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Il virus e noi
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L'umanità nel corso della sua storia ha conosciuto molte epidemie, ma mai come nel caso della Pandemia da Coronavirus del 2020 ha avuto come l'impressione di trovarsi di fronte alla fine del Mondo. Parole come "lockdown", "distanziamento sociale", "isolamento", "stato d'emergenza", sono entrate di prepotenza nelle nostre vite e nel nostro lessico quotidiano, condizionando radicalmente - forse per sempre - il senso e il decorso temporale delle nostre giornate. Questo libro riflette sulle conseguenze filosofiche e sociali dell'evento pandemico, individuando un piano diverso di comprensione del fenomeno e indicando così, in parallelo alla lotta contro la "malattia" nell'accezione medico-scientifica del termine, l'urgenza di una ridiscesa in campo della filosofia per poter riflettere sulla messa in pericolo di tre strutture originarie dell'essere-nel-mondo: comprensione, affettività e discorso.
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Il virus e noi - Luca Pantaleone
Cronaca di una pandemia
5 gennaio 2020. È da poco passato il Capodanno, trascinandosi via tutte le luci e i fasti del tradizionale saluto inaugurale all’anno nuovo. Nell’intorpidimento generale dovuto al clima di festa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità emana un comunicato inatteso: Pneumonia of unknown cause in China .
Sembra uno di quei comunicati per esperti, destinati a sparire senza lasciare traccia, nel silenzio dei più. E invece, da subito le notizie a proposito della nuova malattia iniziano a intensificarsi.
L’11 gennaio «La Repubblica» dedica un articolo al «primo paziente morto da polmonite misteriosa». Diverse emittenti televisive nazionali specificano che la misteriosa polmonite ha già colpito in Cina 59 persone nel mese di dicembre, e che i ricercatori sono riusciti a identificare il virus: è un nuovo coronavirus sconosciuto, simile sotto molti aspetti alla famigerata SARS, che nel 2002/2003 uccise 700 persone, soprattutto nell’Est asiatico. Si susseguono su carta e schermo piatto riepiloghi sommari delle recenti epidemie di SARS, MERS, Aviaria, Suina. Il nome di Carlo Urbani – medico che per primo classificò il coronavirus della SARS, morto a Bangkok – entra ed esce dai teleschermi degli italiani, distrattamente concentrati su tutt’altro: dall’imminente ennesima crisi di Governo, al referendum sul taglio dei parlamentari, all’invito rivolto da Matteo Salvini a Liliana Segre in occasione di un convegno antirazzista.
Passano pochi giorni e le trasmissioni televisive si ritrovano ad ospitare una fauna inevitabilmente mutata. Fa la sua comparsa nella celebre trasmissione Che tempo che fa il virologo-social Roberto Burioni, un volto ormai noto del mainstream nazionale, che si premura di rassicurare la popolazione sulle scarse possibilità che il virus arrivi anche in Italia. Per spiegare come prevenire eventuali infezioni comunque mostra ai telespettatori il modo corretto di starnutire. In fondo è banale: basta infilare il naso nell’incavo del gomito, e il gioco è fatto.
Dalla stampa e dai media cominciano a fuoriuscire segnali di cauto pessimismo. Si inizia a ribadire l’importanza della prevenzione, e molti opinionisti e commentatori vengono sostituiti da tecnici esperti del settore, intenti a spiegare quali precauzioni igienico-sanitarie adottare, come effettuare correttamente il lavaggio della mani, a quale santo affidarsi in caso di problemi. Ciò che la popolazione ora teme di più è un ingresso del virus nel Paese. L’opinione pubblica inizia a spingere sul Governo del Tetrapartito (Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva, Liberi e Uguali) affinché si provveda ad una chiusura dei voli provenienti dalla Cina.
I voli diretti da e per la Cina vengono chiusi il 31 gennaio, il giorno in cui il Governo italiano dichiara lo stato d’emergenza per sei mesi. Un giorno dopo la dichiarazione di emergenza globale dell’OMS e due giorni dopo la notizia di due coniugi cinesi atterrati a Milano il 23 gennaio, e ricoverati dal 29 allo Spallanzani di Roma con sintomi da coronavirus. «Il Sole24ore» però, in un articolo del 5 febbraio 2020, fa notare che è ancora possibile andare e venire dal Paese della Grande Muraglia attraverso voli indiretti, passanti per Mosca o Francoforte. Il tempo di viaggio è tutto sommato accettabile: appena quindici ore [1] . Qualche settimana dopo Walter Ricciardi, consulente governativo e componente dell’executive board dell’OMS, bollerà la decisione come priva di basi scientifiche. Addirittura dannosa, se abolendo gli scali diretti si perde il controllo di quelli indiretti [2] . D’improvviso compare come in un’immagine sfocata quello che sembra il vero nemico dell’umanità: la velocità della globalizzazione, le sue interconnessioni, il suo dinamismo panico, che diventano in un battito di ciglia l’alimentazione del grande e bulimico serbatoio pandemico.
