Epidemie e controllo sociale
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Andrea Miconi
Andrea Miconi insegna Sociologia dei Media all’Università IULM di Milano. Il suo ultimo libro è Surplus digitale. La filiera del valore da Marx al Web (Egea, 2019).
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Book preview
Epidemie e controllo sociale - Andrea Miconi
INbreve
Andrea Miconi
Epidemie
e controllo sociale
manifestolibri
© 2020 manifestolibri
La Talpa srl, Roma
ISBN 979-12-8012-417-3
www.manifestolibri.it
info: book@manifestolibri.it
Finito di stampare
nel mese di giugno 2020
per conto di La Talpa srl
manifestolibri
presso LegoDigit srl,
Lavis, Trento
Digitalizzazione luglio 2020
"So this is how liberty dies.
With thunderous applause".
[Padme Amidala]
1. Premessa
Questo libro prende in esame la rappresentazione dell’emergenza epidemica nei media e nel discorso pubblico, interrogandosi su uno specifico dispositivo di controllo sociale e bio-politico che, per semplicità, possiamo definire la colpevolizzazione del cittadino. Un epilogo che certo non può dispiacere alla classe dirigente del Paese, che avrà la possibilità di nascondere dietro lo stereotipo dell’italiano indisciplinato – peraltro falsificato, una volta tanto, da ogni statistica – quella catena di errori, ritardi, leggerezze, mancanze e forzature della costituzione, che prima hanno mandato la situazione fuori controllo nel Nord, e poi costretto milioni di persone agli arresti domiciliari. Uno stilema narrativo che ha fatto comodo agli organi di informazione, di cui sarà inevitabile parlare a lungo: che da un lato hanno costruito la favola del modello italiano, e dall’altro hanno aperto la stagione della caccia all’uomo, con una inesausta retorica di colpevolizzazione di comportamenti del tutto innocui, che ha distolto l’attenzione da cose più serie. Ma c’è inoltre qualcosa di più profondo, e più doloroso da osservare: perché una tale deresponsabilizzazione della classe dirigente, una tale spaventosa strategia di colpevolizzazione dell’altro, non potrebbero funzionare se non nascessero anche all’interno del corpo sociale, come una metastasi foucaultiana che lascerà ferite profonde nel tessuto civile del Paese.
Per essere chiari da subito, questo pamphlet non si concede nessuna digressione dietrologica: cosa perfino ovvia per un ricercatore, perché le teorie del complotto insistono su uno schema – non è possibile dimostrare che non siano vere – che è l’opposto della logica della conoscenza scientifica. Ma un’emergenza tragica, colma di angoscia e dolore, non giustifica la privazione dei diritti, e rende non meno ma più necessario riflettere sul futuro della società di cui siamo parte. E nemmeno spiega l’abbassamento della soglia critica mostrato dai media e dall’opinione pubblica, che è l’argomento principale di cui parlerò, e il sostegno che la stampa ha garantito acriticamente al Governo. Se perfino il manifesto, e immaginate quanto mi costi dirlo, pubblica un appello contro chi mette in croce
il Presidente del consiglio – e chiede di rinunciare anche all’ultima libertà rimasta, la libertà di espressione – significa che siamo in un incubo senza fine¹. come questo ribaltamento delle proporzioni sia stato possibile, nel paese del populismo, è invece una questione che potrebbe tenerci compagnia a lungo. Limitiamoci per ora a definirlo un populismo rovesciato, tale per cui un’opinione pubblica pronta ad attaccare la casta per le questioni più insulse – dalle auto blu ai biglietti di business class – di fronte alla prova della storia ha finito per assumere in sé i peccati delle élite, accettando, e anzi promuovendo in proprio, una strategia di colpevolizzazione che non promette nulla di buono, proprio quando di motivi per prendersela con il potere ce n’erano in abbondanza. E infatti il blocco di governo e gli amministratori della Lega si sono fatti la guerra su tutto, proprio su tutto, ma come d’incanto qui si sono trovati d’accordo: non abbiamo nulla di cui pentirci; adesso tocca ai cittadini; e comunque c’è troppa gente in giro, che ci sta sempre bene. Accadrà lo stesso, naturalmente, se i contagi torneranno a salire: ce la prenderemo con i cittadini indisciplinati, che avranno fallito la prova di maturità, e non con le aziende di trasporto pubblico sui cui mezzi, soprattutto per i pendolari, è fisicamente impossibile mantenere il distanziamento.
