Naufragi: Sconfitte, cedimenti, cadute, fughe disperate, abbandoni, ma anche faticose rinascite.
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Naufragi - Fabrizio Trainito
Naufragi e naufraghi
Sconfitte, cedimenti, cadute, crolli, fughe disperate, abbandoni. Perché ci si riduca così lo posso solo immaginare, anche se tutti abbiamo avuto i momenti negativi, le disillusioni e le delusioni.
Per me sono frequenti proprio le disillusioni. Spesso, partendo con grande entusiasmo per ogni nuovo progetto lavorativo e non, mi sono ritrovato solo ad affrontare una schiera di nemici soverchiante nel disinteresse generale, magari con un capo appena trasferito ad un nuovo incarico. E così ci si sente come reduci di un’epoca passata, della quale a nessuno più interessa nulla. Relitti ingombranti che devono essere riposti in cantina per poter dare una rinfrescata alla facciata esterna.
I miei naufraghi sono gente fuori dal proprio tempo, in fuga dal passato e da se stessi, in allontanamento da tutto e tutti, lontani anche dall’idea di un presente di normalità. Eremiti della nostra epoca, in cui tutti siamo iperconnessi con i social network e allo stesso tempo isolati nella propria solitudine.
Qualcuno di essi trova la forza per uscirne, altri lottano con ardore contro forze preponderanti, alla ricerca di un fondamento sul quale rinascere. Infine, ci sono quelli che hanno smesso di lottare e si sono arresi alle circostanze.
Chi ce la fa deve affrontare necessariamente un percorso di catarsi per un rinnovamento morale e spirituale, prima del ritorno nella società. Solo dal sacrificio, dalla volontà di rimettersi in gioco e di ripensare la propria esistenza nascono le rinascite, le rivincite, le pazienti ricostruzioni. E, a volte, bisogna essere in grado di rinunciare a qualcosa di prezioso per noi, ma ormai inutile e perfino problematico.
Naufraghi siamo tutti noi…
Il naufrago sono io che ogni giorno mi voglio costruire un mondo nuovo e ogni volta, insoddisfatto, lo distruggo nei miei pensieri. Sono io che ricompongo il solito puzzle in modi sempre diversi e poi getto tutto all’aria mai contento. Un fuggitivo, in fuga dalle mie aspirazioni e dal tempo, che scorrendo mi lascia senz’aria, che mi scava dentro e mi cancella la memoria.
Sono un naufrago quando ogni settimana mi reco a Santa Severa, fuggendo dalla città, dal caos, dalla famiglia per ritemprarmi, dialogare col mare, trovare ispirazione e concentrazione per i miei lavori.
A Santa Severa trovo tempo pulito
per ragionare e chiarirmi le idee. Pulito perché depurato dalle scorie del vivere quotidiano, delle tante faccende, che si affastellano nella nostra vita e ci soffocano.
Anche qui ho i miei riti e i miei momenti, che si conformano al ritmo del mare, del vento, del sole. La mia vera casa è il castello sotto le cui mura mi riparo dalla tramontana invernale. La mia via segue il bagnasciuga fino a nord, dove, nella zona dei Grottini, una scogliera suddivide la costa in tante calette. In una di queste si era un giorno accampato un giovane con tenda e chitarra. Era rimasto lì qualche giorno, strimpellando le sue canzoni e cucinandosi i pasti in riva al mare. Fu lui ad ispirarmi la storia principale (Il Naufrago).
Naufraghi lo siamo tutti, l’importante è non rimanerlo.
A voi il piacere di una lettura che spero sia appassionante e rilassata.
Fabrizio Trainito
Roma, 2 settembre 2021
Il Naufrago (romanzo breve)
La Fuga
Quel giorno era davvero di cattivo umore. Aveva incominciato brontolando per qualche faccenda di minor conto, poi si erano sprecati sbuffi e sospiri. Infine, l'ansia di starsene in quella casa vuota aveva fatto il resto. Da quando doveva convivere con se stesso e non c'era più lei lì a quietarlo, o magari a farlo esplodere definitivamente, non ce la faceva più. Si erano fatti reciproci complimenti, dicendosi in faccia cose che è sempre bene tacere, e alla fine non era stato più possibile ricostruire ciò che nell’infuriare della tempesta era andato distrutto. Lei se n'era andata lasciando persino le sue cose, le foto, i souvenir sciocchi dei loro viaggi, i suoi cd musicali, i dvd dei film, i libri.
Tutto quello che lo circondava gli ricordava lei. Voleva gettare via tutto o magari riporre ogni cosa in un baule in cantina, ma non ne aveva avuto il coraggio. Era come se aspettasse il suo ritorno da un momento all'altro. E invece era già un mese che se n'era andata. E nemmeno una telefonata da allora.
Si guardava intorno e gli sembrava di impazzire. Alla fine aveva raccolto una felpa, qualcosa di utile un po’ a caso, un cambio e aveva buttato tutto nel suo zainetto, poi, così com'era vestito, in pantaloncini corti e t-shirt, era uscito.
Aveva preso la sua automobile e aveva guidato senza più fermarsi. Stava fuggendo dalla sua casa, dalla sua vita, da se stesso. E sapeva già che ciò non gli sarebbe riuscito. Aveva percorso varie strade a caso verso la periferia, così come veniva, senza una meta, poi si era incanalato nell'autostrada costiera e aveva messo alle sue spalle più chilometri avesse potuto. Mentre viaggiava era sereno, procedeva dritto, senza un perché. Trascorreva il tempo ascoltando il suo programma radiofonico preferito, alternando un po' di musica e poi facendo zapping qua e là.
Ormai stanco, quasi senza accorgersene, era uscito dall'autostrada vicino ad un paese di cui gli era sempre piaciuto il nome, ma mai ne aveva percorso le strade. Poi, zigzagando a caso, era giunto davanti al mare, proprio mentre il sole scompariva all'orizzonte.
Rimase lì, mentre il cielo scuriva, con la testa tra le mani quasi a voler shakerare quei pensieri che non fluivano come avrebbe voluto.
Il cellulare esalava il suo ultimo respiro tutto riassunto in un bip cupo e un lampo terminale.
Giulio consumò quasi con rabbia due merendine che si era portato dietro nello zainetto, bevve un sorso d'acqua da una bottiglia che teneva in auto e poi nell'oscurità che lo circondava reclinò i sedili e rapidamente si addormentò.
Si svegliò gelato nel cuore della notte. Per fortuna si