Togliti i calzari: Per avvicinarsi a Dio
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Non è facile cogliere subito il significato di un incontro con Dio! Mai, come adesso, Mosè sente l’abisso della propria pochezza. Di’ solamente «sì», Mosè, e porterai un popolo immenso attraverso il deserto fino alla terra promessa. E anche tu, chiunque tu sia, di’ il tuo «sì», anche se non puoi sapere oggi quanto il Signore l’aspetta, non puoi conoscere il peso che potrà avere per te, per la Chiesa e per tutti i fratelli.
Cesare Falletti
È cresciuto a Roma dove ha compiuto tutti gli studi, fino alla licenza in teologia. Per un breve tempo è stato vicerettore del nascente seminario per le vocazioni adulte a Torino da dove è partito per entrare in monastero. Nel 1971 è entrato nell'Ordine cistercense presso l'Abbazia di Lérins. Inviato a fondare nel 1995 in Piemonte il monastero Dominus Tecum a Pra 'd Mill (Bagnolo P.te – Cn, diocesi di Saluzzo), ne è stato il priore fino al 2015.
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Togliti i calzari - Cesare Falletti
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Cesare Falletti o.cist.
Togliti i calzari
Per avvicinarsi a Dio
Effatà Editrice logoPremessa
Ho scritto questo libro circa trent’anni fa, dopo aver accompagnato molti giovani nella loro ricerca vocazionale, nominato nel mio monastero Maestro dei novizi.
Devo dire che per me una delle cose più belle della vita è quella di vedere il Signore che lavora un cuore per attirarlo a sé e riempirlo della sua grazia. È anche uno dei momenti in cui ci si sente più disarmati e incapaci di portare a buon porto un’opera cominciata. Dopo tanti anni di vita religiosa con belle responsabilità e contatti umani profondi, continuo a trovare che non c’è nulla di più bello che una persona che cerca Dio.
Il tempo è alleato del Signore ed è nel tempo che egli opera, come Gesù stesso ha detto: «Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme sulla terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,26–27).
Dopo tanti anni mi hanno proposto di pubblicarlo ancora. L’ho riletto e penso che quello che vi dicevo allora abbia ancora un’attualità e che, malgrado una più lunga esperienza e il cambiamento della società, dei giovani e dei meno giovani e del modo di cercare il Signore, si possono ancora dire le stesse cose. Il cuore profondo dell’uomo è sempre lo stesso perché così esce dalle mani del Creatore.
Non è un libro solo per coloro che hanno la vocazione
, ma vuole aiutare quanti sentono d’essere appassionati di Dio e trovano il cammino difficile.
È Dio che lavora il cuore dell’uomo per attirarlo a sé, ma da soli il cammino non è possibile. È bene essere aiutati e questo aiuto è soprattutto per rimuovere tutto ciò che è di ostacolo. Nei monasteri benedettini si legge quotidianamente un brano della Regola di san Benedetto e attraverso di essa si è orientati costantemente verso il fine a cui si tende, ma non in modo statico. L’invito costante è a correre. È a questa corsa folle in cui si perdono tante cose superflue e a cui si prende gusto man mano che si avanza — corsa misteriosa in cui la stanchezza è più al momento della partenza che in quello dell’arrivo — che vorrei invitare quanti leggeranno questo libro.
Con esso vorrei prenderli per mano e dire: «Su, vieni... ne vale la pena, ci prenderai gusto!».
Fra tutti coloro che il Signore ha scelto per indicarci il cammino verso di lui, ho voluto seguire i pastori di Betlemme. Forse perché erano coloro che meno si aspettavano di essere invitati all’incontro.
Forse perché il cammino che hanno fatto per incontrare Dio è stato il più diretto, senza la minima programmazione da parte loro, segno evidente che l’amore di Dio chiama veramente tutti. Fatto sta ed è che ci si ritrova facilmente nella loro esperienza.
Passavano una notte come tante altre, ma ad un certo momento tutto è stato diverso: Dio li aveva chiamati.
C. F.
Introduzione
Le pecore avevano trovato uno spazio erboso e Mosè si guardava attorno ed osservava con aria distratta quella montagna imponente verso cui l’aveva condotto la ricerca di un pascolo.
La sua attenzione improvvisamente si porta su un cespuglio di spine e sterpaglie che sembra aver preso fuoco. Incidente banale, ma quel fuoco è diverso. Il cespuglio non sembra attaccato e il fuoco nasce da niente e non brucia nulla.
Quel fuoco lo attira. Mosè si avvicina come per esaminare un fatto curioso... e si scopre aspettato da Qualcuno. «Mosè, Mosè!». Chi può chiamarlo in quel deserto? «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Va’, ti mando da Faraone» (Es 3,6).
Non è facile cogliere subito il significato di un incontro con Dio! Mosè sa che i suoi antenati avevano avuto una relazione intima con un Dio che era loro anche apparso, li aveva coperti di benedizioni e consolati con misteriose promesse.
