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Come un inverno
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Come un inverno

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About this ebook

Una famiglia italiana dagli anni Quaranta ai giorni nostri. Protagonista Oreste: dopo un'infanzia trascorsa in un paesino del Friuli, frequenta l’Accademia di Modena e fa carriera nell’Arma. Sposato con Claudia, romana, ha due figli, il debole Stefano e lo scaltro Vittorio.

Oreste, homo novus dell’oggi, abile spettatore di un tempo feroce e sprezzante, intelligente attuatore di un destino ormai rivelatosi. I suoi figli, prodotto di un’epoca guasta. La moglie, la suocera del figlio, il contorno di personaggi fin troppo reali: un’inquietudine di fondo contro cui il protagonista lotta per sopravvivere e affermare la propria impronta in un mondo il cui nocciolo sembra fondersi. Immagini vivide e crude delle fratture consumate del nostro tempo e dei danni da esse procurati.

Come un inverno offre uno spaccato dei mutamenti che la famiglia italiana ha attraversato negli ultimi settant’anni, passando da una struttura di tipo patriarcale alla famiglia nucleare moderna e alle sue intrinseche debolezze.

LanguageItaliano
Release dateFeb 8, 2019
ISBN9788869344640
Come un inverno
Author

Marco Sicurezza

Figlio di un ufficiale dello Stato Maggiore della Marina Militare Italiana e di una casalinga, è il maggiore di due figli. La famiglia si stabilisce a Roma nel 1980, dopo numerosi trasferimenti in Italia e all'estero. Si laurea in Economia e Commercio nel 1987 alla Università L.U.I.S.S. di Roma. Ha lavorato 25 anni in varie multinazionali. Oggi è Agente di Affari in Mediazione Immobiliare. Ha due figli adorati, Alexandro e Maria Giulia. Ha compreso, con un po’ di ritardo, che il segreto di una vita felice passa attraverso il mettersi a disposizione degli altri. Ama leggere e scrivere. Le sue passioni sono cinema, musica, viaggi, trekking, buon mangiare e ogni tanto qualche dose di solitudine per riordinare i pensieri. Nonostante apprezzi le serie tv intriganti, è fermamente convinto che la televisione non abbronzi. Adora scherzare in modo seriale. Ama i grandi scrittori del '900. Ha scritto questo romanzo di notte, convinto di intesserlo per un pubblico trasversale e intelligente. Ascolta le critiche costruttive. Rifiuta i dogmi. Ha una notevole difficoltà a rapportarsi con chi è prolisso o peggio, ridondante. Potendo scegliere, predilige il silenzio.

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    Come un inverno - Marco Sicurezza

    Marco Sicurezza

    Come un inverno

    Romanzo

    © Bibliotheka Edizioni

    Via Val d’Aosta 18, 00141 Roma

    tel: +39 06.86390279

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, febbraio 2019

    Isbn libro 9788869344633

    Isbn ebook 9788869344640

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,

    del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta

    dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Disegno di copertina: Eureka3

    www.eureka3.it

    Marco Sicurezza

    Figlio di un ufficiale dello Stato Maggiore della Marina Militare Italiana e di una casalinga, è il maggiore di due figli. La famiglia si stabilisce a Roma nel 1980, dopo numerosi trasferimenti in Italia e all’estero. Si laurea in Economia e Commercio nel 1987 alla Università L.U.I.S.S. di Roma. Ha lavorato 25 anni in varie multinazionali. Oggi è Agente di Affari in Mediazione Immobiliare. Ha due figli adorati, Alexandro e Maria Giulia. Ha compreso, con un po’ di ritardo, che il segreto di una vita felice passa attraverso il mettersi a disposizione degli altri. Ama leggere e scrivere. Le sue passioni sono cinema, musica, viaggi, trekking, buon mangiare e ogni tanto qualche dose di solitudine per riordinare i pensieri. Nonostante apprezzi le serie tv intriganti, è fermamente convinto che la televisione non abbronzi. Adora scherzare in modo seriale. Ama i grandi scrittori del ‘900. Ha scritto questo romanzo di notte, convinto di intesserlo per un pubblico trasversale e intelligente. Ascolta le critiche costruttive. Rifiuta i dogmi. Ha una notevole difficoltà a rapportarsi con chi è prolisso o peggio, ridondante. Potendo scegliere, predilige il silenzio.

    Seduto su quella branda nella camera spoglia, girandosi da un lato poteva rivedersi più giovane, con i suoi obiettivi, le voglie e i desideri. Ma guardando dal lato opposto vedeva il mare ingrossarsi, pronto a invadere gli scantinati delle case, testimoni d’un tempo migliore che adesso appariva insensato.

    Ai miei figli, Alexandro e Maria Giulia,

    per avermi insegnato l’arte di ascoltare.

    A Stefania, compagna di vita e di idee,

    e alla sua costante tenacia nel combattere,

    a modo suo, accanto a me

    Ci dicono come perdonare i nostri nemici, ma non ci dicono nulla su come perdonare i nostri amici.

    Cosimo de Medici, 1454

    La chiave di volta e il vantaggio

    Visentin. Oreste. Generale dei Carabinieri. Favorito per la valutazione alla promozione a Brigadier Generale. Vecchio stampo, inflessibile e duttile, tutto d’un pezzo – sempre capace di nascondere le sue immancabili debolezze – , di famiglia modesta, proveniva da C., paese friulano, in provincia di Pordenone.

    Il padre Alfredino, schivo, era sarto di professione, noto per precisione e rigorosità. Con casa e bottega così attaccate – una rampa di scale – quando si ritirava per pranzo conservava il ditale (che si toglieva per cena). Per quell’uomo parlare era un peso, ritenendo quasi sempre sufficienti tre parole per dire tutto. Aveva alcuni lavoranti, e nei momenti di picco ne recuperava un paio per la gestione delle attività minori. Erano i suoi aiutanti a intrattenere i clienti, prendere le commesse più semplici, incassare i pagamenti e recapitare talvolta i vestiti alle persone più in vista: quasi tutta la parte basata sullo scambio di parole era demandata a loro, che all’uomo pesava. Interveniva con i clienti solo quando realmente necessario: una nuova commessa, una riparazione particolarmente complessa o quando si presentava una lamentela. Fatto, quest’ultimo, assai raro.

