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Il Delitto quasi perfetto: Smart working e diritti del lavoratore
Il Delitto quasi perfetto: Smart working e diritti del lavoratore
Il Delitto quasi perfetto: Smart working e diritti del lavoratore
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Il Delitto quasi perfetto: Smart working e diritti del lavoratore

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About this ebook

Con l'esplosione e l'aggravarsi della pandemia generata dal Coronavirus, le attività produttive si sono trovate di fronte a un dilemma: continuare a lavorare nel modo con cui siamo abituati (in presenza sul luogo), o mettere a frutto quanto la tecnologia ha messo a disposizione dell’uomo e, quindi, mediare fra l’esigenza del profitto e la salute. Come a tutti noto, si è scelta questa seconda strada.
Purtroppo, in Italia, si è deciso di interpretare lo smart working alla stessa maniera del lavoro subordinato. Lo smart working che si è praticato (e si sta praticando) nei giorni di emergenza sanitaria è stato un falso lavoro agile che, semplicemente, ha trasferito il lavoro classico dall’ufficio in casa, mantenendo la caratteristica di controllo, da parte del datore di lavoro, sul processo.
I lavoratori si sono trovati, cioè, sempre più nelle condizioni di un falso smart working che manterrà le caratteristiche del lavoro abituale d’ufficio, con la differenza che si assottiglierà sempre di più la linea di demarcazione fra vita lavorativa e vita privata: tutta la vita sarà lavoro, con il conseguente indebolimento dei diritti dei lavoratori.
Come ovviare a questo delitto quasi perfetto? È la risposta che Pierluigi Petricola cerca di dare con questo volume, individuando l’assassino, il corpo e l’arma del delitto.
Un libro agile e divulgativo che possa andare nelle mani di tutti e che sia in grado di rispondere agli interrogativi più disparati.

LanguageItaliano
Release dateDec 7, 2020
ISBN9788832104349
Il Delitto quasi perfetto: Smart working e diritti del lavoratore
Author

Pierluigi Pietricola

Pierluigi Pietricola (1983) è PhD in Italianistica. Scrive per il Blog della Fondazione Nenni ed è critico teatrale per la rivista Sipario. Ha curato un libro sul sindacato nel Pubblico Impiego (La lepre contro il gambero. Il sindacato confederale nel Pubblico Impiego, Arcadia Edizioni).

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    Book preview

    Il Delitto quasi perfetto - Pierluigi Pietricola

    © Arcadia edizioni

    I edizione, novembre 2019

    Isbn 978 88 3210 434 9

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale, del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Prefazione

    Cara iscritta e caro iscritto,

    è innegabile – come sotto gli occhi di noi tutti – che questa pandemia ha profondamente trasformato le nostre percezioni, la nostra quotidianità e finanche le nostre priorità.

    Siamo stati tutti protagonisti in questa battaglia a difesa della salute e della vita e anche il mondo del lavoro ha reagito. Sì perché una variabile imprevedibile, quella del Covid-19, ha ribaltato di netto i paradigmi del lavoro come li abbiamo conosciuti e ha anche spronato l’opinione diffusa a scardinare modelli che sembravano immutabili e, quindi, a ripensarli.

    Un esempio su tutti è quello della smaterializzazione del lavoro che, laddove possibile, ha rappresentato la prima linea difensiva contro la diffusione del contagio.

    Una misura urgente e necessaria che ha messo davanti a tutto la tutela della vita.

    Quell’urgenza, però, ha trovato impreparati tanti datori di lavoro costretti a convertire rapidamente i propri modelli organizzativi. Lo hanno testimoniato le esperienze, spesso critiche e confuse, dei lavoratori, sia pubblici che privati, chi per un motivo chi per un altro.

    Lo racconta più bene anche il libro che avete tra le mani.

    In questo contesto straordinario, tutti hanno lavorato senza sollevare problemi, senza guardare a orari e giorni festivi e ricorrendo alle proprie tasche – è il caso di molti – per dotarsi di strumenti e reti. E lo hanno fatto anche nella consapevolezza dell’esser stati catapultati da un momento all’altro in una situazione storica che ha messo in ginocchio tanti lavori, tanti lavoratori, tante persone.

    L’emergenza che abbiamo vissuto, tuttavia, non può giustificare in alcun modo quello che giustamente in molti temono o, peggio ancora, hanno subito, ossia che si verifichi – per usare un termine dell’autore – la sussunzione del lavoro, per mezzo dello smart working, nella sfera individuale del lavoratore. Abbiamo assistito ad uffici che hanno perso la propria connotazione fisica e così la sfera lavorativa, nella sua remotizzazione, è entrata quasi inconsciamente in quella privata, divenendo "il concetto di lavoro stesso non […] più qualcosa che rispettare tempi di produzione e di realizzazione ma […] una merce da concretizzarsi appena se ne fa richiesta".

