Eco/Logiche
By Tiziana Villani and Ubaldo Fadini
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About this ebook
Tiziana Villani
Tiziana Villani filosofa. HDR, svolge lavoro di ricerca e insegnamento presso Il Collegio di Dottorato «Ambiente e territorio» DICEA, Università di Roma La Sapienza, Dipartimento di Ingegneria. È associata all’Università Paris 8 UFR. Professore di «Fenomenologia dell’arte contemporanea» presso il Dipartimento «Visual arts and Curatorial studies» dell’Accademia NABA di Milano. È direttore delle Edizioni Eterotopia France (www.eterotopiafrance. com) e della collana/rivista Millepiani e Millepiani/Urban (www.millepiani.org). Tra le sue pubblicazioni: Athena Cyborg. Per una geografia dell’espressione: corpo, territorio, metropoli (1995); Gilles Deleuze. Un filosofo dalla parte del fuoco (1998); Psychogéograhies urbaines. Corps, territoires et technologies (Eterotopia 2014). Per i nostri tipi ha pubblicato Il tempo della trasformazione (2006); Ecologia politica (2013); Corpi mutanti (2018).
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Book preview
Eco/Logiche - Tiziana Villani
EsplorazioNI
Millepiani 42
Eco/logiche
Politiche, saperi e corpi
nel tempo della crisi ambientale
A cura di Tiziana Villani
e Ubaldo Fadini
manifestolibri
© 2021 manifestolibri La Talpa srl
Via della Torricella 46
Castel San Pietro (RM)
ISBN 979-12-8012-453-1
www.manifestolibri.it
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A
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Introduzione
A
Ubaldo Fadini e Tiziana Villani
La crescente sensibilità verso le questioni ambientali di questo periodo apre un varco su uno scenario più ampio e difficile che chiama in causa le trasformazioni antropologiche e tecnologiche del nostro tempo.
Ma ciò che si pone come urgenza è la questione della critica del quotidiano come spazio in cui si esercitano, diritti, relazioni, cura. L’essere costretti a fare i conti con i molti limiti che segnano le esistenze: limiti di sostentamento, di risorse che ci costringono anche a riconsiderare il rapporto con la tecnica, con i corpi, con gli spazi che viviamo. L’attuale situazione conosce una gestazione pluridecennale ed è stata alimentata certo dalle spinte sempre più nichiliste del capitalismo odierno, ma anche da sacche di pensiero diverse che hanno preferito ripiegare in ambiti laterali rispetto agli eventi con i quali ci dobbiamo confrontare.
Le catastrofi climatiche, idrogeologiche non sono unicamente l’esito di una presunta natura violentata dall’impronta umana, quanto il risultato di un sistema di sfruttamento su scala globale che annienta i corpi e le condizioni di vita.
Da anni nell’ambito di Millepiani
abbiamo scelto di mettere al centro della nostra riflessione le ecologie, le loro molte declinazioni assegnando però uno spazio centrale all’approccio critico che ha tra i suoi molti riferimenti autori come André Gorz, Félix Guattari, Gregory Bateson, Paul Virilio, ma anche l’elaborazione proposta da autrici come Judith Butler, Donna Haraway, Vandana Shiva, Gloria Anzaldùa.
Il motivo che ci ha spinto a studiare e approfondire questi autori riguarda il fatto che le loro ricerche non sono riducibili al solo ambito ecologico tradizionalmente inteso, piuttosto lo sguardo si apre sulla questione antropologica e della filosofia politica.
La catastrofe ecologica non riguarda solo quella dell’ambiente, delle risorse etc., quanto il sociale e la politica, ambiti in cui le forme della comunicazione svolgono un ruolo preponderante. In linea di principio le nuove tecnologie dovrebbero agevolare modi e forme volti a superare il dissennato sfruttamento dei diversi contesti ambientali, territoriali e sociali. La realtà appare però diversa, agli antichi sistemi di sfruttamento si aggiungono modelli di mappatura e digitalizzazione che incrementano sfruttamento e controllo di diverse aree del pianeta, il tutto si connette con l’affermarsi sempre più predatorio di nuove gerarchie tecno-finanziarie che prescindono dai contesti materiali e che operano in direzione di un’espropriazione sempre più violenta dei beni minimi necessari alla vita, beni che siamo usi considerare alla stregua di diritti naturali
.
