Metro 2052
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Zombie - romanzo breve (85 pagine) - Torino, 2052. In una città in rovina e colonizzata da una potenza straniera, un gruppo di ribelli vive asserragliato in una fermata della metro: nemici insidiosi li attaccano per strappargli ciò che hanno mentre orde di camminanti minacciano l’esistenza di tutti.
Com’è possibile sopravvivere a orde di camminanti e alla colonizzazione della Lega Anseatica?
Il sessantenne Fabio Martinelli è a capo di un gruppo di ribelli asserragliati nella Metropolitana di Torino, ma per molti il desiderio di tornare a vivere in superficie è troppo forte. Quando un altro gruppo di combattenti si presenta con la proposta di riconquistare il Lingotto infestato da branchi di camminanti, ha inizio una battaglia dagli esiti incerti a cui si aggiunge la guerra contro la potenza occupante e i collaborazionisti. Nel momento in cui lo scontro volgerà al peggio, misteriose creature emergeranno da profondità spazio-temporali inimmaginabili.
Quando non si ha nulla da perdere, anche le soluzioni più estreme e disperate possono allettare.
Roberto Risso, torinese, vive e lavora negli Stati Uniti dal 2010. Svolge attività di ricerca e insegnamento presso la Clemson University nella Carolina del Sud. Appassionato di distopia, fantascienza e horror ha ideato il progetto Universo Torino 2050, un macroverso narrativo che immagina scenari futuri e passati con la città di Torino come punto focale dell’umana tragicommedia. Per Delos Digital ha pubblicato il romanzo breve Polvere Z nella collana Dystopica, suo esordio narrativo e primo elemento dell’Universo Torino 2050.
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Book preview
Metro 2052 - Roberto Risso
Mother of God! What are these things?
John Russo, Undead
Gl’italiani ridono della vita.
Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani
I. La torretta
Matteo si guarda attorno con gli occhi sbarrati, l’espressione di uno che vorrebbe non essere qui, serra le labbra così forte da farle sbiancare, si tormenta con i denti il labbro superiore tutto screpolato.
Credo abbia vent’anni o poco meno, si è offerto volontario per la torretta e temo se ne stia pentendo. Troppo tardi ragazzo, ora sei qui e qui resti, almeno per questa notte.
E a me tocca addestrarti.
Sorrido, fisso il mio sguardo nel suo. Gli do una pacca sulla spalla. Molti si divertono a spaventare i nuovi con storie di gente divorata, incursioni dei camminanti in massa, passaggi sotterranei usati dai nemici per inondare di mostri una zona e altre idiozie, ma non capisco come ci si possa divertire a far paura a un poveraccio che se l’è vista brutta e domani potrebbe salvarti la vita.
– Matteo, vuoi fumare? La nicotina aiuta con – con la paura no, meglio di no, non voglio spaventarlo – con la tensione. Distende.
Matteo fa un sorriso tirato, scuote la testa. – No, grazie, Signore, non fumo.
Parla così piano che faccio fatica a sentire. – Parla pure con la voce normale, lo sanno che siamo qui, e chiamami Fabio, non Signore.
– Certo, Signore… Fabio, voglio dire.
– Così va meglio. – Prendo una sigaretta dalla tasca della mimetica, l’accendino da quella dei pantaloni, l’accendo, tiro una boccata, trattengo il fumo nei polmoni, il dolore si irradia nel centro del petto. Butto fuori il fumo con un lamento.
Matteo scocca un’occhiata preoccupata ai muri di via Nizza, condomini crepati, sui tetti rossi le antenne sbilenche dei ripetitori, i muretti attorno all’ingresso della Metro, nascosti da sacchi di sabbia e dietro le trincee del filo spinato, si sofferma sui reticolati accanto alle uscite della Metropolitana. Fissa il condominio a U di fronte a noi, i vetri infranti, il tetto crollato.
– Te l’ho detto, non ce ne sono di camminanti. – Inspiro un’altra boccata. – Per ora.
Mi guarda. – Per ora?
Soffio un’altra voluta grigia, non sono mai stato capace di fare gli anelli con il fumo, annuisco. – Se è vero che faremo un’incursione al Lingotto può darsi che le cose cambino in fretta.
Matteo deglutisce. Ha la faccia di uno che si aspetta che mi metta a ridere e gli dica, scherzo! Non sto scherzando, Rico e gli altri vogliono davvero fare un’incursione al Lingotto, l’idea è stata messa ai voti e il sì ha vinto. Di misura, ma ha vinto.
Io ho votato no.
Matteo non ha potuto votare. Ha ancora i segni delle bende, le cicatrici sono fresche, gli devono togliere i punti, gli resteranno dei bei segni sulla faccia e sul collo. Non ci si butta sul filo spinato senza conseguenze.
Spero tu abbia imparato la lezione, ragazzo.
Lascio cadere il mozzicone, lo schiaccio sotto la suola dell’anfibio. – Allora ascoltami bene. Lascia perdere il Lingotto, adesso pensa al qui e ora, alla torretta e alle tue mansioni, perché se si va al Lingotto io farò parte della squadra e tu mi sostituirai qui. – Batto il pollice sul pavimento, una nuvoletta di polvere e frammenti si alza dalle assi nell’aria calda del pomeriggio.
Un clic dalla gola di Matteo: ha cercato di deglutire, paura e tensione fanno questo scherzo.
– Animo, ragazzo, pensa che sei nel posto più sicuro di tutta la Zona, adesso.
Non sembra rassicurato. Sarà un turno lungo.
* * *
– Ok, riassumendo, devi stare qui con la ricetrasmittente accesa, l’arma puntata, pronto a dare l’allarme.
