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L’Italia dal 1994 al 1996: Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale 1
L’Italia dal 1994 al 1996: Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale 1
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L’Italia dal 1994 al 1996: Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale 1

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Storia - saggio (216 pagine) - Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale


La vecchia classe politica che gestiva il potere dal dopoguerra fu travolta agli inizi degli anni ’90 dall’inchiesta “Mani pulite” che mise in luce un diffuso sistema di corruzione legittimato da ogni partito che veniva gratificato dal versamento di tangenti, per ogni appalto o favore,  proporzionali al consenso elettorale. Questo scandalo aveva portato all’approvazione di una legge elettorale non più proporzionale, ma parzialmente maggioritaria. La sorpresa alla prima elezione del 1994 della seconda Repubblica fu l’affermarsi di una nuova formazione politica: ”Forza Italia” avente come leader e “padrone“ il magnate dei media Silvio Berlusconi. L’intesa con il suo alleato Umberto Bossi della Lega Nord durò poco e nel 1996 si dovette andare a nuove elezioni. Nel terzo capitolo si  esamina  la genesi dell’enorme debito pubblico, mentre nel quarto si analizza un nuovo fenomeno per l’Italia che da oltre un secolo era un paese di emigranti ora diventava meta di immigrati provenienti sia dai paesi dell’Est Europa, sia dal Nord Africa.

Nel V e VI capitolo si studia l’origine del capitalismo e del proletariato generati dalla rivoluzione industriale di fine ‘700 iniziata in Gran Bretagna, che avrà molte analogie con la rivoluzione informatica avviata nella Silicon Valley verso la fine del XX secolo.


Silvano Zanetti è nato il 21 ottobre 1948 in provincia di Bergamo, da famiglia modesta. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è iscritto al Politecnico di Torino dove si è laureato in Ingegneria Meccanica. Dal 1977 vive a Milano dove ha lavorato presso diverse aziende metalmeccaniche come tecnico commerciale e maturato una buona conoscenza di usi, costumi ed economia dei Paesi europei ed asiatici. Nel 1992 ha frequentato un Master MBA all’Università Bocconi. Alla fine della sua carriera lavorativa si dedica al suo hobby di sempre, lo studio della storia. Collabora con la rivista e-Storia dal 2010. Nel 2018 ha preso la decisione di scrivere i contenuti presenti in questa collana divulgativa di storia contemporanea.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateNov 9, 2021
ISBN9788825417807
L’Italia dal 1994 al 1996: Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale 1

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    L’Italia dal 1994 al 1996 - Silvano Zanetti

    Introduzione

    Dato uno spazio a N dimensioni conoscendo l’intensità, la direzione ed il verso di tutte le forze attive, la risultante in direzione, verso ed intensità è nota: la Storia.

    Ogni forza agente in un qualsiasi piano è la risultante di infinite forze attive e potenziali, tutte tese a massimizzare il vantaggio esistenziale.

    Confesso che era mia unica intenzione di scrivere un semplice e breve saggio storico sugli ultimi anni della politica italiana, dal 2013 al 2018, ovvero la XVIII legislatura. Per esempio, un volumetto dal titolo «Da Matteo Renzi a Matteo Salvini», oppure «Ascesa e declino di Renzi e l’affermazione del M5S» ecc.

    Completato un volumetto di circa 100 pagine, ebbi la malaugurata idea di farlo leggere ad alcuni amici per un loro commento. Fui subissato da critiche costruttive quali: come si fa a parlare in poche pagine di Jobs Act, Globalizzazione, Euro, Riforme costituzionali, se non si spiega quanto avvenne negli anni precedenti? La storia è sempre un dipanarsi di eventi, talvolta nuovissimi e imprevedibili, ma il più delle volte sviluppatisi senza soluzioni definitive negli anni precedenti (es. il debito pubblico, le riforme mai riformate) o che erano «in fieri» e che sono esplosi anni dopo (es. il basso valore aggiunto del settore pubblico e privato o i diritti civili). La soluzione di alcuni problemi ne crea sempre di nuovi per cui, quelli che erano considerati rivoluzionari e che avevano contribuito a cambiare la società nell’arco di due generazioni, diventano conservatori se non reazionari; arroccati nella difesa, con le unghie e coi denti, di conquiste e privilegi, mitizzati e sacralizzati in tabù intoccabili (la riforma del lavoro, il rapporto uomo-donna).

    Convinto da questi suggerimenti amichevoli mi sono accinto a questa immane, ma anche piacevole fatica, che mi ha impegnato due anni di vita.

