Cuore di tenebra
By Joseph Conrad and Luca Di Fulvio
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About this ebook
Volume numero 2 della collana "Classici" a cura di Pierluigi Pietricola.
Traduzione di Alessandro Pugliesi
Prefazione di Luca di Fulvio
Uno dei testi più letti della letteratura del '900 è un capolavoro di tensione narrativa, una delle più profonde riflessioni fra la dicotomia fra bene e male, ragione e follia.
Nel 1890 Conrad si recò per sei mesi in Africa: ne ritornò quasi in fin di vita, con un bagaglio di ricordi, disillusioni e "disgustosa conoscenza" da cui, nove anni dopo, sarebbe nato Cuore di tenebra. Marlow, il protagonista, viene ingaggiato da una compagnia commerciale e mandato in Congo. Qui, viaggiando tra gli orrori del colonialismo, incontra Kurtz, enigmatico personaggio reso folle dalla solitudine e da una "volontà di potenza" nella quale la civiltà bianca rivela il suo vero volto: quel "cuore di tenebra" che non è tanto l'oscurità della wilderness africana, quanto l'identità - la colpa - dell'uomo europeo.
Joseph Conrad
Polish-born Joseph Conrad is regarded as a highly influential author, and his works are seen as a precursor to modernist literature. His often tragic insight into the human condition in novels such as Heart of Darkness and The Secret Agent is unrivalled by his contemporaries.
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Book preview
Cuore di tenebra - Joseph Conrad
Joseph Conrad
CUORE DI TENEBRA
Traduzione di Alessandro Pugliese
Prefazione di Luca di Fulvio
© Bibliotheka Edizioni
Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma
tel: (+39) 06. 4543 2424
info@bibliotheka.it
www.bibliotheka.it
e-Isbn 9788869347412
Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo
Joseph Conrad
Joseph Conrad, pseudonimo di Teodor Józef Konrad Korzeniowski, nacque a Berdičev in Ucraina nel 1857 e morì a Bishopsbourne nel Kent nel 1924.
Appassionato della vita di mare, a diciassette anni s’imbarcò a Marsiglia come mozzo su una nave francese; nel 1878 passò sotto bandiera inglese; nel 1884 conseguì il brevetto di capitano, naturalizzandosi britannico.
I continui viaggi affrontati e il grande spirito d’osservazione dell’autore si riveleranno fondamentali per la stesura dei suoi romanzi e dei suoi racconti: La follia di Almayer (1895); Un reietto delle isole (1896); Il negro del Narcissus (1898); Lord Jim (1900); Giovinezza (1902); Tifone (1903); Nostromo (1904); Sotto gli occhi dell’occidente (1911); Vittoria: un racconto delle isole (1915); La linea d’ombra (1917); L’aquila ferita (1925). Il romanzo che lo renderà celebre in tutto il mondo sarà Cuore di tenebra.
Un capolavoro di tensione narrativa, nonché una delle più profonde riflessioni sulla dicotomia fra bene e male, fra ragione e follia
Prefazione
Luca Di Fulvio
Su Cuore di tenebra sono state scritte illustri prefazioni di illustri intellettuali. Io purtroppo (o per fortuna) non sono un intellettuale e perciò se l’editore deciderà di pubblicare questa prefazione o è un pazzo o è una persona che vuole provare a fare qualcosa di diverso.
Sono stato da poco a una presentazione dove un politico diceva che purtroppo in Italia leggiamo poco, soprattutto i giovani. Vero, non si può negarlo. Però mi sono permesso di intervenire facendo un’osservazione: Io non sono così severo con i giovani. Quando ero giovane io c’era solo il pallone, la
TV dei ragazzi dalle 16,30 alle 17,30 e nient’altro. Non era poi così difficile avvicinarsi ai libri se non ci si voleva annoiare a morte. Era come trovarsi in un’immensa piazza dove c’era solamente un pallone per terra e un’unica bancarella con dei libri. Oggi quella piazza è piena di bancarelle coloratissime, la Playstation, le serie tv ventiquattr’ore su ventiquattro, i social, e chi più ne ha più ne metta. Allora, invece di fare rimproveri, invece di piangerci addosso, perché non proviamo a rendere quella bancarella dei libri più interessante, più colorata, più visibile? Invece di accusare, perché non proviamo a impegnarci di più noi?
.
Questo per dire cosa su Cuore di tenebra?
Per dire che forse, al di là della critica intelligente (fatta con parole faticose da digerire come i peperoni arrosto che si piazzano sullo stomaco e, come diciamo a Roma, si ripropongono
), dovremmo raccontare le cose in maniera interessante.