    I genitori di Oreste non avevano mai considerato l’eventualità che un giorno il figlio avrebbe potuto lasciare quella terra. In particolar modo la madre, Olga Marcon, dedita alla casa, che aveva avuto una gravidanza pessima, con dolori forti e continui al ventre. Durante quei mesi era stata fin troppo attenta all’alimentazione, e non perché i dottori l’avessero seguita in tal senso (all’epoca non era né moda né scienza), ma solo perché aveva seguito i pareri della madre, delle sue amiche e delle innumerevoli conoscenti che già si erano cimentate con il puerperio e ritenevano tutte, nessuna esclusa, di possedere informazioni vitali per il feto, la sua ossatura, la sua intelligenza e la lunghezza del pipino (la maggior parte di loro, infatti, guardando la forma del pancione, diceva che sarebbe stato un maschio: in questo almeno, ma probabilmente solo in questo, avevano indovinato). E quelle informazioni, a loro detta vitali, erano anche dirette alla salute della madre, al suo sonno, all’aria in pancia, alle nausee, ad evitare di ingrassare troppo, o per non diventare troppo brutta casomai-si-trattasse-di-una-femmina. E per almeno cento altri motivi, tutti indiscutibilmente buoni. Le amiche le si rivolgevano in continuazione, confondendola e frantumando le poche certezze di cui lei per sua natura disponeva. Diceva una: «Olga, io che sono la perpetua ormai da tanti anni di Don Valerio, ti dico che un maschio è sempre un maschio e serve in casa e comunque qualcosa da fargli fare si trova sempre...»

    Aggiungeva un’altra con veemenza: «Se magari un domani si sposa con una ragazza ricca, con molte bestie e un padre che la domenica si mette la cravatta e invita i parenti a pranzo… Beh si sistemerà e vedrai Olga, sistemerà anche voi due!»

    Chiosava immancabilmente una terza: «E poi comunque un maschio, se parte soldato, gli danno la divisa e tre pasti al giorno e se si ammala lo curano e se viaggia, viaggia gratis per il mondo e un mensile lo avrà pure, che diamine, che vi potrà spedire a casa e se fa carriera o va a Torino o va a Roma, e a Roma ne sanno una più del diavolo!»

    Quasi ognuna di quelle comari somministrava alla paesana impiastri, decotti, ricercati salumi, vini cotti mischiati a miele appena colto e bacche lasciate a macerare in uno speciale aceto di mele. E poi ancora interiora di maiale fatte spurgare in secchi pieni d’acqua calda (che il solo odore era vomitevole e spaventoso) e poi scottate in costoso olio di oliva reperito apposta per l’occasione e tirate fuori ancora sgocciolanti ma già croccanti per renderne più efficace la speciale degustazione, utile – a detta delle più anziane – per ottenere latte sostanzioso e prelibato per il bimbo, che sarebbe cresciuto forte di mente e fisico e non le avrebbe mai dato problemi. Talune poi si risolvevano quasi ogni giorno a portarle pietanze nuove ed elaborate, se non addirittura pasti interi. Ed ecco che arrivavano tartine di burro con sopra finocchi sfilacciati cotti a bagnomaria; formaggio fuso accompagnato da crostini appena sfornati e caldi al punto giusto (ghiottoneria che, si mormorava, andasse tanto di moda in Francia nelle famiglie perbene); spesse fette di prosciutto crudo cotte nell’olio in padella e arrotolate in un misto di formaggio stagionato e pezzettini di pera; pasta fatta in casa servita in un sugo di cinghiale in umido, insaporito con tocchetti di salsiccia fresca imbruniti sulla piastra: quest’ultimo piatto una vera novità, oltreché ricetta prelibata.

    Olga dunque, carattere condiscendente, persona educata e premurosa e sempre pronta a farsi conquistare dai pensieri altrui, si trovava spesso con quella compagnia in casa. Al marito, già taciturno di suo e seppellito nella bottega, non pareva vero poter sfruttare quella pacifica invasione per isolarsi ancor più e aumentare le ore lavorate. I clienti notarono peraltro che in quel periodo il signor Alfredino era più loquace del solito: forse gli mancava lo sfogo del parlare a casa quel poco cui si era abituato negli anni per mantenere il sempre precario equilibrio tra il dare e l’avere di parole, cosa che ogni essere umano, a un certo punto della propria esistenza, inconsapevolmente avverte.

    Il piccolo Oreste venne curato dalla mamma non solo negli aspetti della vita del neonato, ma anche in questioni più impalpabili, che lo avrebbero aiutato a menar colpi nella vita. Olga di colpi ne aveva dati pochi fino a quel momento, e non ne avrebbe dati molti altri negli anni a venire: era il suo carattere. Ed era proprio per quel motivo che desiderava che Oreste beneficiasse di qualcosa in più; e voleva provare a darglielo lei, osando quanto poteva e staccandosi a forza da quelle pareti opache che avevano caratterizzato la sua vita. Il marito Alfredino lasciò inconsapevolmente campo facile al dispiegamento di quei pensieri, e si trovava d’accordo che il bimbo venisse cresciuto in prevalenza dall’adorata Olga. Per via poi di quel suo essere taciturno, gli era complesso interagire col bimbo, che iniziava appena a balbettare qualche parola. Pensava che avrebbe parlato a lungo con lui una volta fattosi ragazzo; e su ciò si divertiva a fantasticare, quando il buio scendeva d’inverno e iniziava ad avvertire la stanchezza del giorno. Una volta cresciuto, però, il ragazzo non trovò mai nel padre un supporto o un aiuto, né un esempio cui ispirarsi. Poiché lo schema era questo: l’uomo, taciturno e riservato, finanche con il figlio; il figlio, rispettoso e ordinato, ma con quell’impeto interno che desiderava non sventolare troppo per timore di scardinare le particolari tranquillità d’animo del padre. Quella situazione finì col tempo per convincere l’inconscio del ragazzo che la sua esistenza non sarebbe stata semplice e che per quel motivo avrebbe faticato nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Erano pensieri che non confessava ad alcuno, visto che in parte lo spaventavano, oltre a non capirne il senso. Il ragazzo proiettò pertanto sulla madre, fin da piccolo, attenzioni e amore e, più di tutto, ricettività mentale.