Farò riferimento all’Italia, quindi, perché è il paese in cui vivo e in cui ho passato la quarantena. Non sono però così ingenuo da pensare che si tratti soltanto di un problema nazionale, e parte dell’esercizio richiederà quindi lo sforzo di scovare le tracce del globale all’interno del particolare. Alcuni aspetti della vicenda sono del tutto peculiari, come i termini della gestione politica, e quella citata strategia di colpevolizzazione dei singoli che altrove sembra non essersi data, o essere stata appena accennata. Ma non c’è dubbio che l’emergenza abbia anche portato alla luce problemi strutturali del nostro modello di sviluppo, e mostrato la faccia feroce delle società in cui viviamo: la terrificante, duplice sovranità imposta dal connubio tra potere economico e potere statale. Perché il capitalismo, a dispetto di alcune interpretazioni letterarie, può prosperare facendo a meno delle libertà individuali; e le autorità pubbliche, per parte loro, non hanno la forza – e nemmeno troppa voglia – di ostacolare i maggiori interessi economici, nazionali o globali che siano.
Queste sono le stesse proporzioni che ritroviamo, come quando si seziona una felce, nell’analisi del caso italiano: con le fabbriche che procedono a tutto vapore senza controlli e senza attenzione per la salute dei lavoratori, mentre i cittadini incolpevoli sono messi agli arresti domiciliari. con milioni di persone costrette al rituale degradante dell’autocertificazione, laddove le aziende – perfino quelle padane, in cui l’epidemia è degenerata in catastrofe – hanno in dono il privilegio ignobile del silenzio assenso. E proprio l’incorporazione di questa ideologia distorta nei media e nell’opinione pubblica – disposti a giustificare ogni abuso – segna un’evoluzione potenzialmente letale nelle strategie di governo del corpo sociale. A breve, o comunque quando sarà passata la bufera, diventerà quindi necessario aprire una discussione, a cui spero che questo libretto possa in qualche modo contribuire. Perché dall’emergenza non usciremo affatto migliori, malgrado una certa retorica da giornalismo di rotocalco: cerchiamo almeno di uscirne più consapevoli.
***
L’indicazione ai lettori, quanto al tono dello scritto, è che si tratta di un instant book, in effetti molto diverso dai lavori a cui sono abituato come ricercatore. Ritengo tuttavia che fosse necessario, in un momento di tale gravità, assumere una posizione e cercare di alimentare il dibattito, nei limiti del possibile e nei limiti delle mie forze. Alcuni dati che ho citato, al momento della stampa, risulteranno superati, come è inevitabile quando ci si occupa di processi in divenire, e qualche informazione potrebbe non essere più attuale. Spero inoltre che lo stile del pamphlet risulti non troppo frammentario, anche se è stato scritto nel momento di confusione che conosciamo, e nel mezzo di una quarantena infinita, ben più lunga di quella che la Repubblica di Venezia ideò nel Medio Evo per isolare gli equipaggi appestati.
Un’annotazione, infine, su quanto accaduto nel periodo compreso tra la stesura e la stampa del libro. con il tentativo del Governo e della Protezione civile di prolungare lo stato di emergenza fino al 2021. con l’idea, non si sa se più idiota o più pericolosa, di arruolare sessantamila volontari per spiare i cittadini. con l’indecente campagna di opinione contro la cosiddetta movida che svela, mentre si ritira l’onda epidemica, la carcassa del controllo come autentico scopo sommerso. Misure che a questo punto – con un capitale sociale lacerato per l’ottuso autoritarismo e la sesquipedale incapacità delle classi egemoni – sembrano pensate per prevenire possibili disordini, più che la possibile