    Per evitare che i lettori abbiano un giudizio sfavorevole su questo mio lavoro, concentrato soltanto su alcuni aspetti di quanto accaduto in questo lasso di tempo, vi aiuto a districarvi in questo mio «libro-puzzle».

    Il XX secolo fu contrassegnato in Europa da due sanguinose guerre mondiali, che hanno determinato la fine dell’Eurocentrismo, e della contrapposizione tra Capitalismo e Socialismo, con tutte le loro varianti: dal Nazifascismo al Liberalismo democratico, dalla Socialdemocrazia al Comunismo. Verso il 1990 si ebbe il crollo del regime comunista-utopista nell’URSS. Contemporaneamente prese forma ed ebbe successo l’originale «via cinese al Socialismo» che nega sì il Liberalismo politico (solo il Partito Comunista è legale) ma incentiva l’economia di libero mercato favorendo l’affermarsi di un Capitalismo senza Liberalismo.

    Le due culture politiche, Liberalismo e Socialismo, a cui si erano ispirate le élites politiche e culturali al comando in Europa, verso la fine del secolo, avevano esaurito il loro compito e le masse popolari, drogate dai media, erano pronte a dare il consenso ad altre élites più vicine ai loro bisogni primari, rifiutando le precedenti mediazioni ideologico-culturali. Le mediazioni religiose erano già state da lungo tempo rifiutate.

    L’Italia, essendo geopoliticamente e culturalmente parte integrante del mondo occidentale, da quegli sconvolgimenti e crisi di valori ne uscì a pezzi.

    Con il crollo del Comunismo in URSS crollò anche il duopolio democristiano–comunista che aveva retto l’Italia per 40 anni, e nel contempo si ebbe l’ascesa al potere politico di una élite avida e populista senza ben definiti ancoraggi culturali. Questo trapasso di potere reale segnò il fallimento della classe borghese liberale e degli intellettual-marxisti senza profonde radici nelle masse popolari. Tutti si dimostrarono incapaci di guidare la società italiana a fare il salto di qualità, passando da una società di consumi ad una società ad alto valore aggiunto, in cui il fabbisogno di maggiore democrazia e partecipazione è anche più elevato.

    E mentre in questi ultimi 25 anni alcuni paesi continuavano ad accrescere il loro benessere, a cui partecipavano sempre più vasti strati della popolazione, l’Italia andava scivolando verso gli ultimi posti in Europa sia per i livelli di reddito sia per i livelli di diseguaglianza.

    L’avere aderito a pieno titolo, fin dall’inizio alla costituzione dell’Europa negli anni ’50, era stato di grande vantaggio per l’Italia, che aveva ricavato notevoli benefici per la propria industria manifatturiera, e di conseguenza aveva incrementato l’occupazione ed il benessere generale. Tuttavia dal 2.000, con la creazione della moneta unica, l’«euromarco», l’Italia perdeva anche la sovranità della moneta. Le sarebbero rimasti solo gli obblighi di onorare i propri debiti, avendo ceduto a terzi sia il proprio mercato, sia la propria sovranità, delegata a Bruxelles con una infinita serie di accordi commerciali e civili.

    Il fallimento post 2.000 era insito nelle motivazioni della classe politica italiana che riteneva di poter rifilare all’Europa parte del suo enorme debito pubblico, essendo incapace ad attuare quelle riforme atte a ridurre la rendita parassitaria.

    Il gioco del cerino acceso da passare a qualcun’altro funzionò. Nessuno era disposto a farti entrare nel «condominio» chiamato Europa se poi non eri disposto ad accollarti le spese condominiali.

    La Gran Bretagna, verificato che gli svantaggi della sua partecipazione ad un’Europa a trazione tedesca erano superiori ai vantaggi, sarebbe uscita da questa trappola, con l’appoggio del suo popolo.

    Ed ecco in breve i fili conduttori, che mi hanno ispirato nello scrivere questo saggio e che aiuteranno i lettori a capire quanto accaduto negli anni dal 1994 al 2018.

    In tutti i volumi, il primo, il secondo e talvolta il terzo capitolo, descrivono sia il panorama politico, sia i dibattiti tra i partiti, sia i Governi che si sono succeduti con le loro promesse, programmi e provvedimenti legislativi realizzati in quel preciso momento storico.

    I Partiti politici ed i loro leaders sono tutti coinvolti in una rissosità continua e, per dirlo alla Guicciardini, sembrano tutti super interessati a conseguire i propri interessi «particolari» piuttosto che pensare al bene comune. La lotta tra il cartello delle Sinistre e il cartello delle Destre, dominato da Silvio Berlusconi, durerà venti anni e finirà per portare il Paese stremato fuori da tutti i giochi politici europei.