Il 2 febbraio il mondo viene a conoscenza dell’esistenza di una nave da crociera, la Diamond Princess, ormeggiata in quarantena al largo del porto di Yokohama (Giappone), dopo che un suo paziente, sceso ad Hong Kong il 25 Gennaio, è risultato positivo al nuovo coronavirus. Il Comandante è un italiano – Gennaro Arma – e questo suscita la consueta simpatia nazionalpopolare. Intanto in Cina il contagio partito dalla città di Wuhan – 19 milioni di persone – messa in quarantena dal 23 gennaio, si estende rapidamente anche ad altre cittadine dell’Hubei. L’8 Febbraio tuttavia l’OMS rassicura: il contagio è sotto controllo e i casi giornalieri stanno progressivamente calando.
Arriva infine anche il giorno del battesimo. L’11 febbraio la nuova malattia viene denominata Covid-19, e il virus che l’ha provocata diventa, da 2019-nCoV, SARS-Cov-2. Nelle trasmissioni televisive inizia a comparire la foto di uno strano globo rosso, con annesse tante piccole protuberanze appuntite. Una corona, micidiale e terribile, degna di un re. Iniziano discussioni interminabili sull’origine della nuova malattia, che i media hanno da subito identificato nel mercato umido di Wuhan, lo Huanan Seafood Wholesale Market. Si pensa che a consentire il passaggio all’uomo sia stato un pipistrello. Non tardano tuttavia a diffondersi i primi retropensieri.
L’attenzione delle voci dissidenti si sposta verso il Wuhan Institute of Virology (WIV), un istituto gestito dall’Accademia delle Scienze cinese situato nel Distretto Jiangxia a Wuhan. Da anni il centro è impegnato nello studio dell’origine e della diffusione di Coronavirus simili alla SARS. Nel 2005 un suo gruppo di ricerca, capeggiato da Wendong Li, aveva già evidenziato come i pipistrelli fossero delle riserve naturali di SARS-coronavirus, e che il virus mostrasse una grande variabilità genetica [3] . Il sospetto che la nuova pandemia possa provenire da lì inizia a diventare sempre più forte. Il 14 aprile il «Washington Post» pubblica un articolo, a firma di Josh Rogin, in cui si racconta brevemente la storia del centro di ricerca cinese. Viene fuori che nel 2018 l’ambasciata USA a Pechino ha organizzato presso il laboratorio frequenti visite di diplomatici scientifici, tra cui James Fouss, console generale a Wuhan, e Rick Switzer, consigliere dell’ambasciata per l’ambiente, la scienza, la tecnologia e salute. Durante le loro visite Fouss e Switzer hanno sottolineato una «grave carenza di tecnici e investigatori adeguatamente formati, necessari per operare in sicurezza nel laboratorio ad alto contenimento». L’ultimo sopralluogo risale al 27 marzo 2018 ma stranamente, una settimana prima dell’uscita dell’articolo, il WIV ne cancella qualsiasi traccia dal proprio sito web. Già da tre anni poteva fregiarsi del più alto livello di bio-sicurezza internazionale (BSL-4) [4] .
L’ipotesi del laboratorio verrà smentita da due studi, pubblicati su «Nature» il 17 marzo 2020 [5] e su «Emerging Microbes & Infections» [6] il 14 febbraio 2020. Il 16 aprile 2020 Luc Montagnier, virologo francese insignito del Premio Nobel nel 2008 per aver scoperto nel 1983 il virus dell’HIV, rilascerà un’intervista al sito puroquoidocteur.fr in cui sosterrà la tesi della manipolazione artificiale. In poche parole secondo Montagnier il virus sarebbe stato manipolato dall’uomo, ibridando una forma di coronavirus proveniente dai pipistrelli con la sequenza genica del virus dell’HIV [7] . In qualche ora il video dell’intervista verrà rimosso da Youtube per motivi di copyright, dopo essere stato visto da oltre un milione e mezzo di persone.
Le parole di Montagnier provocheranno l’irritazione e lo sdegno della comunità scientifica. In particolare verranno attaccate ferocemente le due fonti citate dal virologo: uno studio di un gruppo di ricercatori dell’Indian Institute of Technology di New Dehli, ritirato dopo la pubblicazione a causa delle molteplici critiche ricevute (ma ancora disponibile online per la consultazione) [8] e un documento pubblicato su una rivista ritenuta «predatoria». In Italia, il 20 aprile 2020 un articolo di Enrico Bucci su «Il Foglio» avverserà pubblicamente la teoria dello scienziato, affermando che quella sequenza genica sia comune a moltissime altre specie di virus, e non solo all’HIV [9] . Sarà il primo duro scontro interno alla comunità scientifica internazionale.
Qui da noi invece, con l’evoluzione della pandemia, la narrazione politica assume sempre più i tratti dello scontro ideologico. Il 3 febbraio i governatori del Nord (Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) chiedono a gran voce al Ministero della Salute di provvedere all’isolamento precauzionale di bambini provenienti dalla Cina, mentre il Conservatorio di Como e il Conservatorio di Santa Cecilia sospendono le lezioni agli studenti orientali. In risposta, il 6 febbraio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella decide di effettuare una visita a sorpresa nella scuola Daniele Manin del quartiere Esquilino di Roma, nel cuore della Chinatown della Capitale, mentre in tutta Italia si organizzano eventi «per dire no alla psicosi da Coronavirus». Il naturale istinto di precauzione degli italiani viene presto soppiantato dal ricorso a facili
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