Le nuove schiavitù, le nuove forme di dominio del morto sul vivo
e del vivo sul vivo
ripetono meccanismi arcaici che vengono adeguatamente ri-declinati attraverso i media più avanzati
del presente.
Un approccio ecologico alla rivoluzione digitale dovrebbe materialisticamente porsi quest’ordine di problemi che non possono prescindere da un piano etico-politico; piano in questo periodo poco praticato. Il proliferare delle guerre, dei conflitti ci dicono che siamo ancora animali inadeguati e che le micropolitiche
di resistenza non appaiono del tutto sufficienti a contrastare lo sconvolgimento in corso. Le nuove tecnologie, soprattutto quelle della comunicazione, modellano dei saperi situati
, come li definisce Haraway, saperi che non sempre riescono a interagire tra loro e che quindi non sviluppano una visione d’insieme. La passivizzazione di quelle che vengono definite le competenze
disegna un quadro fosco della tecnosfera in cui le protesi mediali profilano deserti luoghi
, luoghi di addiction, poiché apprendiamo altri ritmi, più compulsivi e frammentati, l’attenzione è breve al pari di una memoria che non sedimenta esperienza, ma cancellazione. L’attenzione al piano delle micropolitiche proposta da Félix Guattari può tuttavia indicare un momento di importante attenzione nell’analisi delle trasformazioni anche del desiderio. L’analisi proposta indaga anche i livelli dispotici di ogni stato di relazione, che investono in primo luogo il piano del desiderio collettivo delle masse e degli individui serializzati. Al contempo, le micropolitiche possono produrre possibilità che permettono di sovvertire i modi attraverso i quali riproduciamo (o no) i modi di soggettivazione dominanti
.
Non troppo tempo fa, Georges Canguilhem sottolineava come i fenomeni di degrado qualitativo, che accompagnano le ritmiche della società cosiddetta industriale, conducano inevitabilmente a stati d’inerzia e di indifferenza complessiva, in definitiva verso la Morte
. oggi in modo particolare è ancora più importante vedere proprio nella morte e nella vita gli oggetti dell’ecologia
, come suggerisce sempre lo studioso francese, dismettendo abiti ideologici logori che impediscono di osservare senza strumentalizzazioni – come minimo semplificatrici – ciò che accade nei nostri ambiti di esistenza, nei nostri ambienti vitali. È proprio rispetto ai paesaggi di questi ultimi che pare opportuno ripetere come sia importante riuscire ad analizzare gli effetti su di essi delle progressioni tecno-scientifiche (nella loro spesa produttiva) e – insieme – ciò che proviene dalla natura, più o meno in modo spontaneo. La sensibilità teorica e politica che muove tutto questo è senz’altro sollecitata, com’è ovvio, dalle problematiche indotte dal particolare configurarsi della tecnosfera, il nostro ambiente prossimo, all’interno della biosfera, di un mondo
biologico, per così dire, caratterizzato da una sua finitezza, dal carattere comunque limitato delle risorse organiche e minerali che possono supportare la vicenda complessiva dell’umanità nel tempo presente del suo articolarsi, del suo evolversi. Insomma, al di là dei discorsi liberali
, sempre più flebili, e dei contro-discorsi di segno appunto opposto, ciò che balza immediatamente agli occhi è di nuovo l’idea che la tecnica sia un fatto della vita (così ancora Canguilhem), visto che proprio quest’ultima, con la sua evoluzione, ha portato alla realizzazione di quell’essere naturalmente artificiale
che noi siamo, per riprendere qui la lezione generale dell’antropologia filosofica novecentesca, sostenuta da elementi importanti della riflessione in campo biologico. Vale senz’altro continuare comunque, in tale ottica, a ricercare il perché materiale della trasformazione di una regolamentazione parziale della vita (ciò che indichiamo con la parola baule
della tecnica), intesa nel suo riferirsi ad una maggiore soddisfazione dei bisogni storicamente determinati degli esseri umani, in una sorta di strumento di sregolamento