    Nei restanti capitoli di ogni volume si introducono argomenti «a tema» che si distribuiscono fra i vari volumi. I due temi principali trattati sono: le rivoluzioni industriali, fino a quella dell’informatica, che si sviluppano di pari passo con il Capitalismo-liberale e, come contrappunto, la storia dello Stato sociale, dalla riforma delle pensioni di Bismarck, alla Third Way di Tony Blair, Gerhard Schröder,ed al Jobs Act di Matteo Renzi.

    Accanto a questi due «mainstreams» si introducono anche temi completamente nuovi: l’immigrazione, gli attentati terroristici islamici, i mutamenti nella Chiesa Cattolica, il cambiamento dei costumi degli italiani, la Repubblica Popolare Cinese, la globalizzazione, il crollo del sistema bancario mondiale e poi la bancarotta sfiorata delle banche italiane.

    Per finire, un ringraziamento lo devo al nostalgico gruppo degli «amici Einaudini» capitanato da Francesco Favero (collegio universitario Principe Amedeo di Torino) sopravvissuti al ‘68 ed in particolare ad Alessandro Accorinti, che si è sobbarcato l’immane compito di raddrizzare le mie bozze creative.

    Non vi è mai stata l’ambizione di redigere qui una storia onnicomprensiva del passato ventennio, ma solo una parziale rivisitazione dei momenti più significativi di cui sono stato testimone diretto o indiretto.

    Buona lettura…

    Silvano Zanetti

    Introduzione al primo volume

    Con la nuova legge elettorale si affermano la coalizione di centrodestra avente come leader il magnate delle televisioni Silvio Berlusconi che per l’occasione aveva formato un partito ex novo Forza Italia. Il governo da lui formato ebbe una breve durata dovuta a dissidi con il suo alleato Umberto Bossi leader della Lega Nord. Fu sostituito dopo 8 mesi da un governo tecnico presieduto da Lamberto Dini che ebbe il compito ingrato di varare una riforma delle pensioni pena la bancarotta della Repubblica. Il cosiddetto governo tecnico, compiuto il dirty job fu invitato a farsi da parte ed il Presidente della Repubblica fu costretto ad indire nuove elezioni.

    Nei primi tre capitoli sono analizzati ed elencati i principali dibattiti avvenuti nei partiti, ed i leaders che hanno reso possibile la genesi, l’attività e il disfacimento dei governi.

    I condizionamenti esterni di Paesi stranieri o calamità furono insignificanti nella formazione di questi governi. Risulta evidente da subito che la Seconda Repubblica appena nata non garantisce ad alcun governo una stabilità temporale. In Italia, oltre al Parlamento, le Regioni, i Comuni, la Magistratura (completamente indipendente), vi sono le potenti lobbies della Confindustria, Confagricoltura, Sindacati, Cooperative, nonché la Chiesa Cattolica e migliaia di altre Associazioni.

    I maggiori partiti sono diffusi sì su scala nazionale, ma localmente il controllo appartiene a élites economiche o intellettuali, se non addirittura a capipopolo o capibastone, il cui consenso è basato sulla capacità di distribuire grandi, o piccole prebende pubbliche, ai propri clientes, fedelissimi generazione dopo generazione. La frammentazione del potere costringe ogni governo a elemosinare il sostegno di qualsiasi gruppo che esercita un nefasto potere contrattuale basato sul contraccambio: do ut des.

    A questo si sovrappongono le ambizioni personali di ogni politico alla ricerca di visibilità a vantaggio proprio o della lobby che lo ha appoggiato.

    Se la Prima Repubblica aveva ingabbiato queste velleità personali nella dura disciplina del centralismo democratico del Partito Comunista Italiano e nella Democrazia Cristiana che, pur suddivisa in correnti individualiste, era supervisionata da una ideologia e dalle autorità ed organizzazioni della Chiesa Cattolica, ora ogni parlamentare conquistata la fiducia dell’elettore in particolare nei collegi uninominali, vuole negoziare il suo voto di fiducia o sfiducia per ottenere vantaggi per sé e per i suoi propri elettori.

    L’incapacità apparente di avere un governo stabile mina alla base l’Istituto della Democrazia Parlamentare che viene assimilato ad un sistema rissoso incapace di esprimere una maggioranza che sostenga un governo fattivo e inadeguato ad operare in situazioni di emergenza.

    In realtà l’alternarsi di governi di breve durata non permette la realizzazione di piani pluriennali, ma permette a molti politici di scalare i vertici del potere come ministri, viceministri o sottosegretari.