    La docilità della madre, la sua estrema disponibilità e l’indole semplice e accattivante, facevano di loro una coppia meravigliosa: il bimbo cresceva nella madre e lei si completava in lui. Era un sodalizio perfetto, sapendo entrambi di essere speciali e contare per l’altro più di quanto un estraneo potesse immaginare. Il marito assisté a ciò nel tempo e si compiacque della fortuna di aver sposato quella donna e aver avuto quel figlio.

    A scuola Oreste frequentava con profitto, senza dare il minimo problema. Era sano, robusto e intelligente. Col tempo la madre vide gli sforzi profusi concretarsi nel ragazzetto e nei suoi ragionamenti e fu felice e orgogliosa di ciò.

    Le madri, a volte più dei padri, sono in grado di tracciare una via e intuire in anticipo le potenzialità dei figli, puntando a un risultato netto e intravvedendo gli strumenti di cui avvalersi.

    Olga seguì quel filo invisibile rendendosene conto. Era quella la sperimentazione che la donna, sensibile e dolce, compiva, poiché i suoi non l’avevano fatto con lei. Riuscì pertanto, anche durante i difficili anni della Seconda Guerra Mondiale, lavorando in modo costante e appassionato su quell’essere in via di formazione, a cogliere ogni occasione per inserire nel piccolo i concetti di generosità, concretezza e rispetto degli altri; e ancora creatività, sensibilità e onestà. Osò andare controcorrente rispetto ai precetti dell’epoca, attirandosi non pochi strali dai parenti più prossimi (in particolare dalla suocera che, all’opposto del marito, era un unico immenso torrente di parole) e da certe amiche. Ascoltò quelle critiche con una speciale apertura mentale; e poiché era una donna intelligente, le usò per tarare al meglio il suo intervento formativo, sfrondandolo delle parti inutili e trovando tutti i modi per aumentarne l’efficacia. Capì che le critiche, anche le più feroci, nascondono spesso una chiave di volta per girarle a proprio vantaggio.

    Incoraggiò i comportamenti maschili del figlio e ne stimolò il coraggio; gli descrisse le gesta degli eroi mitologici e dei grandi condottieri e lo spinse a emularne gesta e comportamenti. Lo indusse a saper scegliere tra coraggio e appagamento, gioia e tranquillità, felicità e raziocinio, corsa affannosa e calma dubitativa. Riuscì a fare di Oreste un ragazzo completo e sicuro di sé, amante della verità e coraggioso; ma anche, per quanto possibile, romantico, pieno di slancio e d’intuizione.

    Mamma Olga proseguì in quel modo, certa della correttezza del proprio agire.

    La stanza disadorna

    In quel periodo Donna Fulgenzia, moglie del Comandante dei Carabinieri del vicino paese, Capitano Lepori, era tutto un fuoco poiché aveva in mente un vestito nuovo per il matrimonio della sorella. Il marito era stato trasferito in quelle zone da poco e lei non conosceva un sarto cui affidarsi. Arrivò al signor Alfredino dopo aver indagato tra scuola dei figli e mogli dei subalterni del marito. Il nome la faceva sorridere; ma chi lo indicò chiarì che l’uomo faceva al caso suo, per esperienza e capacità.

    Quando vi si recò, Donna Fulgenzia era vestita di rosso, con un tubino attillato, e anche se non era più una ragazzina, gli uomini la guardavano di sottecchi, senza girarsi troppo poiché era la moglie di un ufficiale dei Carabinieri, immaginandola in conturbanti pose. La signora, mostrando una sublime eleganza, si divertiva a provocare: con la camminata e certe posture del viso e del corpo, che assumeva quando ammirava le vetrine quel tanto che bastava per farsi notare un po’. Quello era un gioco dunque; ma anche un istinto che le conferiva un ampio potere, almeno così sentiva. E quando camminava noncurante tra la gente, i maschi la spogliavano con gli occhi e le femmine la invidiavano fino ad ammirarla più dei maschi. Ciò le forniva un piacere fisico e mentale. Presente il marito, smussava quel comportamento, riducendolo a risolini e prese in giro più o meno innocenti.

    Si presentò al signor Alfredino quasi all’ora di chiusura, ancheggiando a ogni passo e con in mente la sola idea del vestito. Il signor Alfredino, con la pazienza simile a quella di una cuoca anziana che stia preparando i tortelli a mano per una persona importante, era intento a imbastire il pantalone di un abito: lavorava concentrato alla parte del cavallo, la più complessa e insidiosa, come a volte, a corto di argomenti, quasi confessava alla moglie. Avvertì che qualcuno era entrato: era una donna, il ticchettio dei passi lo annunciava. Non sollevò subito lo sguardo, che a guardare chi è e cosa ti vuol far fare vi è sempre tempo, pensò; e poco ci mancò che esprimesse quel concetto a voce alta.

    Quasi che la signora avesse letto nel pensiero dell’uomo, si irritò un po’ per non essere stata accolta da un cortese e pronto saluto, abituata com’era da quando era divenuta la moglie di un ufficiale. Il sarto, dopo alcuni secondi che lei gli si era parata innanzi, alzò lo sguardo e, mentre sfilava e rinfilava il ditale, esordì in modo monocorde: «Buongiorno signora. L’ascolto.»

