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Teologia dell'insurrezione: Thomas Müntzer e la guerra dei contadini: una rivolta di popolo nel cuore dell’Europa Moderna
Teologia dell'insurrezione: Thomas Müntzer e la guerra dei contadini: una rivolta di popolo nel cuore dell’Europa Moderna
Teologia dell'insurrezione: Thomas Müntzer e la guerra dei contadini: una rivolta di popolo nel cuore dell’Europa Moderna
Ebook86 pages1 hour

Teologia dell'insurrezione: Thomas Müntzer e la guerra dei contadini: una rivolta di popolo nel cuore dell’Europa Moderna

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Ai tempi della Riforma protestante, tra il 1524 e il 1526, mentre la predicazione di Lutero e lo stesso ruolo del monaco agostiniano si rivelavano perfettamente compatibili con lo status quo, nei territori di lingua tedesca del Sacro Romano Impero masse crescenti di diseredati iniziarono a recepire in modo assolutamente nuovo il senso delle Sacre Scritture. Fu così che, se ogni uomo è stato creato uguale, come il cristianesimo dice di insegnare, quell’uguaglianza iniziò a essere pretesa sul serio, accendendo una rivolta senza precedenti nel cuore dell’Europa. Alla testa dei ribelli, un pastore originario della Bassa Sassonia, Thomas Müntzer, secondo cui era possibile spiegare ogni ingiustizia commessa sulla pelle del popolo e ogni sofferenza a cui lo stesso popolo era costretto con la demoniaca alleanza che, nel nome del profitto, aveva sottratto agli ultimi persino la parola di Dio. La Riforma, in questo modo, si trasformò ben presto in Rivoluzione: una guerra dei contadini a cui Martin Freiberger rende il giusto tributo storiografico, esplorando quel terreno misconosciuto in cui, insopprimibili, affondarono le radici teologiche della rivolta.
LanguageItaliano
Release dateOct 4, 2021
ISBN9788867183166
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    Teologia dell'insurrezione - Martin Freiberger

    QUADRO INTRODUTTIVO STORICO E STORIOGRAFICO

    Ormai sono passati quasi cinquecento anni da un evento epocale di estrema importanza noto come Guerra dei Contadini. Friedrich Engels lo definì il «più grandioso esperimento rivoluzionario del popolo tedesco» 1; secondo Wilhelm Zimmermann era una «lotta della libertà contro un’oppressione disumana, della luce contro le tenebre» 2, mentre a giudizio di Stephan Skalweit essa conserva «ancor oggi ciò che vi è di inspiegabile in una catastrofe naturale» 3.

    Negli anni 1524-26 la Germania fu teatro di una serie di rivolte definibili di fatto come una vera e propria guerra. I tumulti che ne segnano la cronistoria furono il culmine di una realtà segnata da fame e miseria per larghi strati della popolazione, specie quella rurale, che già dalla fine del Quattrocento si era fatta sentire con le prime ribellioni sociali e congiure popolari. Accanto a queste, all’epoca si produssero e diffusero innumerevoli richieste contadine, articoli, preghiere e documenti. Le istanze avanzate, mosse all’inizio dalla necessità di abolire le ormai insopportabili tasse feudali, si trasformarono poi in rivendicazioni volte alla modifica dell’ordinamento giuridico, arrivando addirittura a progetti di un ordinamento sociale in senso comunistico, nel quale i beni venissero collettivizzati e tutti gli uomini fossero uguali secondo il Vangelo.

    In questa situazione bollente si inserì un altro evento che cambiò il mondo in modo profondo, portando al più grande scisma della Chiesa cristiana nell’età moderna. Sul finire dell’anno 1517 Martin Lutero affisse – come narra la tradizione – sulla porta della chiesa di Wittenberg le 95 tesi contro la vendita delle indulgenze e, basandosi su argomentazioni teologiche, non si limitò a esprimere il malessere etico-religioso dei cristiani, ma incanalò contro la Chiesa di Roma anche tutto il disagio del popolo tedesco – sfruttato economicamente e oppresso politicamente.