    In quegli anni la presenza dello stato nell’economia diventava sempre più ingombrante. Il bilancio dello stato sarebbe arrivato verso il 50% del PIL (prodotto interno lordo) e, considerando anche le società municipalizzate, si poteva dire che 2/3 degli italiani erano a reddito fisso statale. Una così forte presenza dello stato nell’economia, nella gestione di miriadi di enti e municipalizzate, permetteva ad una classe di politici e sindacalisti se non di arricchirsi, senz’altro di usufruire di una vita più che dignitosa per sé, per le loro famiglie e le loro clientele. In questo gioco di clientelismo, non necessariamente illegale, tutta la società italiana era coinvolta e tutti erano complici ed attori. Per le imprese dell’economia privata, che dovevano sopravvivere nella dura legge del mercato internazionale, senza un appoggio del governo, non restava che rifugiarsi in nicchie di mercato ad alta specializzazione.

    Il terzo capitolo tratta del debito pubblico italiano, come si formò, quali furono le cause e le responsabilità. L’alto debito pubblico italiano era un vero handicap per partecipare all’Unione monetaria con la creazione della moneta unica l’Euro. I partner europei, in primis la Germania, non erano terrorizzati dall’idea che la repubblica italiana fosse insolvente verso i creditori, piuttosto che essi stessi fossero coinvolti almeno in parte in questo fallimento od ancor peggio che dovessero accollarsi parte del debito italiano. Da parte italiana soprattutto su pressione dell’establishment della Banca d’Italia e della finanza si riteneva che l’adesione alla moneta unica mettesse al riparo l’economia italiana dalle ricorrenti crisi monetarie, che poi non erano così tragiche. Gli imprenditori attraverso la loro Associazione, la Confindustria, non condividevano questi entusiasmi consapevoli che dovendosi misurare senza paracaduti politici o monetari non avrebbero potuto competere con le multinazionali, tedesche, francesi, americane, giapponesi ed infine cinesi. L’adesione all’Euro da parte dell’opinione pubblica Italiana, fu in ultima analisi una adesione idealizzata ad una Europa che non esisteva, mentre esisteva ed erano vincolanti gli interessi principali della Germania e della Francia, a cui bisognava subordinare i propri. L’Italiano medio frustrato nel vedere il proprio Paese coinvolto in una decadenza senza fine, riponeva una fiducia messianica in questa entità chiamata Europa fonte di progresso, giustizia sociale, lavoro e benessere in grado di competere con le grandi potenze; Stati Uniti, Russia, Cina.

    Gli ultimi tre capitoli sono a tema.

    Il quinto capitolo analizza il fenomeno dell’immigrazione. Verso la fine del XX secolo il saldo tra immigrati ed emigrati diventava positivo. Nel 1919 dopo la vittoriosa prima guerra mondiale, con l’annessione di alcune popolazioni slave e tedesche all’Italia, la classe politica liberale, ancor più il fascismo, che per un secolo aveva combattuto per l’indipendenza del popolo Italiano, ed era stata anche un esempio e modello da imitare, si dimostrò incapace di garantire alle minoranze linguistiche annesse le stesse libertà civili per le quali aveva combattuto. Per gli immigrati, alla fine del 1900, la classe politica si dimostrerà parimenti incapace di elaborare una politica sia di integrazione, sia di assimilazione, sia multiculturale.

    Nel capitolo V e VI si sviluppano a tema due argomenti contrapposti ed interdipendenti: l’affermarsi del capitalismo e del liberismo nelle economie occidentali dell’800 ed il parallelo sviluppo dello stato sociale. Si farà notare che al progredire della rivoluzione industriale e del capitalismo il proletariato assumerà il ruolo dell’antagonista dei capitalisti per condividere i frutti della ricchezza generata o addirittura si porrà come fine la soppressione del capitalismo, mirando a creare una società utopistica di uguali, senza sfruttati e sfruttatori, annullando le regole del mercato.

    Capitolo I – Il panorama politico e il dibattito nei partiti

    La seconda repubblica nacque in seguito alle inchieste della magistratura che portò alla luce un sistema diffuso e tacitamente codificato di corruzione in cui erano coinvolti tutti i partiti che, screditati, dovettero riciclarsi con altri nomi. Il PCI sarebbe diventato PDS, mentre la DC si sarebbe frantumata in varie sigle. Dalle loro ceneri nacquero nuovi partiti: Forza Italia e Lega Nord. Il nuovo sistema elettorale, un semi-maggioritario, favorì la formazione di una coalizione di partiti di centrodestra ed una coalizione di centrosinistra.