che sembra rimandare ad una polarizzazione cruda e dal retrogusto apocalittico: "la tecnica o la vita. Per andare oltre rivestimenti ideologici di scarso significato, ecco allora che uno dei compiti essenziali di una ecologia politica all’altezza delle criticità presenti appare proprio essere quello di ristabilire il corretto rapporto tra la vita e la produzione, supportata in termini tecno-scientifici in modo quanto mai così sofisticato, nel senso di una riaffermazione del carattere di servizio di quest’ultima, altrimenti rimosso dalla regola dominante del produrre illimitato di bisogni insieme a ciò che è tenuto, sempre artificialmente, a soddisfarli. È in tale prospettiva che va assunta con serietà la qualifica politica della sensibilità ecologista, se non si vuole lasciare su un piano di paradossale astrattezza la questione dell’avvenire dell’umano. e questa sensibilità, per poter fare meglio i conti sulla posta in gioco: la conservazione in vita degli esseri umani, è anche chiamata ad approfondire i motivi molteplici delle trasformazioni radicali, soprattutto oggi, degli spazi all’interno dei quali la produzione capitalista e i suoi effetti complessivi sembrano residuare soltanto situazioni e posizioni di mera subordinazione, di dipendenza piena. uno di questi spazi è quello del quotidiano, attualmente e decisamente sempre di più sollecitato/
stressato, vale a dire dell’ambiente nel quale le attività complessivamente riproduttive e di fatto pure oggi direttamente
produttive conoscono cambiamenti profondi e in ogni caso particolarmente evidenti. Si sa che proprio nei confronti di tale spazio determinate tradizioni del pensiero critico novecentesco hanno speso risorse importanti di intelligenza/sensibilità e di grande respiro teorico. Possono così fornire, sotto quella veste, una spinta a riprendere l’analisi in tale direzione, con la consapevolezza che molto è mutato
nel corso del tempo" e che convergenza e divergenza rispetto al precedente quadro d’epoca, ai differenti modi di vita, vanno avanti di pari passo: il compito è appunto quello di cercare una qualche sintonia, di procedere riuscendo a realizzare dei collegamenti effettivi con le loro cruciali ragioni d’essere.
Macchine/poteri/corpi.
Per una critica dell’ecologia politica
A
Tiziana Villani
La questione ecologica richiede, in un momento di trasformazione accelerata come l’attuale, un grande sforzo di pensiero, di immaginazione e di impegno etico-politico. Paiono così necessarie le aperture in direzione di tutte quelle sensibilità che avvertono che un’epoca come la nostra incontra ormai troppi punti limite non più eludibili, al contempo però tutte le procedure ciniche e violente delle nuove gerarchie di potere continuano a esercitare forme sempre più pressanti di esclusione e sfruttamento. Quando André Gorz, richiamando le analisi di Illich, scrive: Tanto Illich, che Attali e Guillaume rifiutano pertanto le soluzioni prefabbricate dall’alto: non si tratta di meglio governare i processi economici e gli uomini quanto di permettere a quest’ultimi di prendere in mano e cambiare la propria vita, di affrancarsi dalle ‘potenze esterne’ (Karl Marx) fondando un’economia radicalmente nuova: un’economia che funzionerebbe
attraverso altri comportamenti individuali (rifiuto dell’egoismo, dell’appropriazione, del potere) e non solo tramite altre procedure (Attali e Guillaume)"¹. Rifiutare le soluzioni prefabbricate dall’alto, significa tuttavia fare i conti con la composizione sociale odierna che ha scompaginato gli assetti sociali del novecento rendendo le forme di sfruttamento e alienazione molto più atomizzate. Le modalità del ricatto mettono in discussione ogni prospettiva e mostrano l’impossibilità di riformare un simile processo che sarà inarrestabile fin quando non verrà messo radicalmente in discussione.
