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Il Progetto Valhalla
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Il Progetto Valhalla

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About this ebook

Chi si cela dietro i fantomatici esperimenti sulla programmazione mentale condotti sui bambini, allo scopo di creare dei killer a comando? Gli orrori di un oscuro passato si ripresenteranno in un enigmatico presente, quando qualcuno cercherà di porre in atto la sua sete di vendetta...

Un thriller psicologico ambientato in Romania e calato nel suggestivo scenario della Transilvania, che ispirandosi ai molteplici viaggi intrapresi dall'autore nell’Europa continentale, può essere visto anche come un personale tributo ad una terra seducente, quanto ricca di leggende e folklore.

Dipanandosi in una trama che si snoda su una scansione temporale alternata, pregno di tenebrosi risvolti che verranno rivelati gradualmente, Il progetto Valhalla scava nei meandri segreti della Storia, immergendo il lettore in un incubo da cui sarà impossibile risvegliarsi.

LanguageItaliano
Release dateJan 24, 2020
ISBN9788869346217
Il Progetto Valhalla
Author

Matteo Favaro

Matteo Favaro, classe 1978, celibe, laureato in Matematica applicata e in Economia, amante dei viaggi, eterna fonte d'ispirazione per i suoi manoscritti, è cresciuto con Lovecraft e lo Stephen King di prima generazione. Il progetto Valhalla è il suo primo thriller dato alle stampe dopo un saggio d’esordio e un racconto fantasy.

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    Book preview

    Il Progetto Valhalla - Matteo Favaro

    © Bibliotheka Edizioni

    Via Val d’Aosta 18, 00141 Roma

    tel: +39 06.86390279

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, gennaio 2020

    e-Isbn 9788869346217

    Isbn 9788869346200

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,

    del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta

    dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Progetto grafico: Riccardo Brozzolo

    Disegno di copertina: Paolo Niutta

    www.capselling.it

    Matteo Favaro

    Matteo Favaro, classe 1978, celibe, laureato in Matematica applicata e in Economia, amante dei viaggi, eterna fonte d’ispirazione per i suoi manoscritti, è cresciuto con Lovecraft e lo Stephen King di prima generazione. Il progetto Valhalla è il suo primo thriller dato alle stampe dopo un saggio d’esordio e un racconto fantasy.

    Il passato nasconde orrori indicibili. E la loro memoria, molto spesso, torna a tormentarci nel presente… e non ci lascia scampo.

    Nota dell’autore

    Ispirata ad avvenimenti reali, la presente è un’opera di fantasia: ogni riferimento a fatti o persone coincidente con la realtà è puramente casuale. Per quanto concerne le personalità storiche presenti, trattasi di una rivisitazione in chiave romanzata.

    Le varie attività commerciali e i luoghi di attrazione turistica citati, invece, esistono realmente e sono meritevoli di visita, in particolare la Casa Sashi.

    L’Ordine delle Riparatrici del Sacro Cuore situato in Matera e citato nel romanzo esiste realmente, ma nulla ha a che vedere con i fatti descritti (è esistita una missione umanitaria italiana in Sibiu e fu condotta da un altro Ordine di religiose di un’altra sede).

    Accenni degli esperimenti sulla programmazione mentale, e sul fantomatico progetto governativo ‘MKULTRA’, si ritrovano nell’opera di A. Kadmon "Lux Tenebrӕ".

    A Rossella

    e alla sua compagna di viaggio

    Transilvania, Romania

    In Romania una leggenda popolare era divenuta più folkloristica dell’intramontabile mito del Conte Vlӑd(1). Narrava di un luogo così terrificante che nessuno ne faceva menzione, se non nelle serate trascorse nelle taverne all’insegna delle bravate e del sidro che inibiva l’istinto primordiale e salvifico della paura.

    Si diceva che in una tetra vallata nascosta tra i monti Carpazi, tra i confini distrettuali di Argeş e Braşov, sorgesse La Clinica, costruita durante gli ultimi anni del Regno di Romania e inaugurata poche settimane prima della stipula del patto Molotov-Ribbentrop, nelle imminenze della Seconda guerra mondiale.