Per esempio, la prima cosa che mi viene da dire su Cuore di tenebra è che ha liberamente ispirato il meraviglioso film Apocalypse now di Francis Ford Coppola. Lo sapevate? Andrebbe detto, non vi pare? Dovrebbe essere una delle prime informazioni da dare su un libro che evidentemente ha una sua prepotente attualità. Che è poi la vera essenza dei libri di qualità: cambiano i tempi, ma i valori o le testimonianze o i significati che questi libri contengono si adattano camaleonticamente alla vita che va avanti, al nostro presente in continuo mutamento.
Perché la verità è che nessun libro è quello scritto dall’autore. Il vero
libro è quello letto dai lettori. Sono i lettori a rendere viva un’opera. O, come nel caso di Francis Ford Coppola, sono altri artisti che digeriscono, trasformano, plasmano quell’opera. La resuscitano.
Ed è questa la fondamentale potenza di Cuore di tenebra.
La storia (a brevi linee perché non voglio rovinarvi la lettura) narra di un vecchio marinaio, Marlow, che un giorno vede in una vetrina una carta geografica. E viene colpito dal percorso di un grande fiume somigliante a un immenso serpente srotolato, con la testa nel mare... la coda perduta nelle profondità del territorio
. E via con il viaggio, non ci pensa due volte. Scopriamo l’Africa Nera (che brutto termine).
Attualità: allora bisognava andarci. Ora l’Africa Nera arriva da noi, sbarca sulle nostre coste. Ma non cambia l’atteggiamento degli eletti bianchi. Non cambia la diffidenza, il senso di innata superiorità, la convinzione che quegli uomini neri siano profondamente, irrimediabilmente primitivi
. E qui abbiamo già il primo spunto, secondo me.
E sì, perché il nostro Marlow, in viaggio, scopre le leggende che circolano intorno a un semi-dio di nome Kurtz, un misterioso e orribile uomo bianco capace di procurare montagne di avorio. Marlow risale la foresta pluviale per l’unica strada praticabile: il fiume. Gli sembra di immergersi in un tempo e in un paesaggio preistorico. Quasi un viaggio nell’Ade
, diranno molti critici.
Fondamentalmente si parla di sfruttamento, razzismo, crudeltà civile
contro l’incivile
arretratezza. Pregiudizi. La convinzione di essere migliori. E giusti.
Il celebre scrittore nigeriano Chinua Achebe, dopo gli anni di celebrazione indiscussa di Cuore di tenebra, l’ha invece criticato, individuando nella narrazione (che pure sembra, nelle parole di Marlow, opporsi alla grettezza europea di Kurtz) un’immagine stereotipata dell’Africa che Conrad riesce a vedere solo
con occhi da occidentale. Una visione che sputtana (l’editore me la farà passare questa parola?) l’Africa bollandola come luogo di corruzione (un po’ come i siciliani sono tutti mafiosi, per intenderci).
Io non sono così severo, francamente. Conrad era occidentale, e da occidentale vedeva. Non poteva fare diversamente. E trovo che ci abbia provato a dire che erano i bianchi quelli sbagliati. E questo ha colto anche Apocalypse now, che non mi pare proprio che difenda l’America. Però ognuno di noi fa ciò che può in base a quello che è. In base al proprio imprinting. Sono certo che uno scrittore come Achebe lo farebbe diversamente (e l’ha fatto). Ma forse anche lui ha una visione parziale sull’Occidente come noi l’abbiamo dell’Africa.
Io credo che Conrad abbia scritto un romanzo sincero, sin dal titolo, perché il Cuore di tenebra
di cui parla non è certo quello degli africani, ma di Kurtz, che rappresenta il colonialismo bieco.
E credo che oggi noi lettori abbiamo più armi in mano per capirlo, per farlo nostro, per decifrarlo, per sentirlo attuale, per trovare uno stimolo a essere diversi, a evolverci. A dimenticare il colore della pelle ma non la cultura.
Un ragazzino che frequentava una scuola internazionale qui a Roma mi permette di sintetizzare con le parole di un bambino questo concetto così apparentemente indigesto ancora oggi. Un adulto (io ero presente) gli chiese, riferendosi a un compagno di classe di questo ragazzino e di suo figlio: Ma Anthony com’è?
. Lui rispose: Simpatico
. Ma il genitore voleva arrivare al punto: Ma è nigeriano, giusto? È nero di pelle
. E il ragazzino rispose: Boh, non ci ho fatto caso
.
Io credo che una lettura moderna di Cuore di tenebra dovrebbe aiutarci a rispondere come quel ragazzino. Senza enfasi. Senza retorica.
Voglio chiudere con un aneddoto che mi riguarda personalmente (o quasi personalmente). Uno di quegli aneddoti che rendono le cose vive, quotidiane. Vere.
Ho una cugina che appartiene a una importante famiglia. E Daniela discende da Pietro Paolo Savorgnan di Brazzà, esploratore famelico. Molti di voi sanno che la capitale del Congo si chiama Brazzaville. La città di Brazzà. Perché la fondò lui.
