomai di attualità, e spero possa essere utile a tenere alta l’attenzione. La frana di Montaguto è protagonista di questo libro, ne permea ogni pagina. Mi auguro che possa continuare a restare protagonista solo di un’opera letteraria e nulla più.

    Opera, questa, che quindi descrive fatti reali e fatti di finzione. I personaggi sono frutto di fantasia, i luoghi no. Ho cercato di descrivere in modo più aderente possibile alla realtà tutto ciò che concerne dettagli tecnici della frana e dei lavori realizzati, avvalendomi di un consulente fondamentale come l’ingegner Giancarlo Giovino, che ringrazio di cuore. Un grazie anche a Mario De Biase, il commissario, e all’ingegner Paolo Barsotti. E, naturalmente, agli uomini della Protezione Civile Nazionale, su tutti gli ingegneri Nicola Dell’Acqua e Angelo Pepe, e a quelli dell’XI Reggimento Genio Guastatori di Foggia. Qualunque errore è da ascrivere soltanto a me – in alcuni casi ho dovuto riassumere dettagli tecnici, e mi scuso se ho riportato inesattezze. Un grazie anche a tutti coloro che ci avevano liberato della frana e a tutti i colleghi irpini che non hanno mai smesso di informare e segnalare, tra tutti Gianni Vigoroso, Antonio Big Wave Perna, Flavia Squarcio, Vincenzo Grasso e Barbara Ciarcia. Un grazie anche a Tonio Tondo, che mi ha chiesto di fargli da Cicerone per il paese.

    Montaguto è un paese reale, come reali sono i problemi descritti in questo romanzo che attanagliano tutti i piccoli paesi italiani, spesso ignorati dalla politica nazionale.

    Ma è anche un luogo dell’anima, il rifugio sicuro dove trovare riparo e ristoro dagli stress della vita quotidiana. È lì che è nato tutto questo, nel lontano agosto del 1996. È lì che ho deciso di diventare scrittore, o quanto meno di provarci. Proprio a Montaguto, avvalendomi della Remington di mio nonno Michele.

    Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via, scriveva Cesare Pavese, e aveva terribilmente ragione. Se avete un paese, abbiatene cura. Potrebbe servirvi più di quanto immaginiate.

    Prologo

    Toronto, Canada - Giovedì 19 agosto 2010, ore 12.00

    Un’antica maledizione. Un’oscura presenza. Un paese in ostaggio.

    Quello che state iniziando a leggere non è un vero e proprio romanzo, per quanto si tratti comunque di una storia thriller: lo definirei piuttosto un paper novel, un’opera dove realtà e finzione si rincorrono senza soluzione di continuità. Un paper novel, un romanzo che è a metà strada tra una storia e un’inchiesta giornalistica. La mia inchiesta giornalistica.

    Vi svelerò subito il primo segreto di questa inquietante e misteriosa storia: in realtà, per quanto possa sembrarvi incredibile e assurdo, nulla di ciò che leggerete è frutto di invenzione. L’ho vissuto sulla mia pelle e vi dirò: sono stato molto vicino a cancellare tutto, a bruciare i miei appunti e distruggere tutti i documenti di cui sono venuto in possesso. La mia unica intenzione era quella di dimenticare ogni cosa, e sono stato davvero tanto così dal farlo. Se non l’ho fatto è per merito, o a causa, di una foto, un’immagine piccola, sgranata e in bianco e nero incastonata in un articolo a piè di pagina di un quotidiano argentino. Una foto che mi ha spronato a ripescare dal fondo del cassetto della mia scrivania l’immensa mole di appunti che ho raccolto nel corso di quasi cinque mesi in giro tra Italia, Canada e Stati Uniti e fonderli in un tutt’uno, in questa sorta di ibrido letterario.

    L’inizio di questo romanzo è stato scritto dopo la sua fine, esattamente un’ora dopo averne concluso la stesura, o meglio: questo romanzo è stato scritto in seguito alla sua fine, per come sono andati gli eventi.