    L’unica certezza di quanti vissero in quegli anni è che nessuno dei manovali che lavorarono alla sua costruzione fece ritorno. Le sole memorie riguardavano il progetto ideato dai Sette Borghi, i Siebenbürgen, riunitisi in consorzio per la nascita di un grande complesso di cura specializzato nel trattamento dei disturbi mentali.

    Con il passare degli anni gli aneddoti sulla Clinica si moltiplicarono e durante la Repubblica Socialista quello più ricorrente parlava di come Ceauşescu(2) fosse solito far rinchiudere lì gli oppositori politici.

    Tante parole ma nessuno che potesse testimoniare l’esistenza della struttura né riferire cosa accadeva entro quelle mura.

    Certo era, però, che da quando si iniziò a parlare dell’esistenza della clinica tanti bambini dei Sette Borghi sparirono.

    (1) Meglio conosciuto con il nome di Dracula.

    (2) Nicolae Ceaușescu (Scornicești, 26 gennaio 1918 – Târgoviște, 25 dicembre 1989) è stato un politico e militare rumeno, dittatore della Repubblica Socialista di Romania dal 1967 al 1989.

    1.

    Sibiu, Romania, giorni nostri

    L’antico orologio della cattedrale evangelica aveva battuto otto rintocchi in quel giorno di festa. La chiesa era gremita di fedeli accorsi per la funzione religiosa, mischiati ai turisti di fede cristiana, che guardavano il murale che ritrae la Crocifissione, capolavoro d’arte fiamminga e ultima esibizione di sfarzo dopo la riforma luterana. Le melodie soffiate nell’aria dalle canne d’argento del vecchio organo si espansero in tutta la Piazza Grande ammaliando chi le udiva anche a distanza.

    Il rigido clima invernale che affliggeva le terre continentali aveva ceduto il passo al tepore di quella limpida giornata, in cui risplendeva perfino la bronzea scultura del pedagogista Gheorghe Lazăr(3).

    La suggestiva architettura gotica di derivazione sassone era il comune denominatore di tutti i vetusti edifici che componevano la città vecchia, mentre il palazzo Brukenthal, voluto dall’omonimo governatore di Transilvania a metà Settecento, si differenziava per l’elegante stile barocco.

    In quel clima di giubilo nessuno avrebbe potuto notare una ragazzina come tante, dai lunghi capelli scuri, uscire furtivamente da un portone posto sul retro del Palazzo e allontanarsi lungo via Mitropoliei.

    (3) Gheorghe Lazăr (Avrig, 5 giugno 1779 – Avrig, 17 settembre 1821) è stato un pedagogista romeno, fondatore della prima scuola superiore in cui si insegnasse in romeno a Bucarest nel 1818.

    2.

    Padova, Italia, giorni nostri

    «La mente del bambino, soprattutto in età prescolare, risulta ‘modellabile’ grazie alla particolare conformazione delle sinapsi dell’ippocampo. A parità di condizioni, le statistiche mostrano in questa fase un tempo di apprendimento di poco inferiore. Infatti, le cellule della memoria che immagazzinano i dati…»

    La collera sul volto della professoressa Ambrosi si rovesciò sull’esaminando. «Dottor Favini!» disse, interrompendo l’interrogazione e tentando di domare la frustrazione. «Non ho mai udito così tante stupidaggini.»

    Il giovane, che aveva conseguito la laurea in Medicina da appena due anni, sbiancò e balbettò: «Ma… come!»

    «Silenzio! Da quale libro ha studiato, dall’abecedario? Suppongo che lei non abbia frequentato le mie lezioni, dottor Favini. Punto uno: non è corretto in questo ambito parlare di sinapsi. Punto due: fossi in lei approfondirei meglio le specifiche funzioni dell’ippocampo. Ma come è riuscito a conseguire una laurea in Medicina?», e si voltò a guardare il suo assistente per renderlo partecipe di quella manifestazione di potere.