    Donna Fulgenzia, abituata a vedere gli uomini che scattavano e le donne del popolo che chinavano la testa facendola sentire importante, si sentì il sangue ribollire al vedere che l’uomo non appariva scosso dalla sua presenza. Ciononostante, in pochi attimi aveva organizzato una sua particolare strategia. Il problema di Donna Fulgenzia, infatti, era che il matrimonio della sorella era di lì a poco e lei non si accontentava di un vestito pronto ma voleva qualcosa di unico, come unica si sentiva lei. Intanto il signor Alfredino, nei pochi secondi che gli servirono per mettere a fuoco la situazione, comprese che la donna apparteneva a una classe sociale superiore, che andava di fretta e che era il tipo di cliente di cui avrebbe volentieri fatto a meno, specie in prossimità dell’ora di pranzo. Capì anche un’altra cosa: che nel confronto con lei era destinato a soccombere. Ma concordò anche che una donna così affascinante non si vedeva tutti i giorni.

    Lei lo squadrò con aria severa; poi mutò espressione divenendo più dolce; infine aprì bocca e disse suadente e ferma: «Buongiorno! Il suo nome mi è stato raccomandato dalle mogli dei sottoposti di mio marito, che è il nuovo Capitano dei Carabinieri di questa zona. Siccome avrò il matrimonio di mia sorella tra tre settimane, desidero indossare un vestito che ho in mente…»

    Il signor Alfredino in breve realizzò che avrebbe fatto meglio a chiudere dieci minuti prima quel giorno. Percependo la valanga che stava per piombargli addosso, ma scaldandosi anche un poco per le curve della signora, accentuate dal rosso del vestito e dal seno prosperoso, accennò una risposta cordiale.

    «Signora, è fuori discussione ciò che vuole chiedermi, non tanto per il servizio in sé, quanto per i tempi brevi… Credo le convenga cercarlo già pronto.»

    Immaginò di potersela cavare così, ma sapeva che mentiva spudoratamente a se stesso. Donna Fulgenzia corrucciò le labbra, mise le mani sui fianchi, elevò leggermente il petto per metterlo più in mostra e disse: «Dunque non volete servirmi, a me che sono nuova di qui, che ho una impellente necessità, che sono la moglie del Capitano e che voglio darvi così tanta fiducia pur senza conoscervi personalmente?»

    L’uomo capì che il fatto che quella frase fosse una domanda e non un’affermazione, gli aveva azzerato i margini di manovra. Avvertì poi uno strano ronzio e si accorse che i suoi occhi vagavano liberi sul corpo della signora, che nel frattempo si era girata e sembrava stesse cercando un fazzoletto nella borsetta. Era abituato alla bellezza semplice e poco maliziosa della tradizione popolare; ma a quella visione avvertì una certa eccitazione e il cuore accelerare un po’; l’incarnato si colorì, quasi come se i suoi pensieri osceni, che iniziavano ad affollarsi prepotenti, potessero venir scoperti. Provò ad abbozzare una sparuta difesa, che suonò inefficace fin da subito.

    «Ma signora, lei mi dà tre settimane. E il mio lavoro? E gli impegni presi? E il modello? Tutto da fare! Ma come si fa?»

    Si scoprì di nuovo a non guardarla in viso mentre le parlava, ma altrove: un turbinio vorticoso s’impossessò di lui. Gli apparve spogliata in una stanza disadorna, con indosso reggicalze e certi vestiti cui non era abituato e che gli piacevano; riusciva a carezzarla, toccarla e dominarla; e mentre lui si eccitava, lei faceva in modo di farlo crescere, mostrandosi senza pudore. Poi… Si riscosse da quelle scene, arrossendo per i pensieri e sperando che niente fosse trapelato. E faticò a credere che la donna lo stesse guardando con aria semplice, abbozzando un sorriso benevolo con le mani sulle anche, che si spostarono rapidamente sul seno come lui si riebbe. Dopo aver sistemato il bel balconcino, che in realtà non necessitava di sistemazione, si chinò sul poveruomo e toccandosi i capelli, mormorò: «Suvvia, so che lei può farlo, lo sento!» E approfittò per spingersi oltre: «Un piccolo sforzo per me di venire parecchie volte nelle prossime tre settimane per le prove e per lei di ascoltare come io desideri il mio vestito, e tutto sarà risolto, vedrà. Per l’acconto posso lasciarle...»

    Frugò nell’elegante borsetta e lasciò una banconota: era più di quanto normalmente il sarto chiedeva ai suoi clienti. E quando il signor Alfredino volle nuovamente provare a contestare qualcosa circa i tempi, lei si affrettò a concludere: «E per il conto, la prego di mandare quanto prima una nota a mio marito presso la Caserma, a questo ufficio», vergando con mano sicura su uno sgualcito pezzo di carta tutti i dettagli. Lo salutò caramente, poggiando la mano inguantata su una delle sue.

    Non poteva ritirarsi: aveva accettato la sfida suo malgrado. Pensava che quella donna avrebbe convinto anche Belzebù. Considerò il marito una vittima, ma in cuor suo lo invidiava per quanto lei fosse bella. Era eccitato per il breve e intenso incontro. E una cosa non dimenticò mai negli anni a venire: lo sguardo di lei dopo che lui si era risvegliato dal suo sogno a occhi aperti, il suo sorriso beffardo… Era come se lei lo avesse giocato, se sapesse cosa lui aveva sognato. Anzi, pareva che lo avesse stimolato ad arte, caricandolo come un pupazzo a molla: per la prima volta si sentiva pieno di adrenalina che doveva in qualche modo scaricare.

    Tornato a casa in ritardo per pranzo, trovò un’amica che stava salutando Olga sull’uscio; accennò un breve sorriso, al modo suo, e sgusciò via a lavarsi le mani, che l’appetito lo divorava. Durante il pranzo era distratto e un po’ trasognato; la moglie se ne accorse ma non prestò attenzione, dato che a sua volta pensava che nel primo pomeriggio avrebbe dovuto seguire certe questioni scolastiche di Oreste, che stava per avviarsi al termine del V Ginnasio ed era tra i migliori dell’Istituto.