    Intanto, mi presento: sono Stephen Caruso, Steve, e sono un giornalista italo-canadese. Vivo e lavoro a Toronto praticamente da quando sono nato. I miei genitori sono originari di Pizzo Calabro, una cittadina del sud Italia, nella splendida Calabria, e più volte sono stato laggiù in vacanza. Posti meravigliosi, luoghi incantevoli e gente splendida. E il mare… che ne parliamo a fare!

    Il perché di questa doverosa premessa è presto detto, e ne approfitto per chiedere scusa a tutti coloro che troveranno questo mio esordio letterario un po’ strambo o comunque fuori dagli schemi: sappiate che questo è il mio primo – e forse unico – libro. Un viaggio-inchiesta che inizia dal sud Italia: non dalla mia Calabria, bensì da un paesino che definire piccolo sarebbe riduttivo. Si tratta di un puntino che neanche appare sulla gran parte delle cartine che ho consultato negli ultimi giorni. Non ci sono andato in vacanza e non ci sono stato per motivi personali: fu Harvey Coleman, il mio capo, a mandarmici.

    E oggi che sono qui, in questa soleggiata mattinata canadese di metà agosto, non so ancora se ringraziarlo o maledirlo. Per come sono andate le cose – e per quello che si è ritrovato anche lui a subire – propenderei più per la seconda ipotesi.

    Ma forse è meglio tornare indietro nel tempo a cinque mesi fa, a quel 7 marzo in cui Harvey Coleman mi convocò con urgenza nel suo ufficio. E quando Harvey Coleman convoca qualcuno con urgenza nel suo ufficio qualcosa di importante, di lì a breve, succede sempre.

    A me, per esempio, ha cambiato la vita.

    Toronto, Canada - Domenica 7 marzo 2010, ore 11.30

    Quando Harvey Coleman mi convocò nel suo ufficio per una riunione urgente pensai che fosse coinvolta tutta la redazione culturale del Toronto Herald, tre persone più il caposervizio, Matthew Coletti. Ritrovarmici invece da solo con Harv accese il mio primo campanello d’allarme.

    Così cominciai a passare mentalmente in rassegna gli ultimi articoli che avevo scritto durante la scorsa settimana. Quelle che lui chiama riunioni urgenti si traducevano spesso in furiose lavate di capo per qualcosa che non era andata a genio a lui, alle istituzioni oppure agli sponsor. Tra le cose che avevo pubblicato negli ultimi giorni sulle pagine dell’Herald, però, non me ne venne in mente nessuna che avrebbe potuto farlo incazzare fino a quel punto. Infatti non era quello il problema, e anzi, quando entrai nel suo ufficio mi accolse con aria soddisfatta, quasi festosa. La qual cosa mi insospettì ancor di più. Harvey Coleman non è il tipo di capo che accoglie con aria festosa un suo sottoposto.

    «Ciao, Steve», salutò mostrandomi un sorriso sornione. Aveva l’aria di un venditore e io il suo primo cliente dopo mesi di magra.

    «Buongiorno, Harv. In che pasticcio mi sono messo per meritarmi tutto questo?»

    «Questo cosa?»

    «Hai detto riunione urgente, e di solito le riunioni urgenti non sono mai così allegre. E visto che ci sono soltanto io, qua dentro, mi dichiaro sin da subito colpevole senza attenuanti!» Sorrisi per alleviare la tensione.

    Il suo sorriso si allargò più del mio. «Steve Steve Steve», disse voltandosi verso la finestra che affacciava su Rodick Road, nella municipalità di Markham, la quarta più popolosa della Grande Toronto. È considerata la capitale dell’Hi-Tech canadese con grandi aziende del settore. «Non sono così carogna come sembro.»

    Risposi con un sorriso a mia volta, pensando che nessun boss è mai meno carogna di quanto sembri, ma tenni per me quel pensiero e mantenni un dignitoso silenzio.

    «E dunque, esauriti i convenevoli, ti starai chiedendo per quale motivo ti abbia convocato urgentemente. Bene, ti dice niente la parola Montaguto?»

    Caddi dalle nuvole. «No. Dovrebbe?»

    Tornò alla sua scrivania, sedette e girò il monitor verso di me. Lo schermo mi mostrò la home page di un giornale online in italiano, Cronache Arianesi, che titolava: Mistero a Montaguto, ragazzino di otto anni scompare nel nulla.