    «Segna sul registro, Giulio: vista la grave impreparazione con cui si è approcciato alla prova di oggi, il dottor Favini salterà le prossime due sessioni d’esame.»

    L’assistente scrisse il provvedimento sul registro, memore di quando aveva penato anche lui su quella sedia sotto le grinfie della docente.

    «Lei non potrà sostenere l’esame prima del prossimo anno, dottor Favini», e con un cenno lo invitò a lasciare l’aula.

    Lucrezia Ambrosi era il prototipo di quello che i francesi chiamano enfant prodige: da adolescente era stata membro del Mensa(4); aveva poi conseguito la Laurea in Medicina magna cum laude ad appena venticinque anni, e a ventinove la sua fama come psichiatra infantile aveva raggiunto i più prestigiosi atenei del mondo grazie ai suoi preziosi contributi sull’autismo. Per mala o buona sorte degli specializzandi veneti, l’angosciante fenomeno della fuga dei cervelli non era riuscito a scalfire le radici che la legavano alla sua terra, nonostante avesse vissuto una difficile infanzia nel rigore di una famiglia patriarcale. Fuggire era da vigliacchi, come era solita ripetersi, e la sua missione consisteva nell’aiutare i bambini che soffrivano.

    Una mente brillante faceva da contrasto a una presenza non tanto gradevole. Anche con l’ausilio dei tacchi, la sua statura non oltrepassava la media, e un metabolismo attivo era responsabile della sua silhouette da anoressica.

    Ai tempi della scuola era stata bersaglio delle vessazioni da parte dei bulletti e aveva forgiato il carattere a furia di ascoltare epiteti quali sfigata di merda o spaventapasseri.

    Era considerata brutta e secchiona, e talvolta era stata vittima di scherzi umilianti, come quando ai tempi del ginnasio una delle compagne di classe più oche e carine le combinò un appuntamento con il ragazzo di cui Lucrezia si era presa una cotta; doveva essere un incontro a due, ma mentre lui si avvicinava a lei fingendo di volerle dare un bacio, sbucarono da dietro l’angolo tutti i compagni e le compagne di classe per schernirla.

    «Ma guardati! Davvero pensavi che uno come me se la potesse fare con un cesso come te?» fu l’epilogo di quell’illusione.

    Lucrezia si voltò e scappò via con le lacrime che si sparsero nel vento.

    Di quella classe lei sola raggiunse il successo professionale e ora rappresentava il fulcro del dipartimento di psichiatria della prestigiosa Schola Medica padovana, ed era ammirata dai colleghi e temuta dagli specializzandi bloccati dal suo esame insormontabile.

    (4) Associazione internazionale senza scopo di lucro, i cui membri rientrano nel 2% della popolazione mondiale con il più alto quoziente intellettivo.

    3.

    Di rado la vita aveva dato a Lucrezia l’opportunità di rapportarsi con l’altro sesso: erano due poli di segno concorde che si repellevano a vicenda. Gli uomini sovente la squadravano perché era scheletrica, brutta, bassa e senza tette. In questo senso, la vita l’aveva messa a dura prova. Nascere femmina in una famiglia patriarcale era uno smacco psicologico continuo e poteva accettare il suo destino di sottomissione oppure lottare e sgomitare per ottenere la rivalsa sociale e personale.

    A fine giornata, quando gli impegni accademici non la intrattenevano, era solita distendersi sul divano letto dell’appartamento in cui viveva nei pressi dell’Orto Botanico e rilassarsi con uno dei libri della sua biblioteca personale. Da qualche settimana aveva una nuova eroina, Teresa Battaglia, e in lei si era identificata in modo quasi morboso: era il suo alter ego su carta. Aveva sentito parlare spesso di quella scrittrice e aveva consumato le pagine del suo libro. Per qualche motivo le ricordava sua nonna e una sera, mentre se ne stava lì distesa, le riaffiorò in mente qualche ricordo.

    4.

    Padova, Italia, 1987

    «Basta! Mi sono stufato!»