    Terminato il pranzo, Alfredino si riposò come sempre un’ora circa, mentre Olga rassettava la cucina e iniziava a esaminare col figlio le questioni scolastiche. L’uomo si addormentò subito, ma ebbe un sonno agitato e fece una gran sudata, cosa che non gli accadeva neanche durante le calde estati. Sognò di essere vestito con indumenti di pelle color crema; che ove passava lo salutavano tutti e aveva il potere di farsi ubbidire; che bastava un suo sguardo per ottenere le cose che desiderava; e che taluni lo temevano. Vide una stanza e lì scorse la bella signora. Indossava lo stesso vestitino rosso, solo che ora se lo era alzato per far vedere quanto bastava e si toccava sorridendo in mezzo alle gambe. Senza aprir bocca, gli fece capire che lo desiderava; lui aveva braccia nodose e petto forte; lei gemeva per i colpi che le assestava; poi la fece girare e la finì con uno sconquasso dei sensi.

    Si svegliò allucinato e impiegò alcuni minuti per capire che si era trattato di un sogno. Si impresse ben in testa le parti migliori prima che svanissero, ripassandole più volte, e non riusciva a credere a quanto era eccitato. Anzi lo vedeva.

    Il pomeriggio andò in bottega e lavorò alacremente, sebbene a volte si scoprisse bloccato a pensare al sogno. Continuava a essere eccitato in modo anomalo e la frenesia lo faceva sbagliare: aveva dovuto scucire la parte del pantalone che stava completando al mattino, sentendosi nervoso per il tempo perso e il dolore che provava al basso ventre.

    La sera per cena era stravolto e quasi non sapeva come comunicare a Olga quello stato d’animo, lei sempre tranquilla e precocemente stanca già alle otto di sera per il gran lavoro di casa e il tempo trascorso con il figlio.

    Terminata la cena e praticate le abluzioni di rito, entrambi si misero a letto; Oreste era nella sua stanza.

    Alfredino era impacciato: non prendeva in generale alcuna iniziativa nei rapporti sessuali per lui rimasti sempre un po’ avvolti nel mistero. Ma soprattutto gli causava imbarazzo il fatto di essere eccitato per quella donna e al contempo sentire urgente il bisogno di svuotarsi.

    La moglie già dormiva. Prese allora coraggio e respirando piano, la tirò lentamente a sé con braccia esili, ben diverse da quelle del sogno. Frugò lentamente e, con cautela, abbassò gli indumenti intimi e iniziò. Olga non si svegliò, o almeno così gli parve; udì solo alcuni mugolii e si compiacque di essere stato silenzioso. La penetrò completamente non avvertendo particolare resistenza: desiderava terminare presto, perché temeva che la moglie si svegliasse e restasse sconvolta per quel comportamento. Raggiunse un orgasmo simile a quello del sogno e contrariamente a come si comportava di norma, emise dei brevi gridi strozzati. Si ritirò rapidamente, rimise a posto gli indumenti intimi e si accorse che lei stava emettendo dei sospiri, cercando una posizione più favorevole e tirandosi su la coperta. Ma allora era sveglia, pensò; ma poi, vinto dalla stanchezza e soddisfatto, si girò dall’altro lato e sprofondò in un sonno pesante. Gli ultimi pensieri prima di addormentarsi, che quasi ebbe difficoltà a confessare a se stesso, furono che lo aveva eccitato approfittare della moglie così apparentemente inerme e pensare al contempo che si trattasse di quella signora.

    Il mattino dopo evitò lo sguardo della moglie, ma vide che quella era la solita di sempre e si rasserenò.

    Nella settimana successiva, la signora Lepori fece visita altre due volte; in una era vestita di bianco e nell’altra di giallo. Era meno attenta a fare smorfie e ad assumere le studiate posture della prima visita. Si limitò a dettare le richieste, guardare i bozzetti iniziali e fare le prove. Ma Alfredino era contento ogni volta e approfittava per fare il pieno con gli occhi e fantasticare. Si deliziò durante una prova con una scusa a cingerla alla vita, cosa che lei non gradì particolarmente poiché si divincolò dandogli un’occhiataccia. Ciononostante tutte le volte Alfredino restava turbato e più che mai eccitato.

    In quella settimana ripeté per ben tre volte le manovre notturne di alcune notti prima, ogni volta con grande piacere. Mentre compiva quei gesti con sempre maggior perizia, era un unico fascio di nervi tesi e si sentiva un dominatore come mai prima gli era accaduto. Raggiungendo l’orgasmo, immaginava la signora nella stanza del sogno che si girava per offrirsi. Terminato il dramma erotico, sprofondava sempre in un sonno riparatore.

    Tanto intensa era stata la sensazione di forza e lussuria sprigionata da quelle unioni notturne mai sperimentate prima di allora con la moglie, tanto più forte fu per lui la successiva caduta, il ritorno alla realtà e l’oblio indotto dalla certezza di aver effettuato una serie di magistrali errori. L’amarezza prese il posto del benessere fisico, lo sconforto cacciò via la serenità, un umore nero si sostituì alla contentezza mentale. Olga scoprì presto di essere incinta: non era più giovane e ciò la impensieriva. Ma soprattutto l’angosciava il fatto che avrebbe dovuto dirlo a Oreste e non avrebbe più potuto dedicarsi a lui come prima. Che tutto nella loro vita sarebbe infine cambiato. Si scontrò con il marito, e duramente.

    «Perché lo hai fatto? Ricordi quanto sono stata male durante la prima gravidanza, ed era quindici anni fa, pensa adesso che non son più giovane! E poi, come ti è venuto in mente di farmi ciò, come pensavi che non potesse accadere l’irreparabile, visto che hai fatto i beati comodi tuoi dentro di me? Forse pensavi che sono così vecchia da non potere più avere figli? Non è così come vedi! E poi perché di nascosto, a quel modo? Ma a cosa pensavi e dove avevi la testa, debole che non sei altro? Io ero stracca, mi trovavo in un dormiveglia, tutto il giorno mi occupo della casa e di nostro figlio e lavoro in silenzio!»

    Il marito, pensando di assumere un tono conciliante, peggiorò invece la situazione.