    1.1 – Premesse storiche: La questione Tangentopoli e la Seconda Repubblica

    Già dal 1990-91, con il crollo dell’Unione Sovietica e l’abbattimento della cortina di ferro, la guerra fredda era stata accantonata e gli Stati Uniti non avevano più bisogno, né interesse, a sponsorizzare in Italia una Democrazia Cristiana (il partito moderato appoggiato dalla Chiesa Cattolica, che era stato il fulcro di tutti i governi del dopoguerra), divisa in fazioni clientelari. Parimenti l’Unione Sovietica, implodendo ed andando alla ricerca di un nuovo assetto ideologico e geopolitico, non ebbe più interesse a finanziare il Partito Comunista Italiano. Di conseguenza i principali partiti politici si trovarono costretti sempre di più a ricercare altre fonti di finanziamento per conservare il consenso.

    Il termine tangentopoli fu introdotto nel gergo giornalistico a partire dal 1992 quando il 17 febbraio l’Ing. Mario Chiesa, Direttore del Pio Albergo Trivulzio di Milano, esponente del Partito Socialista Italiano, fu colto in flagrante ed arrestato per concussione e corruzione mentre incassava una tangente di 7 milioni di Lire da Luca Magni, responsabile di una ditta di pulizie, come compenso per l’appalto ottenuto per le pulizie della casa di riposo. A causa delle richieste di denaro sempre più esose ricevute da Chiesa, l’imprenditore aveva deciso di denunciarlo e si era rivolto al magistrato del pool di Milano Antonio Di Pietro che, d’accordo con l’imprenditore, decise di incastrarlo. Grazie alle testimonianze raccolte gli inquirenti scoprirono che non si trattava di un episodio isolato bensì di un sistema diffuso.

    Fu così scoperchiato il vaso di Pandora della corruzione e da allora con il termine Tangentopoli ci si riferì alla ricerca di autofinanziamento da parte della politica, tramite l’uso diffuso di riscuotere tangenti, praticato in Italia a livello sistematico di corruzione.¹

    L’arresto di Chiesa fu soltanto il primo di una lunga serie di arresti di uomini politici provenienti da quasi tutti i partiti di governo, inquisiti per reati quali concussione, corruzione, ricettazione, associazione a delinquere, violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti.

    Il pool di magistrati di Milano (Borrelli, Di Pietro, Davigo) diede inizio all’operazione mani pulite rivelando a tutti gli Italiani che l'intero sistema politico del nostro Paese era corrotto e si manteneva lautamente con l’incasso di tangenti sugli appalti pubblici. Da Milano le indagini si propagarono in tutta l’Italia. Insieme alla classe politica locale, furono coinvolti politici di rilevanza nazionale.

    Immagine I.1: Francesco Saverio Borrelli e Antonio Di Pietro del pool “mani pulite”.

    Immagine I.1: Francesco Saverio Borrelli e Antonio Di Pietro del pool mani pulite.

    Da allora il termine tangentopoli venne usato nel gergo politico e giornalistico per designare aree geografiche, enti pubblici e partiti il cui funzionamento apparve dominato dalla ricerca di tangenti e per definire la corruzione come scambio di denaro privato allo scopo di accedere alle decisioni della pubblica amministrazione condizionandole al proprio vantaggio privato. Più che a uno scambio individuale tra corrotto e corruttore, esso venne altresì riferito ai sistemi di corruzione allargata, con scambi molteplici, complessi e sistematici, tra cartelli di imprese private, clan di uomini politici e amministratori pubblici, intermediari e, talvolta, boss mafiosi.

    Si evidenziò così una complessa rete di scambi corrotti che coinvolgeva diversi attori. Gli imprenditori coinvolti spesso partecipavano a cartelli per aggiudicarsi e dividersi gli appalti venendo a conoscenza in anticipo di informazioni riservate, e manipolando le procedure. A turno essi vincevano le gare pubbliche di appalto, ottenendo buoni profitti grazie alla collusione reciproca, mantenendo il sistema con il ricatto di esclusione da futuri appalti e imponendo la corruzione come realtà inevitabile.

    I politici corrotti raramente nascondevano le loro attività illecite ai partiti di provenienza. Un sistema partitico occulto, parallelo a quello ufficiale, gestiva la riscossione delle tangenti e raccoglieva una percentuale su quelle estorte in proprio dagli amministratori pubblici. Si assicurava la riproduzione del sistema convincendo i loro amministratori ad accettare le tangenti come comportamento politico

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