    Ancora più incisivo l’autore quando precisa che "il lavoratore è sempre più sotto controllo da parte del suo datore in quanto computer portatile e smart-phone lo hanno trasformato in oggetto subito disponibile ad ogni spingere di tasto".

    E tutto questo, difatti, si è tradotto in un importante incremento della disponibilità oraria dei dipendenti, ben al di fuori della normale routine quotidiana prestata in sede, cancellando talvolta con naturalezza il tema del lavoro straordinario, delle maggiorazioni retributive per i giorni festivi e per le prestazioni notturne, dei permessi compensativi e così via. Come se chi lavorasse al di fuori dei confini della sede di lavoro non lo facesse più con lo stesso impegno di quando era in ufficio.

    Non è questa la nostra idea di smart working, semmai è proprio l’esatto contrario!

    Il lavoro agile deve essere quella modalità capace di conciliare il proprio lavoro con una quotidianità più facile, più serena e in grado di migliorare il proprio benessere.

    All’atto pratico, invece, il lavoro agile non ha risposto ad una richiesta di maggiore autonomia, flessibilità oraria e miglior conciliazione dei tempi vita lavoro ma è stato l’esito di una importante misura di prevenzione e sicurezza del diritto alla salute. Il ché, però, non può e non deve addirittura tramutarsi in un elemento legittimato di stress e sovraccarico lavorativo.

    Per questo motivo, nell’anno trascorso, abbiamo preteso e rivendicato, in tutti i tavoli e in tutte le sedi, regole chiare e condivise che superassero la semplice gestione dell’emergenza e guardassero agli orizzonti futuri e alle opportunità che, invece, il lavoro agile stesso può offrire al mondo del lavoro, dell’impresa e non solo. Mi riferisco alle scelte di vita dei lavoratori spesso legate alla sede dei luoghi di lavoro, alla sostenibilità ambientale, alla mobilità, al rilancio del mezzogiorno, fino al ripopolamento delle aree interne e dei borghi e alla loro riqualificazione.

    Avremmo voluto ragionare compiutamente di pari accesso a strumenti e reti, sia in termini di dotazioni e costi che di formazione; di diritto alla disconnessione; di tempi di riposo; delle modalità di esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro; della protezione dei dati sensibili gestiti da remoto; dell’equa fruibilità di spazi di lavoro per chi oggettivamente impossibilitato a lavorare da casa e di tanto altro.

    Il tutto, invece, è stato affidato di fatto alla singola responsabilità e capacità di gestione dei dipendenti e dei datori di lavoro, in un regime tra l’altro in deroga alla disciplina normativa della legge 81/2017. E così ci siamo trovati di fronte a quello che abbiamo definito fin da subito home working, definizione che ribadisce anche l’autore.

    Mi viene da pensare, invece, che nel fronteggiare situazioni complicate, addirittura drastiche come quella che abbiamo vissuto, dovremmo essere spronati ad esaminare con più chiarezza e attenzione alcuni aspetti e confini che fino ad a quel momento sembravano certi e insuperabili.

    Ecco, perché, dobbiamo continuare ad insistere con tutte le nostre controparti sulla necessità di regolamentare lo smart working, quale modalità lavorativa ampiamente applicata in molte amministrazioni pubbliche e aziende private.

    Dobbiamo far comprendere che la chiave di lettura di questa vicenda non può che essere quella di smontare finalmente quell’impostazione di lavoro e orario di lavoro fermamente ancorata nei rigidi modelli fordisti. È l’occasione e il tempo di lanciare la sfida alla politica e alle associazioni datoriali per ragionare finalmente di produttività, di raggiungimento degli obiettivi e di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

    È questo il terreno su cui ci vogliamo confrontare da qui ai prossimi anni.

    Abbiamo grandi esperienze che dimostrano cosa potremmo fare se lavorassimo sulla valutazione del raggiungimento degli obiettivi, partendo dallo smart working per arrivare fino alla riduzione dell’orario di lavoro.

    Tocca a noi capovolgere la piramide che fino adesso ha retto l’organizzazione del lavoro e guardare a nuovi traguardi: quelli di una visione diversa del tempo di lavoro slegata dalla sola presenza fisica sul posto di lavoro.