    «Ma a te Olghina, pensavo a te! E a chi altro? E poi per me sei sempre giovane!» disse sentendoselo in parte uscire onestamente ma in parte sapendo di mentire. La moglie andò su tutte le furie e lo strattonò malamente, riempiendolo di insulti e facendo cadere un bicchiere. Si era alterata, aveva cambiato volto ed espressione, aveva d’un tratto perso la dolcezza innata del suo carattere, il motivo principale per cui il marito l’aveva chiesta in sposa alla madre, che il padre gli metteva soggezione.

    A volte è curioso come, tra coniugi, si riesca a focalizzare e comprendere meglio certi aspetti del carattere dell’altro solo quando intervengono fatti eccezionali, mai accaduti prima, che finiscono per sconvolgere la normalità, alterandola per sempre.

    Quando ciò avviene, è come se un velo cadesse e una nuvola roboante in lontananza facesse bella mostra di sé; come se su di un muro si crepasse l’intonaco e ne uscisse acqua scura mista a cattivo odore.

    Quando queste sensazioni si liberano, appaiono irreali, eppure esse sono incredibilmente vere.

    Lo scompiglio

    Olga e marito, maturi, si trovarono a gestire problematiche cui erano impreparati.

    Informarono i genitori: quelli di lei mostrarono coinvolgimento; quelli di lui assunsero un tono distaccato e fecero comprendere che non si sarebbero più di tanto prodigati, poiché quella sembrava loro più una pazzia che una benedizione del Signore.

    Al passare dei mesi, furono costretti a informare i parenti e i vicini. Alla fine lo seppero tutti in paese e proprio per quello non se ne parlò più; ma la cosa aveva destato un certo scalpore, poiché non erano più giovanissimi e avevano un figlio di quasi sedici anni.

    Al terzo mese di gravidanza, temendo che altri gliene accennassero, Olga decise di dirlo al figlio. Organizzò che il marito sarebbe andato in bottega prima del solito quel pomeriggio mentre lei, subito dopo pranzo, avrebbe parlato al figlio. Non sapeva da dove iniziare.

    «Oreste, devo dirti una cosa!», accennò con tono gaio, che tradiva una leggera incertezza.

    «Anch’io mamma!» rispose lui.

    «Ah sì? E di che si tratta, tesoro?»

    «Ricordi quel compito di matematica con le equazioni? L’ho superato a pieni voti e il professore mi ha fatto l’encomio di fronte alla classe e per l’occasione ha chiamato anche il Preside! Ci siamo proprio preparati bene, mamma!»

    Olga era in estasi: aveva saputo nascondere nei giorni precedenti l’ansietà. Oltre che superare il compito, era desiderosa che il figlio comprendesse il collegamento che di norma esiste tra una seria preparazione e i risultati conseguenti, un concetto che gli sarebbe tornato utile per il resto della vita. Era l’ulteriore prova che quel sodalizio funzionava bene, che si erano completati a vicenda e che il lavoro svolto in quei quasi sedici anni mostrava ora intatto tutto il suo splendore, la sua estrema raffinatezza.

    La donna lo volle vicino a sé, lo baciò delicatamente sulla fronte, gli carezzò la testa, lo strinse con un’intensità rara e disse: «Papà e io siamo orgogliosi di te, sei un figlio che ci ha dato grandi soddisfazioni e stai maturando in fretta; tra poco sarai pronto per entrare nella vita.»

    Quell’ultima frase la sconvolse un po’: non l’aveva mai pronunciata e si ritrovò a ripeterla mentalmente mentre continuava ad abbracciarlo. Ma che significava? Che presto gli avrebbe dato l’addio e qualcosa sarebbe cambiato tra loro? Un velo sarebbe caduto e una nuvola grigia avrebbe fatto irruzione nella loro piccola vita? Non si rendeva conto, non capiva ed era confusa; presagiva qualcosa ma non sapeva cosa.

    Le persone semplici, inconsapevoli conoscitrici di culture popolari prive di sovrastrutture, riescono meglio di altre più fortunate per nascita, a presagire i cambiamenti, a percepire quando le fronde degli alberi si muovono in modo illogico rispetto al vento o quando l’uccello sia irragionevolmente muto quando dovrebbe invece cantare. Presagiscono il fiume sotterraneo che, smettendo di gorgogliare, si ferma e caricandosi pone su di sé la pressione di una vita intera e cambia rotta. E poi con grande rumore infernale – come se invece di un fiume fosse una lucida locomotiva che trasporta di ognuno di noi segreti reconditi e profondi – si trasforma con fare di sfida in un panzer catastrofico e irrefrenabile che tutto può travolgere e arrestare nell’arco della sua immortalità. E tale cambiamento ha come unica guida nient’altro che il Destino, resosi ormai falsamente caritatevole per la certezza dell’infelice compito che l’attende.

    Tutto questo, pur se confuso, Olga lo percepiva in maniera netta; e la disorientava il fatto che quella sensazione si palesasse improvvisamente, senza anticipazioni e senza appello: come di chi, rimasto in incognito una vita, si prepari a uscire allo scoperto con le sue verità taciute e negate, per aumentare a bella posta lo scompiglio che tale rivelazione verrà a creare. Non volle però dare troppo peso a quel pensiero; immaginò che fosse solo il riflesso di una donna il cui perimetro esistenziale, fatto fino a quel momento di piccole e gioiose certezze, stava per mutare. Doveva dirlo, adesso.

    «Oreste, non è semplice per me parlare di ciò che sto per dirti, ma io e papà desideriamo che tu sappia da noi, per l’amore che ti vogliamo» disse cercando lo sguardo complice di tante volte, che proprio quella volta, casualmente, tardava a mostrarsi.

    «Sì mamma, ascolto, dimmi» rispose rapido. Aveva un quaderno in mano e un leggero sorriso gli compariva in viso, come di una persona trasognata.

    «Oreste – continuò lei, cercando di placare le alghe dell’ansietà che le stracciavano lo stomaco – tuo padre e io ci vogliamo un gran bene: questo è l’unico motivo per il quale ci siamo sposati e abbiamo avuto te. E ancora ci vogliamo un bene immenso; e ci siamo amati a tal punto negli ultimi tempi, che presto arriverà un altro bambino in questa casa.»