La tarda modernità che stiamo attraversando si sbarazza senza troppi problemi di tutte le obsolescenze che si manifestano sia nell’ambito del lavoro, sia della salute e delle vite. La velocità che investe il cambiamento tecnico-politico del nostro tempo dimostra che non si può a resistere solo protestando in modo sparso e non riuscendo, soprattutto, a individuare un nuovo progetto di società, che non basta dire che debba essere più libera e giusta. c’è un problema che rimanda al modo violento in cui si continua a procedere nei meccanismi di selezione, c’è uno specifico umano che non si risolve solo nel problema climatico/ambientale, c’è un fondamento del modello occidentale che ha disperso la sua cancrena su scala mondiale e che ha finito con il liquidare tutte quelle istanze, anche molto positive, che ne erano state alla base. non si tratta più di governare il vivente, ciò a cui assistiamo mostra la barbarie, priva di una qualsivoglia razionalità, che elimina ciò che ostacola e non serve al perpetuarsi di strutture di potere che giocano al massacro. Si pone così il problema delle ineguaglianze rispetto alle quali occorre essere attenti per non relegarle nell’ambito unico del capitalismo che in realtà non ha fatto altro che estendere modelli ben più antichi e derivanti dalle strutture patriarcali. In proposito David Graeber precisa: da dove provengono le disuguaglianze? credo che inizi su piccola scala. È facile trovare città egualitarie, ma è molto più complicato trovare famiglie egualitarie! Bisogna guardare al patriarcato, alla schiavitù, alle condizioni domestiche... È l’occupazione che ha spostato tutto questo su una scala più ampia: la disuguaglianza in realtà viene dal basso.
²
Per questo motivo il diffondersi degli studi che pongono al centro la questione ecologica, spesso non tengono contro dell’ambiguità e della parzialità di questo approccio che spesso finisce con il diventare una formula buona per ogni argomentazione, ma priva di sostanza.
Il termine ecologia, la cui radice è appunto oikos, rimanda al pari dell’economia, all’unità di base che è il focolare domestico a partire dal tempo della polis. Per Aristotele è immagine e origine dello Stato³, l’oikonomia è l’economia domestica, ossia l’arte dei tre rapporti che esistono in seno alla famiglia, e si ripetono nello Stato: il rapporto dispotico (despotike), tra padrone e schiavo, il rapporto coniugale (gamike) e il rapporto di paternità (teknopoietike)⁴. Questa radice reca in sé una traccia non solo gerarchica dunque, ma anche di dominio, per quanto poi nelle analisi più recenti la si sia voluta volgere soprattutto nel contesto delle relazioni e dell’ambiente. È un modo di pensare e disegnare la sfera delle istituzioni e della politica. Lo schiavo, la donna, il bambino sono l’ambiente in cui il potere si esprime con tecniche specifiche che sempre però costruiscono lo schema di un dominio che impone le proprie leggi. L’interrogativo che ne deriva rimanda al problema di una ratio, di una razionalizzazione e dunque di un senso che perdurando nei secoli però ha continuato a modificare la propria narrazione, non rinunciando mai alla propria presa sulle vite e sui corpi.
Il patriarcato pone come fondamento un meccanismo di appropriazione e mercificazione delle relazioni, degli affetti e dunque di ogni modalità di esistenza. Anche in momento in cui il maschile appare particolarmente fragilizzato non sembrano in questione però le pretese e imposizioni di un modello che non intende cedere i propri privilegi. È dunque questione di dominio e di poteri, di meccanismi chiamati a confrontarsi con una trasformazione antropo-tecnica particolarmente intensa.
