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La risata amara: La morte della commedia all'italiana
La risata amara: La morte della commedia all'italiana
La risata amara: La morte della commedia all'italiana
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La risata amara: La morte della commedia all'italiana

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Dalla metà degli anni '70 la commedia all'italiana getta la maschera bonariamente cattiva e comicamente detestabile portata in passato e indossa quella tragica del riflusso.

Nell’arco di tre anni, dal 1976 al 1979, i registi più rappresentativi e i volti attoriali più noti di un genere che è sempre riuscito a dare il quadro esatto della temperie culturale del Paese, scavano a fondo nella contraddittoria realtà di un decennio ricco di zone d’ombra, dimostrando quanto il sarcasmo, l’ironia e la satira pungente, sebbene presenti, si andassero a posizionare in secondo piano rispetto alla visione crudele e ferocissima di un’Italia attanagliata dagli anni di piombo, messa in ginocchio dalla stagnazione economica e sferzata dalla trasformazione socio-culturale in atto.

Il saggio prende in esame quelle pellicole che hanno dipinto, con i colori plumbei dell’apocalisse, un Paese tradito dall’ottimistica visione del boom, rivelatasi illusoria, osservando i suoi abitanti nella loro più ripugnante trasformazione: da amabili cialtroni in animali accecati dal rancore e assetati di vendetta.

LanguageItaliano
Release dateNov 18, 2021
ISBN9788869347351
La risata amara: La morte della commedia all'italiana
Author

Cesare Paris

Cesare Paris, classe 1973, laureato in Storia e Critica del Cinema, Facoltà di Lettere e Filosofia, presso l'università La Sapienza di Roma. Ha collaborato come critico cinematografico per i siti Kataweb Cinema (La Repubblica), Zabriskie Point e Splatter Container, per la rivista Film e il quotidiano Rinascita. La risata amara è il suo esordio nella saggistica. Attualmente lavora come editor presso una prestigiosa casa editrice.

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    La risata amara - Cesare Paris

    Cesare Paris

    La risata amara

    Prefazione di Mario Sesti

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, novembre 2021

    e-Isbn 9788869347351

    È vietata la copia e la pubblicazione,

    totale o parziale, del materiale

    se non a fronte di esplicita

    autorizzazione scritta dell’editore

    e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo

    Cesare Paris

    Classe 1973, laureato in Storia e Critica del Cinema, Facoltà di Lettere e Filosofia, presso l’università La Sapienza di Roma. Ha collaborato come critico cinematografico per i siti Kataweb Cinema (La Repubblica), Zabriskie Point e Splatter Container, per la rivista Film e il quotidiano Rinascita.

    La risata amara è il suo esordio nella saggistica.

    Attualmente lavora come editor presso una prestigiosa casa editrice.

    Ad Elena,

    perché senza di lei, non è lo stesso…

    Il primo film che abbiamo visto insieme

    è stato The Believer.

    L’ultimo… speriamo non vederlo mai.

    Ricorderemo il mondo attraverso il cinema

    Bernardo Bertolucci

    La nostra realtà è tragica solo per un quarto: il resto è comico. Si può ridere su quasi tutto.

    Alberto Sordi

    Prefazione

    The Twilight Zone: l’irresistibile crepuscolo della commedia

    Mario Sesti

    La prima qualità di un testo di critica cinematografica è, secondo me, quello di riempire il fossato tra le parole e le immagini con una lingua capace di restituirne e farne vivere il senso. È la maledizione e la grazia dei discorsi sul cinema. Il critico letterario può usare lo stesso medium che è oggetto del suo lavoro (i romanzi sono fatti di parole proprio come i saggi sui romanzi), il critico cinematografico, no (anche se da qualche anno, il mondo dei videoessay sta dimostrando che può esistere anche una critica del cinema fatta con il cinema). Ma è proprio questo handicap, questa disabilità implicita, che rende affascinante lo stile della critica.

    Quali sono le parole giuste per descrivere un film? Come si mappa con la scrittura quell’immaginario (inteso come vivario: selva e allevamento, deposito e magazzino di immagini) in cui ogni film affonda le proprie radici? La critica cinematografica, infatti, prima di giudicare un’opera, è innanzitutto un lavoro di trascrizione attraverso il quale qualcuno che ha avuto la chance di incontrare un film cerca di comunicare, e condividere, con qualcun altro, ciò che quel film ha scritto su di lui. Ogni critico che si rispetti deve prendere le misure, la rincorsa, il fiato necessario, per saltare quel fossato, portando ad altri ciò che ha visto e sentito, con gli occhi, la mente, il cuore.

    Tutto questo per dire che la prima, inconfondibile, fragranza critica di questo libro, è la cura con la quale sono descritti i film che analizza.

    Dall’assurdo sacrificio al benessere dell’omicidio di Mario, il figlio di Giovanni/Alberto Sordi, in Un borghese piccolo piccolo, al fuoco rosso sangue dei camini accesi e l’ululare persistente del vento in La stanza del vescovo, dalla quinta fantasmatica della Venezia di Un’anima persa alla Milano fredda e vuota di Il giocattolo, la critica fa proprio innanzitutto il lavoro di mettere in scena il film agli occhi del lettore posizionando il paesaggio e mettendo a fuoco interni e profili.

