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Quattro viaggi in India: romanzo
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Quattro viaggi in India: romanzo

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“Una molteplicità di aspetti magnifici e orribili, contrari ma capaci di convivere”: è questa l’India che fa da sfondo al racconto di quattro viaggi.
Una ragazza conosce un ragazzo e lo porta con sé in un lungo viaggio in India, un Paese che l’ha folgorata e dove torna più e più volte. Nei suoi viaggi non cerca la bellezza ma il pazzesco, non il nuovo ma l’impensabile. E vuole mostrarlo a chi ama, perché mostrando l’India mostra le parti più intime e profonde di se stessa.
La ragazza cresce, diventa una giovane donna, parte ancora scegliendo compagni di viaggio molto diversi tra loro che attirano situazioni nuove e colorano ogni viaggio di tinte intense e uniche.
I quattro viaggi sono anche quattro percorsi di crescita, su strade afose e affollate, su spiagge deserte e isolate, alla scoperta degli angoli meno battuti del continente indiano. Perché è lì che conosce pensieri diversi dai suoi, che impara “a vedere le cose da punti di vista opposti, cercando nella complessità l’unione, e viceversa”. E capisce cosa, per lei, conta davvero.
LanguageItaliano
Release dateJan 2, 2021
ISBN9798589692198
Quattro viaggi in India: romanzo

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    Book preview

    Quattro viaggi in India - Claudia Marforio

    VIAGGIO 1

    Aveva appoggiato i gomiti sul bancone e teneva lo scontrino in bella vista tra l’indice e il medio in una posa che allo stesso tempo sembrava rilassata e denotava l’urgenza di ordinare da bere. Dietro al bancone, un ragazzo stava miscelando con gesti rapidi ed esperti il contenuto di diverse bottiglie in quattro bicchieri affiancati. Attese le ultime decorazioni, frutta e cannucce, e appena il ragazzo ebbe spostato i bicchieri sul bancone affinché fossero ritirati lei si sporse in avanti e prese fiato per la sua ordinazione, ma il barista si rivolse a un’altra cliente dalla parte opposta, strappò lo scontrino che gli tendeva e cominciò a distribuire rametti di menta fresca in due bicchieri e a versarci sopra lo zucchero di canna. Il ragazzo che si trovava accanto a lei, anche lui in attesa di ordinare, incrociò il suo sguardo deluso e le sorrise. Lei sentì il calore divamparle in faccia e ringraziò la scarsa illuminazione del locale. Dopo una rapida alzata di spalle, si finse impegnata a guardare in direzione delle sue amiche sedute al tavolo a chiacchierare.

    «Piacere, Gabriele» si presentò lui.

    «Cede. Ciao» rispose lei sorridendo imbarazzata.

    «Cede? È un diminutivo o i tuoi avevano fantasia?» azzardò lui.

    «Entrambi. È un diminutivo di Mercedes e sì, i miei avevano fantasia come vedi!» disse lei in tono allegro. Poi finalmente il barista si rivolse a loro e riuscirono a ordinare entrambi.

    «Ti va se ci troviamo un tavolo e mi spieghi l’origine del tuo nome?» le chiese Gabriele. Lei arrossì di nuovo e si prese qualche secondo per valutare la proposta.

    «Facciamo così: mi bevo metà di questa birra con le mie amiche e le saluto. Poi ti raggiungo e la finisco con te» rispose finalmente, provocando un bel sorriso in Gabriele.

    Mezzora dopo Mercedes gli stava raccontando che il suo nome era stato uno dei pochi argomenti che aveva messo d’accordo i suoi genitori: la profonda devozione alla Madonna di suo padre e la singolare passione per i motori della madre trovavano una simbiosi originale e perfetta in quel nome esotico, e poco importava se quella scelta avrebbe gravato sulle spalle della loro unica figlia per tutta la vita.

    Si trovava a suo agio con Gabriele, lui la ascoltava con attenzione e sapeva risponderle con ironia. Gli confessò che Mercedes era un nome ingombrante, soprattutto sul lavoro. Ogni volta che mandava un’e-mail o quando stringeva una nuova mano, si presentava semplicemente come ingegner Marchesi. Suonava distinto, facile, netto. Ma poteva contare su una mano le rarissime volte nelle quali era riuscita a mantenere il lei con le imprese o con gli architetti con cui lavorava, in edilizia era praticamente obbligatorio iniziare a darsi del tu in poco tempo, e allora era costretta a pronunciare il suo nome per intero, Mercedes, perché utilizzare un diminutivo avrebbe comunicato una volontà di confidenza che avrebbe potuto essere d’ostacolo per il lavoro. Sentendo il suo nome per la prima volta, i suoi interlocutori non riuscivano mai a evitare di sgranare gli occhi. Alcuni annuivano pensierosi, la fissavano e le chiedevano se avesse origini straniere. Altri cambiavano subito argomento proponendo un caffè o sollevando improvvisi dubbi sul progetto o sul cantiere. Altri ancora scacciavano il primo pensiero di dire qualcosa di spiritoso giusto in tempo per capire che sarebbe stato inopportuno ed emettevano un ah che significava tutto e niente. I peggiori erano quelli che non si ponevano problemi a farle battute improbabili sulle automobili pensando di essere spiritosi e originali, il che costringeva Mercedes a togliere se stessa e i presenti dall’imbarazzo cambiando argomento.