Per Foucault questo piano rimanda immediatamente all’economia dei rapporti di potere, in merito al problema della razionalizzazione
, scriveva Foucault : Vorrei proporre un altro modo per procedere ulteriormente verso una nuova economia dei rapporti di potere, un modo più empirico, collegato più direttamente alla nostra situazione attuale, che comporta un legame più forte tra teoria e pratica. consiste nell’assumere come punto di partenza le forme di resistenza contro le diverse forme di potere
⁵.
Le forme di resistenza attuali non sono assenti, anzi, ma il modo di controllare i movimenti di protesta che pongono la questione delle discriminazioni razziali, di genere, di classe, di migrazione è divenuta particolarmente cinica e violenta anche se le sue radici restano antiche. I mezzi attraverso i quali le forme di controllo e repressione si esercitano si avvalgono di una molteplicità molto più ampia di strumenti. non può dunque più essere sufficiente misurarsi con ciò che ci accade
in modo volontaristico o attraverso maldestri tentativi che si attardano ancora nel voler dispiegare deboli tentativi di egemonia.
In questa fase le masse non paiono ipnotizzate come al tempo delle dittature del novecento, piuttosto le masse sono come delle mute allo sbando, che in modo schizoide disegnano l’implosione del sociale, delle vite e degli affetti. Manchiamo davvero di immaginazione e questo priva della capacità di reagire in modo creativo. non c’è resistenza senza immaginazione, ma l’immaginazione ci spinge anche a dover operare in modo creativo nel quotidiano, il che significa riuscire a strapparci dal movimento mortifero del già conosciuto, del rassicurante, delle abitudini. La stretta rassicurante delle prefigurazioni sociali apprese, condivise è un meccanismo perverso che anche quando si nega nella realtà e nelle pratiche si stenta a mettere in discussione. ne La volontà di sapere, Foucault osserva: L’occidente ha conosciuto a partire dall’età classica una trasformazione molto profonda di questi meccanismi di potere. Il ‘prelievo’ tende a non essere più la forma principale, ma solo un elemento tra gli altri che hanno funzioni di incitazione, di rafforzamento
⁶ e Deleuze nel corso dedicato a Michel Foucault (1985-1986) richiama in proposito la necessità di creare un corpus di enunciati, che nella metodologia foucaultiana è la spinta inventiva che permette di mettere in campo un archivio
⁷.
Cercare gli enunciati in questo tempo significa interrogare i sistemi della comunicazione e delle tecnologie attraverso le modalità che selezionano il vivente. I poteri in questi campi coniugano la logica militare con quella medica, nel tempo storico attuale la variazione più importante riguarda la riduzione ad eccedenza
delle vite. L’ecologia non riesce a sottrarsi a questa logica binaria che sensibilizza pratiche e buoni sentimenti in rapporto a delle scelte divenute cinicamente selezionatrici che operano tanto sull’ambiente quanto sulle esistenze.
Abbiamo bisogno di riconsiderare i saperi, le forme della politica che non si sono lasciate travolgere dal magma comunicativo che, volutamente, ne ha depotenziato la forza. Ma la stessa sfera politica va reinventata, la politica non svolge più un ruolo di mediazione e progettazione, appare piuttosto del tutto subalterna ai poteri forti. Le deviazioni dalla politica allora quali possono essere? ora più che mai necessitiamo di riflettere su quella immaginazione radicale, che ci contraddistingue in quanto umani, di cui parlava Cornelius Castoriadis, un’immaginazione che, attenzione, può creare il mostruoso come il sublime, Castoriadis ci avverte: "Se il pensiero politico può tenere in conto questa visione della natura umana, è nella misura in cui questa visione ci libera dall’ipotesi di un’ontologia tradizionale, che pretenderebbe di dettarci una politica – è tutto, non possiamo spingerci oltre. Quanto a dire che