    «Un paese italiano?», domandai.

    «Esatto. La tua prossima meta!»

    «Cosa? No no no, aspetta un momento, boss. Che storia è questa?»

    Harvey piazzò un gomito sul piano di legno pregiato della sua enorme scrivania e poggiò il mento sul palmo della mano. «Non lo so. Dovrai raccontarmela tu.»

    «Ecco, lo sapevo che c’era la fregatura.»

    «Che vuoi dire?»

    «Che sai fin troppo bene che in questo periodo non posso allontanarmi troppo da casa! Maggie ha delle esibizioni importantissime che proprio non posso perdermi! Ne va della mia vita coniugale!»

    «Ah, e allora non c’è bisogno che mi ringrazi! Dunque, oltre a darti una bella occasione professionale sto anche migliorando quella personale!»

    Scossi la testa e sospirai.

    «Okay, torniamo seri. Steve, tu che cosa sei?»

    «Un giornalista», risposi impaziente, come uno scolaro a cui devi ripetere la lezione per l’ennesima volta.

    «No, Steve. È qui che ti sbagli. Tu sei un bravo giornalista. Tu sei un ottimo giornalista, forse persino nella lista dei migliori che io conosca.»

    «Boss…»

    «E se non mi chiamassi boss, finiresti persino tra i primi tre, mio caro. E io, per premiarti, ho deciso di regalarti un bello scoop! Torni a fare l’inviato, e farai un bellissimo viaggio, di cui voglio descrizioni dettagliate con resoconti sintetici. Non azzardarti neanche per scherzo a mandarmi reportage di oltre quattro cartelle che va a finire direttamente in quel cestino sotto la mia scrivania!» Si alzò e andò alla finestra. «Sorridi alla vita, mio giovane sottoposto! Te ne vai dieci giorni in Italia. Dieci giorni se tutto finisce bene, ovviamente.»

    «Dieci giorni? L’ultima volta che mi hai mandato in Europa mi ci sono volute trentasei ore per riprendermi dal viaggio!»

    Si voltò verso di me. «Stevie, questa è un’emergenza.» Sentirmi chiamare Stevie aumentò il mio personale livello di allarme – e di rabbia, aggiungo – da rosso a porpora. «Mark è impegnato con il G7, Paul ha la bronchite e quei due omicidi in centro a Toronto stanno mettendo a dura prova Hannah e Leonard. Sai benissimo che non ti considero una ruota di scorta e so perfettamente che hai problemi a muoverti ma non si può fare diversamente.»

    Il boss strinse gli occhi piccoli e sguscianti e attese un mio segno di reazione. Mi limitai a sospirare nuovamente.

    «E dove si trova questo Monta…»

    «Montaguto. Si tratta di un piccolo paese del sud Italia, a poca distanza da Napoli.»

    «D’accordo, Harv, adesso giochiamo a carte scoperte. Perché mai un grande giornale di Toronto manda uno dei suoi uomini di punta in un piccolo paese del sud Italia per raccontare di un bambino scomparso?»

    Mi invitò a guardare nuovamente il monitor. Indicò l’articolo di spalla, sulla destra, che titolava: Allarme frana, dopo la nomina il commissario Feola annuncia: «La tratta ferroviaria è in pericolo».

    «Non si tratta soltanto del bambino scomparso. C’è anche questa frana gigantesca che sta tagliando in due l’Italia. Si dice che sia la più vasta d’Europa.»

    «E le due cose sono collegate?»

    «Non credo, ma dovrai rovistare un po’.»

    «E questo non cambia la mia domanda. Te lo chiedo ancora una volta, Harv: per quale motivo il Toronto Herald dovrebbe interessarsi a roba del genere inviando qualcuno da qui?»

    Mi guardò come se volesse dirmi qualcosa ma stesse ripiegando su un’altra, omettendo particolari importanti. Era proprio quello che stava facendo, come avrei scoperto in seguito. «Perché come ben sai, Steve, qui a Toronto c’è una vasta comunità di italiani. E, tra questi, ci sono tanti montagutesi. E perché, come ben sai anche stavolta, non stiamo attraversando un buon momento. Abbiamo bisogno di storie, per vendere, e dobbiamo togliere lettori italiani alla Gazette. Loro vanno forte, tra i tuoi connazionali.»