    Un vispo ragazzino con i capelli scuri e ricci, deliziosi occhi azzurri e con addosso capi firmati, lasciò cadere il controller della Nintendo con cui stava giocando assieme al fratellino.

    «Sì, anch’io» fece eco il più piccolo. Conciati com’erano sembravano due principini britannici. Le regole di casa Ambrosi erano rigide riguardo all’abbigliamento, anche quando nelle afose giornate estive i ragazzini avrebbero preferito restarsene in mutande e canotta.

    Carlo, il maggiore, si rivolse al nonno fingendo di abbracciare un fucile.

    «Nonno dai, raccontaci un’altra delle tue storie sulla guerra!»

    «Sììì! Le storie dove ci sono i tedeschi!»

    Sergio Ambrosi, che era stato uno dei notai più in vista della città, posò la copia del Sole 24 Ore che stava leggendo accomodato sull’ampia poltrona in pelle del soggiorno.

    «Eh, va bene!» rispose facendoli sedere ai lati della poltrona.

    Le storie da ‘veri uomini’ erano invece precluse a Lucrezia, la figlia più piccola dei coniugi Ambrosi, anch’essi noti professionisti che condividevano l’enorme casa dell’anziano notaio con vista sul Parco. La bambina veniva spedita nella sua cameretta con l’ordine di fare i compiti, ma quella volta, vinta dalla curiosità, si fermò a origliare.

    «Siete stati bravi oggi a catechismo?» esordì il nonno.

    Un gioioso Sììì si levò in coro e l’anziano annuì soddisfatto: per un ex democristiano di lunga data come lui, la formazione cattolica era imprescindibile.

    «E bravi i miei tesori!» esclamò, baciandoli sulla fronte. «Oggi vi premierò con uno dei pezzi forti del mio repertorio. Volete sentirlo?» li stuzzicò. Sergio, nostalgico della Repubblica di Salò, si illuminava nel rivangare le vecchie glorie del passato.

    «Ci sono molte cose che quei rimbecilliti di maestri a scuola non sanno della guerra. Una di queste è la catastrofica campagna di Romania. Ne sono a conoscenza solo quei disgraziati, come vostro nonno, che l’hanno vissuta.»

    I ragazzini ascoltavano ammaliati.

    «Correva l’anno 1943. Mussolini era un vero uomo, un condottiero che rese grande il nostro Paese e che nulla ha da spartire con i politicanti di oggi…»

    «Nonno, ma è vero che ha fatto uccidere tanta gente?» lo interruppe Carlo, subito colpito da un’occhiataccia di Sergio.

    «Vedi, piccolo, quando si è in guerra a volte bisogna compiere scelte difficili che solo gli uomini veri hanno il coraggio di affrontare» rispose compiaciuto, poi continuò: «Dicevo, Mussolini ormai era diventato il ‘tirapiedi’ di quel fantoccio di Hitler. I signori che avevano voluto la guerra fecero in modo di condurlo alla disfatta costringendolo all’alleanza con i tedeschi.»

    «Nonno, ma il libro di storia dice che è stato Mussolini a voler allearsi con Hitler…»

    Questa volta fu Giulio a obiettare.

    «Ragazzi, non interrompetemi per favore. Altrimenti la bella storia del nonno non la sentirete mai più.»

    I ragazzi abbassarono gli occhi con un desolato «Scusa, nonno.»

    «Hitler in quell’occasione ingannò il nostro Duce con il pretesto di un supporto militare per l’avanzata verso il Mar Nero. La posizione geografica era strategica per i commerci, si diceva. Un mare di frottole! Quello che in realtà interessava al mascalzone era raggiungere un preciso posto sperduto in mezzo alle montagne. Me lo ricordo benissimo, io, quell’angolo di inferno!»

    Fu nuovamente interrotto dalla consorte, un’arzilla e raffinata signora che entrò nel soggiorno per servire la cioccolata ai nipotini.

    «Per l’amor del Cielo, Sergio! Non starai ancora impressionando i ragazzi con le tue storie lugubri…»

    Le sue proteste destarono la prepotenza del marito.