    Non aggiunse frasi più elaborate: aveva già fatto un notevole sforzo. Qualsiasi altro concetto avesse aggiunto, avrebbe fatto tracimare il fiume che a stento reprimeva e che in modo ordinato stava ora cercando di far defluire.

    Oreste sembrò per un attimo assente; giocherellava con il quaderno, lo rigirava, si ravviava i capelli; poi guardò la madre con lo sguardo di migliaia di volte e l’abbracciò. E le sussurrò con una dolcezza infinita: «E tu sei contenta, vero mamma?»

    Lei poté a stento reprimere le lacrime e carezzandolo freneticamente rispose: «Sì.»

    La sua ansietà aveva ora preso la forma di una mucillaggine ondeggiante che le procurava un malessere infinito: la visione di quel lago doloroso era talmente reale, che poteva vederne la superficie incresparsi a ogni oscillazione.

    A Olga parve sul momento che tutto fosse andato per il verso giusto e la questione fosse stata gestita nel migliore dei modi. In realtà cercò di convincersene.

    Oreste invece aveva accusato il colpo. D’un tratto gli era parso che qualcosa di meraviglioso fosse stato deviato dal suo corso naturale, che le certezze avessero fatto spazio alle nubi e che un fiume nero avesse iniziato lentamente a seguirlo a ogni passo, mentre prima lo ignorava. Il ragazzo ci era rimasto male. Proprio non capiva per quale motivo la madre all’improvviso non si accontentava più di lui cercando sfogo attraverso un altro figlio. Cosa aveva fatto di male lui per meritare questo? Cosa non funzionava più? Non riusciva ad accettare l’accaduto. Doveva essere sicuramente successo qualcosa: alla madre, al padre, alla madre-padre. O forse era colpa sua; ma per quanto si sforzasse, non riusciva a scorgere colpa alcuna.

    La madre si accorse presto dello stato d’animo, ma si trovò impotente a fare qualunque cosa, visto che lui si chiuse in uno strano monosillabismo cui non era abituata. E neanche valse a qualcosa l’invito al marito a intervenire, che lei iniziava a sentire il peso della gravidanza e dei malesseri che con quella cominciavano a manifestarsi. Quello poté combinare poco, che avendo scelto per anni di delegare tutto alla moglie sull’educazione del figlio, in realtà poco lo conosceva e ancor meno interagiva.

    Oreste ebbe anche un calo nel rendimento scolastico. Nei mesi autunnali del I Liceo Classico non riuscì a seguire bene le lezioni. Non era svogliato, ma le nozioni che normalmente comprendeva in modo rapido, ora si perdevano, come spiccioli in una tasca bucata. Lavorava per prendere il minimo; alcuni giorni si inventò malesseri per non andare a scuola, lui che faceva sempre in modo di passare a chiamare i compagni ritardatari lungo il cammino. I genitori erano preoccupati. Ma mentre il padre approfittava, suo malgrado, per chiudersi ancor più nella riservata compostezza dell’artigiano abile e non riusciva a trovare spiegazioni per affrontare la questione, la madre viveva un vero dramma. Non si perdonava di non essersi ribellata a quelle unioni cui era stata coinvolta suo malgrado dal marito, spesso non eccitato quando avrebbe dovuto esserlo ma quelle sere tanto eccitato da entrarle dentro prendendola per stanchezza! Avevano trasgredito: in primis lui, lasciandosi trasportare dall’esca primordiale del sesso; poi lei, nell’aver consentito quella situazione di profondo imbarazzo. Adesso tutto sarebbe cambiato, stava già cambiando: i rapporti con il marito, con il figlio, del figlio con il mondo che lo circondava. Tutto si sarebbe mosso e lei non avrebbe avuto il controllo dello sbriciolamento e della successiva ricomposizione in forma nuova delle tesserine del mosaico cui era abituata. E questa era la cosa che più l’angosciava, poiché percepiva che da tutto ciò nulla sarebbe derivato di buono e positivo.

    Durante l’inverno del primo liceo, il ragazzo si riallineò a se stesso, come ricomponendosi. L’ordito intessuto dalla madre, fatto di valori, rispetto e coordinamento della logica, riemerse vivo e si rafforzò, autoalimentandosi. Negli studi recuperò il terreno perso tornando a primeggiare. Con i vicini di casa e gli amici mostrò maturità di comportamento. Cresceva e allungava i passi ogni giorno. Aveva idee, piani per il futuro: vedeva se stesso proiettato in avanti, destinato a compiti importanti. Si sentiva diverso dagli altri.

    La madre recepì con favore il fatto che il figlio avesse superato quel momento: lo aveva visto riprendersi con la forza che le era nota. Eppure dentro di sé sentiva che le cose stavano probabilmente prendendo una piega diversa, che qualcosa del recupero immediato del figlio le sfuggiva; che i piani del destino, o forse quelli di Oreste, non le erano noti. Percepiva serenità, ma anche una nube all’orizzonte, la cui portata e pericolosità, per lei donna semplice, non era dato decifrare. Oreste poi, involontariamente, la stava spingendo a un peggioramento di quello stato d’animo: adesso era più sicuro di sé, autonomo e intraprendente, e sorrideva dal profondo dei suoi occhioni scuri alla madre. Ma era come se le sfuggisse. Anche se passavano tempo insieme, avvertiva che lui aveva la testa altrove e che i suoi sogni di adolescente iniziavano a superare agilmente il ristretto perimetro della casa e del paese.

    La scatola

    Si presentò a bottega del padre di Oreste il marito di Donna Fulgenzia, il Capitano Lepori. Era persona distinta e di grande carisma: impeccabile in divisa e più alto della media, presentava lineamenti decisi e volitivi. Appena lo vide il signor Alfredino ebbe un sussulto, poiché non poteva che essere il marito della signora che alcuni mesi prima, in pochi giorni, aveva creato lo scompiglio più totale nella sua vita. Le sue intuizioni furono immediatamente confermate quando l’ospite si presentò.