    Sospirai. «E quando dovrei andarci?»

    «Questa notte. C’è già un biglietto a tuo nome.»

    Ore 14.30

    Impiegai quel che restava della mattinata e la primissima parte del pomeriggio a effettuare alcune ricerche su quella storia e, secondo quanto emerse, per essere un paese così piccolo e scarsamente abitato a Montaguto ci si annoiava davvero poco, e non solo a causa di quella che era stata definita la frana più vasta d’Europa. Quello che Harv mi aveva mostrato era il secondo caso di scomparsa di un ragazzino nel giro di quindici anni, come raccontava l’edizione del 26 agosto 1995 de La gazzetta del Cervaro, un giornale locale che, con un bel colpo di fortuna, avevo trovato sul web e che ho inserito all’inizio del capitolo seguente.

    Dov’è finito Luigi Altieri?, strillava il titolone sparato a caratteri cubitali in prima. Un altro bambino scomparso in quindici anni da un paese di circa quattrocento persone. Esattamente 415, nel 2011 – più o meno quanto quelli che lavoravano nelle due fabbriche di Rodick Road che circondavano la nostra redazione – contro i 2.470 del 1931: in meno di un secolo la popolazione si era abbassata di sei volte.

    Situato tra due regioni, Campania e Puglia, a 730 metri sul livello del mare: un buon punto di partenza, per me che adoro la collina. Note caratteristiche: le tante fontane e una gigantesca frana, la più imponente d’Europa, che da anni creava grossi disagi alla popolazione. Più di tre chilometri di lunghezza, oltre 670mila metri quadrati di superficie e circa 10 milioni di metri cubi di volume.

    Secondo le cronache recenti, dal 2006 l’enorme movimento di terra minacciava anche la tratta ferroviaria ai piedi del paese, una linea che collegava il centro con il sud est dell’Italia e le previsioni di tecnici ed esperti non davano buone speranze. Insomma, di spunti per raccontare buone storie ce n’erano in abbondanza.

    Misi da parte tutto il materiale che avevo raccolto e tornai a casa per prepararmi al viaggio che mi avrebbe riportato in Italia dopo tre anni dall’ultima visita ai miei parenti in Calabria.

    Maggie parve abbastanza comprensiva e non sembrava affatto dispiaciuta per la mia partenza, che mi avrebbe costretto a saltare le cinque gare di equitazione che l’avrebbero tenuta impegnata per tutta la settimana a venire e l’altra ancora. Aveva lavorato duro, soprattutto perché veniva da un anno di stop dopo una brutta caduta da cavallo. E poi c’era il saggio finale di danza moderna di nostra figlia Sarah.

    Eppure, nonostante la grande importanza che aveva il suo ritorno in sella, probabilmente dovetti apparirle io stesso fin troppo seccato di partire perché sembrò quasi lei a incoraggiare me. «Tesoro, la mia è soltanto una gara», disse mentre mi aiutava a preparare le valigie. Sarah era a scuola di ballo e noi avevamo la nostra grande casa tutta per noi. «Questa per te è un’occasione enorme, Steve. Magari ti passano agli esteri!»

    Sorrisi e mi resi conto che aveva ragione, come sempre, del resto: nel giro di un anno, infatti, le cose all’Herald erano totalmente cambiate in peggio. Io ero passato dalla cronaca alla cultura, un incarico di maggior prestigio che mi aveva introdotto a un mondo nuovo fatto di vernissage, convegni, presentazioni di libri e mostre. Da inviato guadagnavo molto di più e pubblicavo spesso in prima pagina ma adesso la mia vita era decisamente più equilibrata, anche se la cronaca era davvero il mio pane quotidiano. Non avevo comunque potuto oppormi alla decisione del consiglio di amministrazione del giornale. Nessuno di noi aveva potuto. A qualcuno era stato dimezzato il compenso, qualcun altro era addirittura finito a spasso. Da qualche tempo non ce la passavamo benissimo, a dire il vero, e poiché eravamo costantemente sotto esame, quella era un’occasione per dimostrarmi indispensabile, magari contribuendo con i miei articoli dall’Italia a un incremento delle vendite.