    Bisogna considerare che tutto quello che è successo in questi mesi ha messo il lavoro in condizioni di sviluppare obiettivi e risultati che attraverso la strumentazione informatica e le reti sembravano impossibili.

    Ora dobbiamo mettere in sicurezza questi risultati e non prestare il fianco a nuovi arretramenti dei diritti.

    Le riflessioni del testo con cui quest’anno abbiamo voluto accompagnare la vostra tessera UIL 2021 possono rappresentare preziose sollecitazioni per orientare e proteggere la vostra routine lavorativa, i vostri diritti e per esser pronti a quella che dovrà esser una nuova stagione di relazioni sindacali.

    Ci troviamo a dover costruire il nostro futuro e la pandemia ci costringe a farlo da subito.

    Noi immaginiamo che questo vada fatto in modo diverso, con principi diversi, sperimentando anche soluzioni e idee che fino ad ora sembravano impensabili, senza, però, mai arretrare sui diritti riconosciuti e senza mai rinunciare a conquistarne i nuovi.

    Pierpaolo Bombardieri

    Segretario Generale Uil

    Un articolo di giornale a mo’ di introduzione

    Quando ho pensato a questo libro, mai avrei immaginato che sull’Italia si sarebbe abbattuta una pandemia, come è stata quella da Sars CoV2 (comunemente chiamato coronavirus), associata ad una vera e propria infodemia (come l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito la comunicazione massmediatica di giornali e televisioni relativa all’agente virale in questione).

    E mai avrei immaginato che si sarebbe così diffusamente parlato di una modalità lavorativa rivoluzionaria, a mio avviso che andrà a vantaggio dei lavoratori – così come al datore di lavoro – e che diverrà, in futuro, sempre più protagonista. Sto parlando dello smart working, altrimenti detto lavoro agile.

    Con l’incanaglirsi della pandemia, le varie attività produttive si sono trovate di fronte a un dilemma da risolvere: continuare a lavorare nel modo con cui siamo abituati (in presenza sul luogo), oppure cercare di mettere a frutto ciò che la tecnologia ha messo a disposizione dell’uomo e, quindi, mediare fra l’esigenza del profitto e la salute? Come a tutti noto, si è scelta questa seconda strada. E, a mio avviso, a ragion veduta.

    Durante questi mesi, abbiamo assistito al moltiplicarsi di lavoratori che da remoto sono in grado di collegarsi a un computer, di svolgere quelle mansioni che prima, abitualmente, svolgevano in ufficio, in modo da poter tutelare la loro salute insieme a quella dei loro colleghi e, di pari passo, di mantenere – per quanto possibile – un regime produttivo tale da avere quello che comunemente viene definito il pane quotidiano (senza ombra di blasfemia alcuna).

    Non tutte le attività produttive, come è ovvio, possono svolgersi in regime di smart working. Come potrebbe farlo un operaio industriale? O, per meglio dire, poniamo la domanda in altro modo: potrà mai un operaio di un’industria manifatturiera lavorare in regime di smart working? Cercherò di rispondere anche a questo interrogativo.

    Per ora vorrei partire da un articolo di giornale pubblicato qualche giorno fa (16 maggio 2020) su La Stampa. Ecco, brevemente riassunto, il contenuto:

    Il contratto è il vero abilitatore dello smart working e della trasformazione digitale delle organizzazioni e del mercato del lavoro. Per Nicolò Borgian, il fondatore di Whitelibra una startup innovativa nata nell’aprile dell’anno scorso per promuovere il lavoro digitale in Italia, è questo il salto di qualità che potrebbe permettere all’Italia il superamento del tele-lavoro sperimentato durante il lockdown da Coronavirus per avvicinarsi alle economie più evolute: Lo smart working è strategico per generare valore economico essendo spesso focalizzato su servizi ad alto contenuto cognitivo, tecnologico e professionale… Il gradimento per il lavoro da remoto, nonostante comporti una minor quantità di contatti sociali, aumenta per uomini e donne ma registra un leggero calo solo nelle generazioni più giovani (nati dopo il 1990) che tornano ad apprezzare l’attività di lavoro in presenza. Per le donne la produttività del lavoro sembra essere significativamente più alta in modalità smart rispetto alle forme di lavoro tradizionale. Il 92% del campione dichiara di lavorare molto o comunque non meno che nelle attività in presenza e il 34% ritiene che la produttività sia aumentata notevolmente… La tecnologia e le piattaforme sono uno strumento necessario ma non sufficiente, soprattutto se non costruite ed orientate nel modo corretto, spiega Borgian. Dal suo punto di vista

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