    «Buongiorno! Sono il Capitano dei Carabinieri Lepori e comando la caserma di zona. Lei dev’essere il signor Alfredino!»

    Era spigliato e ispirava una strana simpatia se non addirittura attrazione, per i modi espliciti ma cordiali. Si percepiva che era di famiglia benestante: dalle mani, dal viso, dal modo di parlare. Avrebbe potuto attrarre anche un uomo, non dal punto di vista fisico – quantunque fosse un bell’uomo – ma da quello caratteriale, dell’egemonia, dello spirito. Era una persona positiva, questo era certo. Il pensiero del sarto andò a come la moglie avesse saputo conquistarlo anni prima, lei che sicuramente non era della stessa classe sociale del marito. Poi tornò con la mente a quella tarda mattinata nella quale si era presentata nel laboratorio e alle giornate che si erano susseguite. E a ciò che era accaduto. E ritenne allora di comprendere in che modo Donna Fulgenzia avesse potuto far colpo sul futuro Capitano. Poi ragionò tra sé: lui farà di sicuro carriera, è di famiglia importante; lei è molto bella e scaltra, e sapeva a chi donare le sue grazie. Li immaginò a letto, nella posizione classica: lui robusto, di spalle; lei flessuosa e aperta, agganciata a lui senza scampo, come il tessuto sotto i colpi della macchina per cucire. E comprese che la natura raramente sbaglia, che le persone si cercano e si trovano quasi inconsciamente e che logiche insondabili hanno il sopravvento a dispetto dei desideri umani. Poi pensò al suo matrimonio, a se stesso e a Olga, trovando immediata conferma a quel ragionamento. Se avesse dovuto esternare quel pensiero a qualcuno, non gli sarebbe bastata una vita; si meravigliò invece di come lo stesso si fosse formato rapido nella sua mente. E rimase altresì stupito di come quella coppia, al semplice apparire, fosse in grado di far sussultare i suoi pensieri.

    Il Capitano esordì dicendo che erano rimasti molto contenti del vestito della moglie; e adesso che anche lui si trovava ad aver necessità di un completo per una importante cerimonia di famiglia, desiderava usufruire dei servizi del sarto. Questi benedì il fatto che il Capitano si fosse mosso con molto più anticipo di quanto non avesse fatto la moglie mesi addietro; inoltre gli fece piacere il fatto che il Capitano non lo vessasse, come avrebbe invece potuto fare dall’alto del suo grado. Il nuovo cliente si mostrò tranquillo e paziente e ascoltò i consigli dell’artigiano. Alla fine fu il signor Alfredino a decidere taglio e modello; e il Capitano, da buon militare, ubbidì. L’esatto contrario della moglie, pensò il sarto!

    All’appuntamento successivo, due settimane dopo di pomeriggio, era casualmente presente nel laboratorio Oreste, che aveva posticipato lo studio di un’ora, forte del fatto che non aveva molto da svolgere. Così almeno aveva detto alla madre, la quale ormai accusava in pieno i malesseri della gravidanza – peggiori della prima – , passando gran parte della giornata a letto.

    In Oreste non si era mai sopito il desiderio di andare in bottega, visto che vi si era recato poche volte e non conosceva molto di quell’arte. Era incuriosito: non voleva dettagli quanto i segreti di quel lavoro.

    Anche il padre fu incuriosito nel trovarsi il figlio in laboratorio: entrò un po’ in ansia, poiché di lì a poco sarebbe arrivato l’importante ospite e la sua mente veloce era già protesa nell’esecuzione frenetica dei compiti di misurazione e imbastitura che l’attendevano. E come al solito avrebbe desiderato effettuare tutto ciò in silenzio, in base alle abitudini di sempre.

    Con semplicità Oreste gli rivolse domande sui tessuti, le loro caratteristiche, il prezzo dei capi finiti e altro ancora. Il padre non fu in grado di soddisfare quell’assalto: si risolse a rispondere di noiosi aspetti tecnici.

    Mentre Oreste finiva di convincersi che un vero dialogo col padre non era di fatto possibile, entrò rapido il Capitano: passo sicuro e sguardo vigile, era impeccabile nell’uniforme ed emanava rispetto e carisma. Ciò almeno vide Oreste; e talmente ne fu colpito, che gli sarebbe rimasto impresso tutta la vita. Il ragazzo, accantonate le questioni relative alla sartoria, iniziò ad ammirare divisa e modi di fare dell’Ufficiale: si figurava adesso la caserma, i sottoposti e la disciplina, con la mente di un giovane mai stato in contatto con alcun militare.

    Al momento di provare l’abito il padre, rivolgendosi a lui, lo invitò a uscire; il Capitano chiese invece di farlo restare, dicendo: «Ha gli occhi di chi vuol imparare. E qualsiasi idea abbia in testa, lasciamo che resti qui, qualcosa pur imparerà!»

    Il sarto si attenne a quella richiesta e gli presentò il figlio. Oreste era intimorito e non sapeva che dire. L’ufficiale, comprendendo la situazione, riprese a parlare. «Allora figliolo, che pensieri hai per il futuro? Hai già deciso?»

    Intervenne rapido il signor Alfredino: «È solo un ragazzo, vede, e ancora deve chiarirsi le idee, questo è sicuro.»

    Vi era assenza di amore e passione in quelle parole gettate così: il figlio sapeva che il padre non si comportava così per autoritarismo, ma solo a causa della sua personalità piatta. Oreste non gli voleva male, ma non riusciva a volergli più di tanto bene. Rispose: «Ho tanti progetti, desidero terminare bene gli studi, che studiare mi riesce, e poi vorrei vedere il mondo, almeno altre città d’Italia. Mi sento portato per le avventure, per stare in squadra, per lavorare secondo regole. Voglio rendermi utile!»

    Intervenne di nuovo il padre, che la tensione interna faceva evidentemente parlare più del solito quel giorno: «Lo scusi signor

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