    Mi dispiaceva perdermi le gare di Mag e il saggio di Sarah, ma sapevo che ci sarebbero state altre occasioni nei prossimi anni, mentre per me quella era un’opportunità più unica che rara.

    Maggie mi accompagnò all’aeroporto Pearson di Toronto, quel pomeriggio. «Allora, di che si tratta realmente?», mi domandò mentre procedevamo neanche troppo a rilento sulla four-oh-one, l’autostrada 401.

    «Vorrei saperlo anch’io. Harv mi è sembrato criptico. Ti pare che mi mandino fin laggiù per un ragazzino scomparso e un po’ di terra che scivola da una montagna?»

    E infatti no, non poteva essere possibile. Ma avrei capito soltanto qualche giorno dopo che questa storia aveva per protagonista una comunità fiera e forte e i suoi tanti emigranti che, nel corso degli anni, non avevano più potuto farvi ritorno. Una storia molto più complessa di quella che mi era stata presentata.

    Un primissimo sospetto lo ebbi qualche ora più tardi quando, seduto sul mio sedile, cintura allacciata e appunti in grembo, rilessi la prima pagina de La Gazzetta del Cervaro, con quel suo titolo nero e bordeaux che poneva una semplice ma terrificante domanda: Dov’è finito Luigi Altieri?.

    Ero in aereo, e intorno a me sentivo l’eco delle parole di un’hostess e uno steward che illustravano pigramente le procedure di emergenza in caso di necessità. Il velivolo era ancora fermo nel suo stallo sulla pista, con il motore acceso, e alla mia destra una signora dai capelli rossi sulla cinquantina leggeva un tascabile ma sembrava sul punto di addormentarsi. E mentre aspettavo che l’aereo guadagnasse la pista e iniziasse il decollo verso la nazione che aveva dato i natali ai miei genitori, chiusi gli occhi anch’io per qualche momento, poi tornai a concentrarmi su tutto ciò che avevo trovato in rete su Montaguto, piccolo paese irpino che nascondeva un segreto tanto terribile quanto assurdo.

    1. Il bosco delle croci

    Roma, Italia - Lunedì 8 marzo 2010

    Atterrammo all’aeroporto di Fiumicino alle 9.10, con un fisiologico ritardo di circa mezz’ora sulla tabella di marcia dopo un volo senza turbolenze e con pochi vuoti d’aria, tanto che riuscii persino a ritagliarmi cinque ore di sonno tranquillo. Una volta a terra mandai un messaggio a Maggie dicendole che stavo bene ed ero in Italia, accolto da un cielo grigio e ancora invernale ma da una temperatura tutto sommato mite. Bevvi un ottimo caffè espresso e mangiai un pessimo cornetto alla crema, poi passai all’autonoleggio. Tra le mie ricerche, avevo anche progettato l’itinerario: per raggiungere Montaguto in tempi brevi avevo bisogno di un’auto per imboccare una strada ad alta velocità chiamata Grande Raccordo Anulare, che circonda Roma come una sorta di anello di asfalto. Il G.R.A. mi avrebbe condotto all’autostrada A1, che imboccai in direzione Napoli, verso Sud. Un po’ quello che avevo fatto altre volte per recarmi in Calabria.

    Impiegai circa quattro ore e mezzo per raggiungere lo scalo di Montaguto, dove un cartello giallo di lavori in corso informava che la strada che portava al paese era interrotta a causa di una grossa frana. Mancavano circa dieci chilometri alla meta.

    Mi fermai nei pressi di un forno e acquistai un pezzo di pizza al pomodoro. Chiesi informazioni al fornaio, un signore di mezza età alto e dinoccolato, con una pelata lucida sulla testa, un paio di occhi grandi e sporgenti e un pizzetto grigio chiaro, e lui mi consigliò di raggiungere Savignano Irpino e scendere dall’altro lato del paese. «Deve imboccare la strada interpoderale Ciccotonno, ma stia attento ai freni perché ha una pendenza terribile. Purtroppo allungherà il percorso di circa quindici chilometri e almeno mezz’ora, ma non ci sono alternative. La frana ha creato un disastro, e mi auguro che finisca presto sul binario bloccando la ferrovia. Solo così si decideranno a fare qualcosa anche per la strada!» L’uomo agitò una mano.