    «Non fiatare, tu! Posa quel vassoio e fila di corsa in cucina!» alzò la voce Sergio.

    La donna, a capo chino, adagiò il tutto sul pesante tavolo in mogano e pregò che i nipoti non dessero peso all’isteria di suo marito. Si affrettò a lasciarli soli.

    «Diamine, le donne sanno solo rompere le scatole» si lagnò rivolto ai ragazzi. «Dunque, dov’ero rimasto? Ah, già. Hitler aveva degli ottimi informatori e le SS riuscivano a scoprire sempre tutto. Nel bel mezzo delle montagne della Romania, i Carpazi, più precisamente vicino Monte Moldoveanu, si nascondeva una specie di ospedale segreto.»

    Si picchiettò sulla tempia un paio di volte e i ragazzini sorrisero a quel gesto buffo.

    «Un ospedale per i matti, sapete.»

    Mantenne la suspense fissando dritto negli occhi prima Carlo, poi Giulio, e proseguì.

    «Anzi, direi che in quel dannato posto le persone diventavano matte.»

    I ragazzini sgranarono gli occhi, confusi.

    «Eh, lo so, non è semplice da spiegare ma ci proverò. C’era un dottore fuori di testa che comandava in quell’orrendo posto dimenticato da Dio. Com’è che si chiamava? Ma certo, il dottor Popescu! Dio santo quant’era brutto! Ancora più brutto della faccia di vostra nonna che vedo ogni mattina quando apro gli occhi!»

    Stavolta Giulio e Carlo risero della battuta.

    «Eh, sì! Proprio così» rimarcò Sergio. «Comunque, quel demonio di dottore conduceva degli strani esperimenti, soprattutto su ragazzini come voi» enfatizzò puntando un dito contro di loro in segno di monito.

    «Hitler era interessato a quegli esperimenti ed era curioso di capire di cosa si trattasse e, nel caso, metterci sopra le sue manacce…»

    5.

    Transilvania, Romania, 1943

    Il Maggiore Sergio Ambrosi era al comando del 12° Battaglione Genieri. Hitler aveva preteso dall’Italia la migliore squadra di ricognizione per una missione di scorta di estrema importanza e il Duce se ne era occupato di persona. L’obiettivo doveva essere scortare delle alte personalità da Hermannstadt verso le sponde del Mar Nero per motivi strategici non precisati. A causa del Trattato del Trianon imposto alla fine della Grande Guerra, tra i cittadini di origine sassone e i rumeni autoctoni c’erano diffidenze. Il compito della squadra dell’esercito fascista ufficialmente era di salvaguardare l’incolumità di quel misterioso gruppetto di altolocati.

    Il Battaglione Genieri, che per la missione contava sette elementi scelti, era atterrato a Timişoara tre giorni prima, dove era atteso dal colonnello Vögel, e fu trasportato fino a Hermannstadt a bordo di due fuoristrada Stoewer. Una volta raggiunta la cittadina sassone, i mezzi si addentrarono fino alla Piazza Grande arrestandosi nei pressi della Sala Consiliare. All’ingresso sostava una BMW 327 ai cui lati, all’altezza delle giunture delle portiere, erano montate le bandierine con la svastica. Salirono tre uomini in alta uniforme nazista. Uno di questi, all’apparenza il più alto in grado, confabulò con il colonnello Vögel.

    «Signor Maggiore» sussurrò il soldato che sedeva alla destra di Sergio, che dal fuoristrada aveva osservato la scena, «c’è qualcosa di strano. Quelli sono degli alti ufficiali tedeschi. Ci stanno nascondendo qualcosa…»

    «Te ne sei accorto, Taddei? Hitler è uno furbo, ricordatelo. Sa bene come servirsi della carne da macello per i lavori sporchi, non arrischia così i suoi uomini.»

    «Signore, intendete dire che ci hanno spedito in una missione suicida?»

    Sergio distolse lo sguardo dagli occhi del soldato: gli

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