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I Sentieri del Perone Ruscio: Storie di caccia, amore e amicizia
I Sentieri del Perone Ruscio: Storie di caccia, amore e amicizia
I Sentieri del Perone Ruscio: Storie di caccia, amore e amicizia
Ebook162 pages2 hours

I Sentieri del Perone Ruscio: Storie di caccia, amore e amicizia

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Breve sintesi del libro: questa raccolta di racconti indaga i sentimenti e le emozioni che legano gli uomini fra loro con l’amore, l’amicizia e la fratellanza. In questa raccolta la caccia diventa il setting della narrazione e il tema portante che intreccia fra loro le storie. Il tutto avviene fra i boschi e i paesi dell’Agro Pontino e dei Monti Lepini. Luoghi che hanno una storia e una tradizione culturale tanto profonda quanto le emozioni che attraversano la vita dei personaggi che vivono in questi racconti.

Giuseppe Filigenzi (Sezze 1961) è docente di Inglese presso un Liceo della Provincia di Latina. Ha lavorato in diverse scuole d’Italia e ha avuto la fortuna di vivere per un lungo periodo sulle Alpi, in montagna. Appassionato cacciatore e narratore di storie, oltre che poeta a tempo perso, sente l’esigenza di pubblicare questi racconti, nati dalla sua penna e dall’incontro di alcuni dei personaggi descritti. Dedica questa raccolta ai legami che si uniscono, si intrecciano e si sciolgono sui sentieri della nostra esistenza.
LanguageItaliano
PublisherPasserino
Release dateOct 20, 2021
ISBN9791220858915
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    Book preview

    I Sentieri del Perone Ruscio - Giuseppe Filigenzi

    Introduzione dell’autore

    Il Peròne Ruscio è appena dietro casa, eppure è così lontano! Bisogna camminare per ore, alzarsi presto e stoccare bene lo zaino per arrivare in cima. Fermarsi alla Pineta, incunearsi fra le code di ginestra, rovistare fra i mirti ed entrare nel bosco per scovare il selvatico. Ma vale la pena: si fa sempre carniere. È il posto di cui ogni cacciatore è geloso e vorrebbe condividere solo con gli amici più cari. Il Peròne Ruscio è un luogo ideale: è l’isola che non c’è. È dove io e Giampiero sognavamo di cacciare.

    In questi racconti la caccia è solo lo sfondo su cui si svolgono le vicende dei personaggi che vivono le storie narrate. Essendo nella sua essenza un’attività che nasce con l’uomo, resta annodata ai legami familiari e di amicizia profonda, è il collante di alcune relazioni che, senza di essa, avrebbero avuto ben altro epilogo. Si va a caccia sempre con i familiari, il primo a portarti per i boschi è sempre il nonno, poi il padre, gli zii, i cugini. Solo in età adulta si possono aggregare amici intimi, talmente intimi da annettere alla famiglia anche i loro parenti. È qualcosa che appartiene al clan, alla tribù, che ci entra nelle sangue e nelle ossa e determina la crescita della nostra persona.

    Una volta diventati adulti, puoi sentire il bisogno di dare un senso a questo tuo desiderio, lo cerchi nei libri, nelle riviste, nei racconti. Magari incontri Mario Rigoni Stern sul tuo cammino, entri in comunione con lui e comprendi… Finché passano gli anni e hai bisogno di testimoniare la tua esperienza, di passarla agli altri, di scrivere un libro.

    La raccolta segue due vie, una temporale e un’altra tematica. Si mostrano già nell’indice: i nove racconti sono divisi in gruppi di tre. Nel primo gruppo è descritta la relazione fra i desidèri d’avventura, che l’uomo trova in queste uscite, e l’amore, che è intimo e passionale come la caccia. Nel secondo gruppo il tema centrale è il rapporto con i nonni. Può sembrare banale esaltare l’amore fra nonno e nipote, ma è in questo legame che si creano i presupposti della nostra coscienza ecologica, del nostro lato romantico e della nostalgia per ciò che, passando nella nostra esistenza, ha lasciato una traccia profonda. Un amore incondizionato che non troveremo mai più, che ci viene trasmesso con semplicità e gentilezza. Nel terzo gruppo, infine, la caccia è un perno fra me, o noi, e gli altri. È qualcosa che sta fra l’Io del protagonista e tutto ciò che lo circonda generando a volte intesa, a volte conflitto o rivalità, a volte ancora violenza e sangue. Conoscere la caccia equivale a conoscere le armi, a non temere le intemperie della vita, a non temere la morte.

    Il fil rouge temporale vede i primi tre racconti ambientati ai nostri giorni, durante la pandemia. Il secondo gruppo alla fine del secolo scorso, quando non c’era ancora internet e i telefonini non avevano ancora modificato le relazioni umane. L’ultimo gruppo è ambientato, invece, fra il Dopoguerra e agli anni Ottanta, quando eravamo tutti più poveri e puri, senza alcuna albagia, ma pieni di speranze.