    Dato che si tratta del cinema dell’ansia epigonale di un decennio in preda al caos, fa qualcosa di più. Con una certa progressione, ne resoconta lo strepito e l’angoscia. I fiumi di veleno che assediano la città, i colpi di spranga, le pistole, le sirene spiegate, le strade come polveriere, sono il terreno di incubazione di tutti i demoni alla ricerca dei punti di rottura dell’uomo qualunque che spesso sono anche l’unica via di fuga di un’esistenza fatta di apatia e rassegnazione, smarrimento e rancore.

    Testo e contesto sono abilmente confusi (era il cinema che imitava un mondo fatto di guerra civile quotidiana o il contrario?), anche perché la forma prescelta, quella della commedia, avrebbe dovuto essere quella dell’evasione, dell’intrattenimento, della risata. In realtà, come sanno bene gli studi sulla commedia all’italiana, le innovazioni che essa ha importato, alcune acquisite in tutto il mondo, sono state la promiscuità fisiologica con il dramma (da Divorzio all’italiana a La grande guerra a Il sorpasso, in questa commedia si può morire o uccidere e film come Una vita difficile o Io la conoscevo bene o Lo scopone scientifico hanno tra i finali più tristi e tragici mai realizzati), l’estensione non ordinaria della sua latitudine alla disamina storica, alla critica sociale e politica, la contaminazione con altri generi.

    Forse l’aspetto più interessante, che questo libro mette in luce, è proprio l’egemonia di quest’ultimo.

    Brutti, sporchi e cattivi è una virata sorprendente dal grottesco al quadrato dell’inizio alla parabola mitologica, arcaica, shakespeariana che ricorda il cinema con il quale Pasolini portò sullo schermo Sofocle ed Euripide proiettandoli nella contemporaneità (tanto è vero che Pasolini, che aveva amato il film, avrebbe registrato con la propria voce una introduzione in apertura, se la morte non glielo avesse impedito); La stanza del vescovo, mixa giallo classico ed erotismo d’autore, Il giocattolo la tragicommedia e il mondo crime del Giustiziere della notte o Taxi Driver, Un borghese piccolo piccolo il poliziottesco e il milieu tragico del tragico Fantozzi, L’ingorgo il film a episodi e la parabola distopica.

    È vero che un genere sopravvive quando riesce a metabolizzare al proprio interno qualcos’altro da sé (lo spaghetti western ha fatto rifiorire il western introducendo paesaggi, violenza, barocchismi che non gli appartenevano), ma la trasformazione della commedia documentata dal libro con attenzione, film per film, ha una ricchezza e complessità di sintomi che somigliano più ad una malattia terminale.

    La commedia all’italiana è l’unico genere che è stato capace, ridendo, di dire cose molto serie agli italiani (forse l’unico modo di farlo ad un popolo che non ha conosciuto la transizione mediatica e culturale di un teatro borghese, di un giornalismo indipendente diffuso, di una letteratura di massa) e il libro di Cesare Paris ci mostra la commedia in questo passaggio scomposto, febbrile, quasi indecente, in cui sembra avvertire il proprio pubblico che non può far altro che rispecchiare un mondo fuori squadra in cui i dispositivi che regolavano la funzione virtuosa di critica del costume e formazione della coscienza civile, autoironia e cinismo, grottesco e realismo, non funzionano più.

    Ufficialmente, il percorso, attesta la linea di corretta interpretazione storica. Dalla risata all’urlo lacerante, l’oggetto di questo saggio è il modo in cui, come un pantografo, il cinema sussulta insieme alla società, con effetti espressivi tanto esemplari quanto apparentemente antinomici: l’afasia della Terrazza, come se fosse un ictus o un’ischemia che certifica la perdita di voce e operatività della commedia arriva agli spettatori nello stesso anno del massimo di deflagrazione della violenza politica, la strage alla stazione di Bologna. Due punti estremi che segnano però anche l’esaurimento del processo che li ha generati. Mancano pochi anni e saranno già le Vacanze di Natale.

    Questa fase crepuscolare e decadente coincide anche, inevitabilmente, con infiltrazioni gotiche, bagni noir, ipoteche letterarie, sovradosaggi di violenza e grottesco, sussurri spettrali, bidonville, ospizi, supermercati, acquitrini (in Un borghese piccolo piccolo, in Brutti, sporchi e cattivi, in Un’anima persa, in La stanza del vescovo), ed hanno il loro zenith in scene, teatrali, di puro horror sociale (la scena del tentativo di avvelenamento del patriarca di Brutti, sporchi e cattivi, quella dello stupro in L’ingorgo).

    Ma la domanda che viene da farsi è: il libro racconta la commedia che, al massimo della sperimentazione, si esercitava in gittate inaudite che ci consegnano ancora oggi la rappresentazione di un Paese in un vicolo cieco o la mutazione aberrante dell’italian style che, nella sua evoluzione decadentista, perdeva i pezzi in uno spettacolo sorprendente e autodistruttivo, di cieco splendore? Lo sguardo dell’autore è più interessato a tracciare l’oggetto al riflesso o ai sorprendenti arabeschi dello specchio in frantumi?

    È questa sottile deriva, forse anche più interessante, perché più segreta, che si avverte nel modo in cui il libro non stacca gli occhi di dosso a questi film.

    Introduzione

    Un fantasma si annida nelle pieghe di una manciata di film usciti in sala dal 1976 al 1979. Non un fantasma malinconico e polveroso, come quelli di The Others, quanto una presenza terrigna

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