    «In che senso?», chiesi.

    «È dal 2006 che andiamo avanti così. La chiudono e la aprono, la chiudono e la aprono, e non c’è mai pace. La Statale 90, voglio dire. Sono tre mesi che è interrotta, tutto bloccato. La situazione è nerissima.»

    «Savignano Irpino», ripetei.

    «Esatto. E poi prenda la ‘Ciccotonno’. Non può sbagliare, è una via dritta. Stia attento ai camion.»

    Uscii e diedi un morso a quella squisita pizza. Tutt’intorno c’era una calma irreale, resa ancor più opprimente dal cielo plumbeo e dal freddo pungente. Non c’era anima viva nei paraggi, nessuna automobile in transito, neanche un clacson. Un paradiso. Mi sentii bene, in quell’angolo di mondo del sud Italia all’esterno di quel forno, mangiando pizza sulla Statale 90 delle Puglie.

    Pensai al ragazzino scomparso il giorno precedente, Andrea Fiorito. Pensai a Luigi, che non aveva mai più fatto ritorno a casa.

    Brutta storia, pensai. Brutta, brutta storia.

    La strada interpoderale Ciccotonno era diventata una via di collegamento fondamentale per oltrepassare il tratto di Statale 90 interrotto a causa della frana. Su alcuni articoli letti su internet, il giornalista Alberto Cataldi di Cronache arianesi l’aveva definita una strada killer per via delle numerose buche e degli avvallamenti che rendevano difficile la vita ai guidatori, e percorrendola con la mia auto constatai che ci aveva preso in pieno.

    A tre quarti del tragitto, su un lungo rettilineo con una pendenza terribile e asfalto decisamente disconnesso, alla mia sinistra apparve la famigerata frana. Fermai l’auto in una piazzola di sosta di fortuna e scesi a scattare alcune foto.

    Vista dal vivo, l’enorme massa di terra era davvero impressionante e ricopriva per intero il fianco della montagna, allargandosi via via che scendeva verso il basso fino alla strada, dove c’erano i mezzi di cantiere e gli operai che lavoravano senza sosta. Da lassù sembravano formiche che cercavano di non farsi risucchiare dalla terra. Da lassù, sembrava una lotta assolutamente impari.

    Risalii in macchina e raggiunsi il cantiere, dove c’era un gran trambusto: un’auto dei carabinieri coi lampeggianti accesi, due uomini in divisa che chiacchieravano con alcuni operai e, sul lato destro, nei pressi della strada denominata Provinciale 26, gruppetti di persone in cerca di qualcosa. O di qualcuno.

    Svoltai a destra per la Provinciale. Il suo asfalto scivolò pigro sotto le ruote dell’auto, con l’immensa valle del Cervaro che scorreva ai lati, i suoi paesini circostanti accoccolati beatamente sulle cime delle colline che si alternavano prima a destra e poi a sinistra, a seconda delle curve percorse. Nell’abitacolo si diffusero le note di This is the life, con la voce di Amy Mac Donald che accarezzava e graffiava l’aria. Amy Mac Donald mi piaceva e mi accompagnò lungo i sette chilometri che mi condussero prima al bosco di Montaguto – dove c’erano altre persone impegnate nella stessa ricerca, presumo, del ragazzino scomparso – e poi in paese.

    Piazza IV novembre, la porta d’ingresso di Montaguto, mi apparve sin da subito irreale, stranamente deserta e silenziosa, nessun essere vivente nel raggio di duecento metri. Fermai l’auto e scesi: la calma piatta del paese strideva con quello che avevo trovato allo scalo e al bosco. Si sentiva solo l’armonico scroscio dell’acqua della grande fontana dall’enorme basamento in pietra bianca – di Trani, mi avrebbero spiegato di

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