    Ho voluto omaggiare gli scrittori che più amo citandoli direttamente e indirettamente nei miei racconti, così come ho voluto omaggiare la resilienza dei più umili. In Checco ho fatto omaggio ai miei paesani e concittadini, venuti da lontano, che vivono ai Casali. Quel luogo, una volta quartiere degradato e marginale, è adesso un angolo di paese che si affaccia al mare. Gente operosa e determinata, aiutata da un’amministrazione illuminata e lungimirante, hanno trasformato quel luogo in un’area residenziale. Così come i nostri compaesani veneti, che vivono in pianura, hanno dissodato quelle zolle ed ora possono godere dei frutti del loro lavoro. Ho raccontato il mio Paese, la sua gente e la nostra cultura.

    Prefazione

    Una cena tra amici, in piena pandemia, in un pub di Latina. Si parla del più e del meno. Una sera come tante altre… quand’ecco che il poeta della compagnia ci comunica che sta scrivendo. Passano i giorni e sembra che la cosa sia finita lì.

    Un bip sul cellulare, in un pomeriggio afoso quando non hai altra scelta che abbandonarti al riposino per ingannare il tempo, ti riporta controvoglia alla realtà che cercavi di allontanare. È la Uttarella che in punta di piedi mi è venuta a svegliare. Con le sue inquietudini, la vita normale di un’adolescente che cerca di farsi spazio tra le aspettative del padre e la sua strada da seguire, mi accompagna in un mondo inaspettato, quasi fatato. Il riposino è ben presto dimenticato e mi ritrovo in un mondo nuovo, impensato, bello.

    È il primo di una serie di nove racconti accattivanti, che sanno di vero, diventati ben presto un appuntamento irrinunciabile in questa fine estate del 2021, che mi hanno catapultato in una teoria di vite, persone, realtà sempre più interessanti e coinvolgenti, perché frutto non della sola fantasia o del parto letterario che dir si voglia, ma perché sono il riflesso di vite, persone, realtà in cui tutti, chi più e chi meno, possiamo rispecchiarci… Piccoli microcosmi che riflettono pensieri e scelte comuni fatte di quotidiano, ma soprattutto di emozioni forti e legami profondi che emergono prorompenti sullo sfondo delle battute di caccia che, solo apparentemente, costituiscono il leit motiv conduttore di tutta la raccolta. Apparentemente, perché – come detto - il vero leit motiv dei racconti è la vita di mariti, mogli, figli, padri e madri, amici e cani, con le loro gioie, dolori, rimpianti, sensazioni, scelte e, soprattutto, fili sottili che li legano gli uni agli altri indissolubilmente, nel bene e nel male.

    La lettura è coinvolgente proprio per questi motivi, perché non dà nulla per scontato e non è banale: è frutto di una vena spontanea e genuina, che raggiunge momenti di pura commozione che non lascia indifferenti. Vi si avverte l’eco dei racconti di fine Ottocento e di buona parte del Novecento fusi con la realtà del mondo contemporaneo, con uno stile agile e trepidante in certi punti, mai monotono, con incursioni nelle parlate dialettali di Sezze, ma anche inaspettatamente nel Veneto del vecio dell’Agro Pontino che acuiscono il senso di veridicità della narrazione. Ci si sente naturalmente invogliati a leggere tutto d’un fiato per vedere come si dipanano le trame, a volte fittamente intrecciate, sullo sfondo dei paesaggi dei nostri Lepini e della Pianura Pontina.

    Sento, a conclusione di questa introduzione, di dover ringraziare Pino per avermi coinvolto in questa esperienza davvero entusiasmante e per avermi offerto l’opportunità di leggere in anteprima quelli che, per sua stessa ammissione, dovevano restare racconti chiusi nel cassetto. Immeritatamente.

    Frateschi Barbara

    Le anatre all’apertura

    La vigilia dell’apertura della stagione venatoria è vissuta da ogni cacciatore come il ballo di una debuttante. Ogni anno, si rinnovano i riti che propiziano la caccia e ci si dedica alla meticolosa preparazione dell’evento almeno un mese prima. Al suono della sveglia bisogna trovarsi pronti, lucidi, efficienti e con tutta l’attrezzatura ben oliata e funzionante.

    È ovvio pensare che quella notte non si dorme, nella migliore delle ipotesi si dormicchia, passando dal sogno del frullo di un fagiano, al sogno ad occhi aperti del tuo cane in una ferma su una quaglia. L’epilogo di un tale stato di attesa saranno le padelle del giorno d’apertura, di cui sono pieni i racconti dei cacciatori.

    Marco non era uno di questi. Fra i riti propiziatori aveva quello di un’energica scopata per favorire il sonno e l’unica cosa di cui si preoccupava era un fucile ben oliato e le cartucce giuste. Raramente le preoccupazioni o l’ansia gli facevano mancare la preda.

    Quel terzo sabato di settembre [1] era rientrato tardi. Aveva deciso di sposare quella ragazza bruna, che da più di un anno gli stava facendo girare la testa, non erano più ragazzini, avevano avuto le loro storie; convivevano ormai da un paio di mesi. Non avrebbe mai potuto lasciarla sola con gli amici alla vigilia dell’apertura. Così rincasarono che erano le dieci e trenta, dopo una pizza e qualche birra in piazza con gli amici di sempre. Nessuno dei due volle rinunciare al calore del momento.