Ma sono cose di un passato remoto ed ora il popolo è oppresso in Egitto; lui stesso è scampato da poco ad una condanna a morte, fuggendo verso questa terra deserta in cui vive al servizio di un pagano. Ha sempre amato il suo popolo schiavo e un po’ addormentato, reso passivo dall’oppressione; un amore che gli è costato caro. Aveva una bella posizione a corte e ora è profugo, lontano dai suoi, pastore di un gregge non suo.
Cosa sono dunque questa chiamata e questa missione? Diffidenza, paura, sorpresa, inquietudine, esaltazione, speranza si mescolano nel suo cuore. Piano piano si fa strada la certezza che non può tirarsi indietro, andarsene come se nulla fosse, rifiutare l’invito.
«Perché proprio io?». Mai, come adesso, Mosè ha sentito l’abisso della propria pochezza, dell’incapacità di fare o pensare qualcosa di grande, di utile, di buono. Di fronte a quel fuoco si sente legno verde.
«Perché proprio io?». Più Mosè cerca di tirarsi indietro e più il Signore precisa la sua chiamata che sempre meglio si presenta come missione e invito all’intimità. Gli rivela il suo nome, si fa suo amico, illumina il suo volto, gli apre il suo segreto e scopre il suo progetto.
E Mosè si mette a fare prodigi, cose mai fatte, con un coraggio nuovo, una fiducia che non conosceva, lui il povero profugo, pastore di pecore, cresciuto alla corte di Faraone.
Di’ solamente «sì», Mosè, e porterai un popolo immenso attraverso il deserto fino alla terra promessa, vedrai il Signore liberare Israele con mano potente e braccio teso.
Di’ solamente «sì», Maria! «Te lo supplica, o vergine pietosa, l’afflitto Adamo, scacciato dal paradiso con la sua misera progenie. Te ne pregano Abramo, Davide e gli altri santi Padri, tuoi antenati, che si trovano anch’essi nelle tenebre e nell’ombra di morte. Il mondo intero l’attende prostrato ai tuoi piedi; e con ragione perché dalla tua parola dipende la consolazione dei miseri, la redenzione degli schiavi, la liberazione dei condannati, la salvezza infine di tutti i figli di Adamo... Affrettati o Vergine a rispondere. Pronuncia, o Signora, quella parola che attendono la terra, gli inferi e anche il cielo...» (san Bernardo).
E anche tu, chiunque tu sia, di’ il tuo «sì», anche se non puoi sapere oggi quanto il Signore l’aspetta, non puoi conoscere il peso che potrà avere per te, per la Chiesa e per tutti i fratelli, per il mondo e per la creazione che geme nell’attesa della liberazione.
«Sia fatto di me secondo la tua Parola».
Festa dell’Annunciazione
25 marzo 1983
La notte
Alcuni pastori vegliavano di notte
facendo la guardia al loro gregge.
Lc 2,8
«In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso, e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: Sia la luce
e la luce fu» (Gen 1,1–3). «Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento, dalle acque che sono sopra il firmamento» (Gen 1,7).
Con amore di Padre, Dio ha creato un mondo in cui l’uomo potesse vivere; con cura ha dato ordine agli elementi, perché dagli inferi fino ai superiori tutti si accordassero per servire l’uomo, e l’uomo servisse Dio.
Colui che sa guardare esulta con il salmista: «Quanto sono grandi le tue opere, Signore! Tutto hai fatto con saggezza... Tutti aspettano da te che tu dia loro il cibo in tempo opportuno... Mandi il tuo spirito e sono creati e rinnovi la faccia della terra. La gloria del Signore sia per sempre... Voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare al mio Dio finché esisto... Benedici, anima mia, il Signore!» (Sal 103,24 ss).
Ma «lo stolto ha detto nel suo cuore: Dio non c’è
» (Sal 13,1). Allora «il Signore ha guardato la terra, ecco era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra» (Gen 6,12). Per questo il Creatore ha lasciato che «le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprissero» (Gen 7,11).
Nel diluvio lo splendore della creazione, riflesso della gloria divina, si è coperto di un velo di tenebra. Nel suo amore misericordioso il Signore ha voluto che l’uomo sperimentasse cosa vuol dire il caos. È il tempo in cui Dio sembra non volersi più occupare del mondo, quando il cielo e la terra sembrano uniti per distruggere l’uomo, per soffocarlo, schiacciarlo in un’alleanza caotica.
L’uomo dice: «Dio non esiste» e tutta la creazione gli precipita addosso. Toglie la sovranità al Creatore e perde il suo dominio sul creato. La creazione gli è stata data perché egli riconosca che Dio lo ama, che ha fatto tutto con sapienza e amore, che la terra è piena delle creature del Signore. Tutte dipendono da lui, tutte sono sue e, se egli nasconde il suo volto, vengono meno (cfr. Sal 103,27.29). Senza di lui non sono nulla.
Il Creatore ha dato tutto all’uomo, perché ha fatto ogni cosa per lui: «Ha messo un limite alle acque e non lo passeranno» (Sal 103,9). Questo dono Dio non se lo riprende: è dell’uomo. Ma l’uomo non può tenerselo senza ridarlo al suo Signore, senza — per il fatto stesso che lo riceve — entrare, accettare, accogliere la relazione con