Annuisce. Ora sembra più convinto, tre ore all’aria aperta e l’assenza di pericolo l’hanno rassicurato. Bene.
– Se vedi camminanti in avvicinamento? Finisci la frase, ragazzo.
– Non intervengo.
– A meno che?
– A meno che non siano in branco.
– Bene. Cosa s’intende per branco?
– Cavolo Capo, mi sembra di essere tornato a scuola. – Ride, mi guarda, non rido, si fa serio.
– Più di dieci camminanti insieme, che avanzano nella stessa direzione. – Non prende fiato fra una parola e l’altra.
– Ok. Quando devi sempre dare l’allarme?
– Se vedo viventi.
Annuisco. Sto facendo un buon lavoro. Il ragazzo è sveglio. Meglio per tutti.
– Per viventi s’intendono anche travestiti, ok?
– Travestiti? – Ha la faccia di chi fa una scoperta eccezionale.
Sospiro, speravo di poter limitare le informazioni, ma qui si tratta di una cosa grossa. Inspiro l’aria della sera, brucia la gola, nelle narici si insinua l’odore di gomma bruciata, sono le sei e fa caldo come fosse mezzogiorno. Poggio la mano sul calcio del fucile, passo le dita sulle tacche, ho fatto un buon lavoro con il pugnale.
– I travestiti sono viventi che si travestono da camminanti, semplice.
– E perché fanno una cosa del genere?
Sputo un grumo di catarro oltre il parapetto della torretta. Punto al muro sbrecciato del palazzo a dieci metri. Lo sputo colpisce l’asfalto quindici metri sotto. Plic, bersaglio mancato, increspo le labbra in un mezzo sorriso.
– Lo fanno per passare inosservati. Per infiltrarsi, esplorare.
– Come i Whisperers.
– Come chi?
Mi guarda divertito, tante piccole rughe compaiono attorno agli occhi castani. – No, niente, un fumetto che leggevo da bambino.
– Si tradiscono sempre, i travestiti, non è facile fare i camminanti. Devi mantenere un’andatura costante, sempre, su qualsiasi terreno, qualsiasi superficie, anche se stai camminando scalzo sul catrame fuso delle tre del pomeriggio. Lo puoi fare solo se non senti dolore.
– Mi sono sempre chiesto cosa sentono i camminanti. – Sposta il peso da una gamba all’altra.
– Fame, fame e fame. Non sono un esperto ma credo che sia l’unica cosa che provano. Il dolore non lo sentono. Ne ho visti senza piedi camminare sulle ossa delle caviglie, altri usati come torce, fatti a pezzi con una scure, decapitati, ah, a proposito, lettore di fumetti, non lasciarti influenzare dagli zombie, se ai camminanti gli pianti un paletto nel cuore non muoiono mica, e vanno in giro anche di giorno, capito? Non siamo in un film dell’orrore, ok?
Annuisce e ride sotto i baffi, chissà che cavolo ci trova di divertente, valli a capire i giovani.
Inspiro altra aria rovente, mi alzo.
Vado al parapetto.
Via Nizza è inondata dal sole, nei condomini deve essere un forno peggio che fuori, l’asfalto è un ribollire di catrame, a sinistra il sottopasso Spezia con lastre sbilenche, un paio di alberi rachitici svettano in mezzo alla strada, due edifici crollati oltre i resti di via Stellone, nessuno in vista.
– Tu guarda sempre come si muovono. Sempre. Se sgarrano dà l’allarme. Meglio dare un allarme di troppo che uno di meno, qui non siamo nella storiella al lupo al lupo!
Increspa le labbra, gli incisivi sono coperti da uno strato di tartaro. Mi sa che non la conosce la storia di quello che gridava al lupo, ma non mi va di raccontare storielle, non in una Zona circondata da orde di camminanti e insediamenti di viventi ostili.
– La noia fa brutti scherzi, Matteo. Non sprecare munizioni per nessuna ragione. C’è stato chi si è messo a fare il tiro a segno con i camminanti, tu non devi farlo. Mai. Non importa se stai morendo di noia, meglio morire di noia che finire sbranato o fatto a pezzi, chiaro? – Spero di essere convincente.
Annuisce, una ruga profonda lungo la fronte. Sembra convinto, ma meglio insistere sul concetto delle munizioni.
– Abbiamo le pallottole contate, vanno usate per i viventi o con i camminanti solo in casi disperati, tipo che ti hanno circondato e stai per essere divorato, ok?
– Certo, Fabio. Capito.
Lo spero, ragazzo mio, lo spero per te.
– Perché siamo su questa torretta?
Apre la bocca, sembra che stia per parlare, tace. Si guarda attorno. Seguo il suo sguardo. L’edificio in muratura che un tempo ospitava l’Agenzia delle Entrate, i vetri protetti da sbarre di ferro, sembra integro.
Più in là un campanile con il tetto sfondato, il tronco intatto.
– Ci sono trappole nelle case, altre non reggono, questa torretta l’avete fatta voi apposta, è sicura e offre un ottimo punto per sorvegliare i dintorni. – Gratta il legno del parapetto col pollice. – Da qui tenete d’occhio gli spostamenti della Milizia, i droni, un po’ tutto, insomma.
Fa un gesto ampio come a voler abbracciare i resti di Torino fino alla collina.
Bravo ragazzo. La lezione l’hai imparata. – Da quassù si difende meglio l’insediamento della Metro. Da sotto non si passa fin che qui c’è qualcuno armato, ok? – Chissà se ha capito.
– Sì, certo. – Fissa la collina davanti a noi.
Quando ero giovane, era