    Disfatti nel letto dopo un lungo e piacevole intermezzo amoroso, lei accese una sigaretta e disse: «Amore, prenderei un buon caffè!»

    «A quest’ora? Se prendi un caffè adesso non dormi più!»

    «Chi lo dice che non dormo più? Sono in un momento di beatitudine post coito, ho bisogno di una sigaretta ed un caffè.»

    «Quindi adesso, nonostante la beatitudine post coito, ti alzeresti per fare un caffè?»

    «Assolutamente no, amore mio, è il partner, in quanto responsabile di questo stato paradisiaco, ad alzarsi e preparare un caffè a chi è in beatitudine.»

    «Ma dolcissima, anche io sono in beatitudine post coito e, quando questo avviene, la responsabile di tale beatitudine deve lasciarmi passare ad una sfera più alta.»

    Si girò su un lato, si rimboccò le coperte e cercò di dormire. Tiziana schiacciò la sigaretta nel posacenere, gli carezzò la nuca, lo mordicchiò su un lobo e gli disse: «Allora se fossi incinta non mi faresti un caffè?»

    Marco si girò allarmato: «Perché… sei incinta?»

    «Non lo so, ma dopo stasera potrei esserlo e pensa, se non mi facessi un caffè, a cosa andremmo incontro?»

    Si girò verso di lei, e lei lo avvolse avvinghiandosi a lui con le braccia e con le gambe, lo baciò in modo caldo e lascivo e sentì che si stava di nuovo eccitando. Marco decise che non era il caso di insistere, meglio andare a preparare il caffè, nella speranza di poter metter insieme qualche ora di sonno prima che suonasse la sveglia. Entrò in cucina e preparò la moka con calma, aspettò che la stanza si riempisse del brontolio della macchinetta, dei profumi esotici della miscela e tornò in camera per servire la tanto desiderata bevanda. Spostò il telefonino dal comodino per posare il vassoio e vide l’icona di un messaggio non letto su WhatsApp. Era Peppe il suo amico di sempre il quale, conoscendo il sonno di Marco, gli ricordava che alle quattro del mattino sarebbe passato a prenderlo e di essere puntuale, altrimenti lo avrebbe lasciato.

    Mentre Tiziana si girò per prendere la tazzina, spostando quel tanto il lenzuolo da scoprire la coscia, tirando indietro col palmo della mano i suoi capelli nero corvino, Marco rispose al messaggio con un emoticon. In modo quasi meccanico mise tazzina, cucchiaino e zuccheriera nel vassoio e portò in cucina, convinto che si sarebbe steso almeno per un paio d’ore prima delle quattro. Quando tornò in camera per dormire, trovò Tiziana seduta sul letto che piangeva a dirotto.

    «Cos’hai? adesso perché piangi?»

    «Perché, è la prima volta che piango? Anche l’altro ieri al Centro Commerciale mi sono uscite le lacrime, ma tu hai fatto finta di non vedere.»

    Non sapendo che fare e come uscire dal loop [2] in cui si stava cacciando, disse quello che non avrebbe mai dovuto dire: «Dicevo, come tutte le donne sensibili hai la lacrima facile. Non mi sono preoccupato.»

    «Quindi pensi che io sia una piagnona!»

    «No, intendevo, anche al cinema hai pianto!»

    «Mi chiedo come abbia fatto TU a non piangere davanti ad una tale poesia!»

    «Anch’io, in verità, mi sono commosso.»

    «Allora anche tu sei un piagnone?»

    «Ma cos’hai stasera? Insomma, vuoi dirmi che vuoi?»

    «Voglio un figlio! Voglio un figlio!»

    Marco sentì il sangue gelare…

    «Abbiamo tempo! Prima ci sposiamo, poi facciamo un figlio.»

    «Tu pensi che sia facile? Pensi che sia così detto e fatto

    «Come dovrebbe essere?!»

    «Tu lo sai perché ho pianto al Centro Commerciale? Perché ho visto le scarpine per neonato, quelle gialle fatte all’uncinetto, e tu non le hai neanche notate!»

    Marco vide che la discussione stava prendendo una brutta piega e che era già abbondantemente passata la mezzanotte, non gli rimanevano che due o tre ore di sonno.

    «Abbiamo tempo per questo, prima ci sposiamo, poi facciamo un figlio. Perché fare un figlio prima di sposarsi? Vedrai che avrai le tue scarpine e le tue pappette, come tutti.»

    «Ma anche tu desideri un figlio?»

    «Certo! Solo pensavo che, prima di mettere al mondo un’altra persona, bisogna prepararsi al meglio.»

    «Allora quando lo vorresti un figlio?»

    «Che ne so! Non è che posso darti la data esatta, ma volevo aspettare almeno un paio d’anni per sperimentare il rapporto, è sempre un altro che entra nella nostra vita…»

    «Ah, sì! Tu chiameresti tuo figlio un altro? Sarebbe un estraneo che viene a vivere con noi!»

    A quel punto Marco pensò: Se avessi

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