    La «plebaglia» si armò e osò l’impensabile: ribellarsi e dichiarare guerra a chi fino ad allora aveva legittimato l’autorità in nome di Dio. Alle schiere dei contadini si opposero i mercenari dei principi tedeschi – questi, peraltro, incalzati da Lutero a intervenire. Insieme alle loro richieste progressiste, i contadini vennero sconfitti e massacrati da tutte le forze conservatrici che volevano mantenere lo status quo; il loro profeta più controverso, Thomas Müntzer, venne imprigionato e giustiziato. Verso la fine del 1525 si spensero così gli ultimi focolai di rivolta sul territorio tedesco e il desiderio di giustizia e uguaglianza venne soffocato nel sangue di centinaia di migliaia di morti.

    In questo contesto l’eccezione rimase il Tirolo: solo qui, nella periferia dell’impero, la guerriglia contadina continuò fino al 1526 e guadagnò notevoli successi sotto la guida di uno dei più geniali capi militari di quel tempo, Michael Gaismair. Mentre Müntzer dava una giustificazione teologica della ribellione all’autorità e sottolineava la necessità di detronizzare il tiranno, Gaismair elaborava già un progetto radicale di Stato evangelico, di contadini e minatori, basato su un ordine sociale completamente nuovo.

    Proprio attraverso il suo Ordinamento regionale del Tirolo (1526) ci possiamo rendere conto di quali fossero le conseguenze, su basi tanto economico-sociali che teologico-politiche, dell’insubordinazione della plebe iniziata solo qualche anno prima. La tesi di cui si faceva portavoce lo rese un precursore delle teorie filosofiche moderne. Il suo testo evoca una comunità egualitaria senza padroni né servi in cui la proprietà privata è superata in tutte le sue forme:

    «Innanzitutto dovete promettere e giurare di mettere insieme vita e beni; di non dividervi uno dall’altro, ma di andare sempre d’accordo, di agire, dopo esservi consultati tra di voi, di essere fedeli e obbedienti alla vostra autorità, di cercare in nessun caso il vostro interesse, bensì prima l’onore di Dio e dopo il bene comune, affinché Dio onnipotente ci conceda aiuto e grazia […] Tutti i privilegi devono essere aboliti, perché sono contro la parola di Dio e falsificano il diritto, e perché nessuno deve godere di vantaggi rispetto agli altri […] Tutte le mura cittadine, i castelli e le fortificazioni che si trovano nella regione, devono essere abbattute, e non devono esserci più in futuro delle città, bensì soltanto villaggi, affinché non esistano più differenze tra gli uomini; così nessuno potrà ritenersi più elevato e migliore dell’altro, poiché da ciò derivano discordia, superbia e sedizione, e affinché possa esistere una completa uguaglianza nel paese 4.

    Ma quali furono le cause scatenanti delle rivolte in quel periodo? Quale fu il vero ruolo di attori come la Chiesa, i principi, il popolo e i teologi? Che legame ci fu tra Riforma protestante e Guerra dei contadini? Quale nesso si creò tra i rivoltosi e la teologia? E quali furono le motivazioni di alcuni teologi che iniziarono a delegittimare l’autorità del potere dei principi?

    Gli eventi accaduti in quel periodo lasciano spazio a molte domande, e sulle tante risposte che si è cercato di dare – spesso contraddittorie tra loro – si è aperto un vasto dibattito storiografico. La storiografia relativa alla guerra e ai suoi protagonisti iniziò immediatamente dopo la sconfitta militare dei contadini del 1525. Le cronache e le pubblicazioni furono fortemente influenzate dalla figura di Müntzer.

    Ciò che era da annientare era proprio la sua idea utopistica, un pensiero diventato estremamente pericoloso per i potenti, sia tra i cattolici che tra i riformati. Secondo Lutero, la teoria della liberazione nei termini proposti da quel profetismo sociale era estremamente blasfema. Il teologo odiava Müntzer perché le sue idee mettevano a rischio tutte le conquiste della Riforma, ponendole non solo sul piano teologico ma anche su quello sociale. Perciò era necessario screditarlo e, senza accontentarsi di sconfiggere l’individuo, comprometterne anche l’immagine dipingendolo come l’incarnazione di Satana, «sanguinario e scellerato profeta» 5, accusandolo delle peggiori colpe, «perché il tristo Satana ha ridestato, sotto il nome di Vangelo, le schiere degli spiriti

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