Non voglio entrare nel merito se Pietro fosse un colonialista o no (o quantomeno non so cosa sarebbe oggi, con le nuove idee che lui stesso immagino avrebbe abbracciato). Ma la cosa divertente che mi lega attraverso mia cugina Daniela a Cuore di tenebra è il viaggio di Pietro Paolo Savorgnan di Brazzà. Dovete sapere che all’epoca risiedeva a Parigi. Ed era amico di un fabbricante di valigie, bravo ma non famoso. Pietro doveva organizzare la spedizione esplorativa in Congo e insieme al suo amico studiarono dei nuovi bauli. Di solito erano tondi, ma questa forma faceva sprecare un sacco di spazio nel momento di stivarla. Così crearono dei bauli quadrati e rettangolari, per ottimizzare lo spazio. Il nome di questo valigiaio era Louis Vuitton. Divertente, no?
La storia, tutta la nostra storia, si snoda realmente attraverso aneddoti quotidiani, semplici. Attraverso la gente comune (anche se poi diventa eccezionale come Louis Vuitton). Ed è questo che mi riporta a quella bancarella dei libri dell’inizio dei miei vaneggiamenti. Cerchiamo di raccontare la storia e i libri in modo che siano a portata di mano
. Che abbiano il sapore delle cose vere.
E vi assicuro che Cuore di tenebra è qualcosa di vero.
Buona lettura.
I
La Nellie, una yawl da crociera, ruotò intorno all’ancora senza un battito di vele e si mise a riposo. La marea era salita, il vento si era quasi placato e, poiché venivamo trascinati lungo il fiume, l’unica cosa da fare era attendere il cambio della marea. L’estuario del Tamigi si estendeva davanti a noi come l’inizio di un corso d’acqua interminabile. Al largo, il mare e il cielo erano saldati assieme senza una qualche visibile giuntura, e nello spazio luminoso le vele brunite delle chiatte che salivano con la marea parevano immobili grappoli rossi di tela tagliati a punta le cui aste scintillavano al sole. Una foschia aleggiava sulle rive basse che si protendevano verso il mare in una pianura svanita. L’aria era scura sopra Gravesend, e più indietro sembrava ancora condensata in una lugubre oscurità, minacciosa e immobile sulla città più vasta e più grande della terra.
Il direttore delle Compagnie era il nostro capitano e ospite. Noi quattro guardavamo affettuosamente le sue spalle mentre lui stava a prua guardando verso il mare. Lungo tutto il fiume non c’era niente che sembrasse più marinaresco. Somigliava a un pilota, che per un marinaio è la personificazione dell’affidabilità. Era difficile immaginare che il suo lavoro non fosse là fuori, sull’estuario luminoso, ma dietro di lui, nell’oscurità minacciosa. Tra noi c’era, come ho già detto da qualche parte, il legame e il vincolo del mare. Oltre a tenere i nostri cuori uniti durante lunghi periodi di separazione, aveva l’effetto di renderci tolleranti nei confronti delle storie degli altri, nonché delle loro convinzioni. L’avvocato, il migliore dei vecchi amici, per via dei suoi molti anni e delle sue tante virtù, godeva dell’unico cuscino disponibile sul ponte, e giaceva sull’unico tappeto. Il ragioniere aveva già tirato fuori una scatola di domino, e se la spassava a costruire architetture con le tessere. Marlow sedeva poco più in là a gambe incrociate, appoggiato all’albero di mezzana. Aveva guance incavate, carnagione di un colorito giallastro, schiena dritta e l’aspetto di un asceta; e con le braccia abbassate, i palmi delle mani rivolti all’infuori, somigliava a un idolo. Il direttore, soddisfatto che l’ancora avesse una buona presa, si diresse a poppa e si sedette in mezzo a noi. Dopo aver scambiato pigramente con lui qualche parola, ci fu silenzio a bordo dello yacht. Per un motivo o per l’altro, non iniziammo a giocare a domino. Ci sentivamo distratti, assorti; lo sguardo fisso e placido di chi se ne sta immerso nel proprio pensiero. La giornata stava finendo in una quieta serenità e in un incantevole splendore. L’acqua baluginava soavemente; il cielo, senza una sola macchia, era un’immensità benigna di luce immacolata; la stessa nebbia sulle paludi dell’Essex pareva un velo di luminosa stoffa, sospeso sopra le alture boschive dell’entroterra, drappeggiante con pieghe diafane le basse sponde. Solo l’oscurità a ovest, incombente sui tratti più alti, diventava ogni minuto più cupa, come se fosse irritata dall’approssimarsi del sole. E alla fine, nella sua caduta curva e impercettibile, il sole calò basso e da bianco splendente si trasformò in rosso opaco senza raggi e senza calore, come volesse spegnersi all’improvviso, colpito a morte da quel tocco d’oscurità gravante su una folla di uomini.
Subito un cambiamento avvenne sulle acque e la serenità divenne meno brillante ma più profonda.