    Quando Gabriele posò sul tavolo altre due birre e si risedette, Cede gli raccontò che era appena tornata da tre settimane a Varanasi, era già il suo quarto viaggio consecutivo in India e quell’anno era partita da sola e aveva deciso di provare l’esperienza di fermarsi in un solo posto. Aveva scelto il suo preferito. Gli spiegò che l’idea del primo viaggio era nato per caso, durante una lezione all’università sulla città di Chandigarh progettata dall’architetto Le Corbusier. Partì con una buona dose di incoscienza, senza alcuna preparazione sui luoghi che avrebbe visto e su come si sarebbe spostata, desiderosa solamente di andare. E poi ci tornò i due anni successivi senza alcuna esitazione, alla fine di ogni viaggio saliva sull’aereo con la sensazione di portare a casa un bagaglio ben più pesante e di avere ancora tanto da ricevere da quello strano e intenso Paese.

    Gabriele le raccontò che la sua idea di viaggio estivo era molto meno avventurosa e che da qualche anno viaggiava con un gruppo di amici prediligendo le mete soleggiate e il mare della Spagna e della Grecia. Solo una volta era uscito dall’Europa, aveva quindici anni e i suoi genitori portarono lui e sua sorella in Tunisia, in uno di quegli enormi alberghi con spiaggia e piscina da cui erano usciti raramente e solo per visitare il villaggio vicino.

    La relazione tra Mercedes e Gabriele nacque quella sera e fu da subito coinvolgente e appassionata. Dopo due mesi lei si accorse che si avvicinava la data che ogni anno si prefissava per l’acquisto del biglietto aereo per l’India e cominciò a introdurre l’argomento in occasioni diverse, stando attenta a non farne cenno se lui era di cattivo umore e a parlarne invece nel fine settimana quando entrambi erano rilassati, oppure durante l’aperitivo alla fine di una giornata di lavoro gratificante. A metà novembre, Cede cominciò a fare riferimenti all’India anche quando si trovavano nudi a letto. A Gabriele non sfuggì la sua insistenza a volte sottile e altre volte mal celata e un sabato pomeriggio mentre la stringeva a sé sdraiati sul divano le disse: «Guarda che ho capito cosa stai facendo.»

    «Oddio, cosa sto facendo?» domandò lei.

    «Mi riferisco all’India.»

    «Che? Ah sì, l’India. E cosa sto facendo con l’India?» gli chiese mal celando un sorriso imbarazzato.

    «Mi stai chiedendo di andarci insieme a te.»

    Cede si morse il labbro inferiore per mantenere un’espressione seria e con un filo di voce gli chiese: «E ti piacerebbe?»

    «Ma certo, perché no. Me ne parli in un modo così appassionato che non può essere un brutto posto. Per me va bene.»

    Lei lo strinse forte e non trattenne un urlo soddisfatto e felice. «Dammi il tempo di pensare a dove portarti. Anzi già lo so: il nord avrebbe un impatto troppo forte per un primo viaggio, c’è troppo caldo, troppo inquinamento, troppa gente…andiamo al sud. Mumbai è meravigliosa, coi suoi palazzi coloniali, i taxi gialli e neri…poi scendiamo lungo la costa, cerchiamo delle belle spiagge, non sono mai stata nel Kerala, ma forse è troppo turistico per i miei gusti. Aspetta,» Mercedes allungò un braccio, afferrò il cellulare e avviò Google Maps «ecco, il Karnataka deve essere molto bello ed è poco conosciuto. Oh, e mi piacerebbe andare a trovare Anita, ti ho parlato di lei, ricordi?»

    «Sì sì va bene, c’è tempo per organizzare tutto. Ora vieni qui…» la interruppe lui.

    «Beh c’è tempo fino a un certo punto,» proseguì lei indifferente alle sue iniziative «di solito prenoto in questo periodo per trovare i voli migliori come orari, date e prezzi. Che ne pensi?»

    Fu una novità per Gabriele trovarsi a organizzare o anche solo a pensare a una vacanza ben nove mesi prima della partenza, cercò di rimandare l’acquisto del biglietto aereo ma Mercedes sapeva essere convincente e lui ormai aveva capito che l’India faceva parte della sua compagna ed era curioso di affrontare un viaggio così lontano ed esotico. E notava come le brillavano gli occhi ogni volta che raccontava qualcosa dei suoi viaggi passati o di quelli futuri, sempre in India. La settimana successiva acquistarono il biglietto aereo, lei aveva già creato una cartella sul computer con un tragitto ben definito e altre informazioni utili che aveva raccolto in pochi giorni.

    «Cerchiamo di non litigare nei prossimi mesi!» si raccomandò Gabriele mentre lei lo stringeva e gridava di gioia dopo aver ricevuto l’e-mail di conferma dalla compagnia aerea.

    uno

    Una siepe bassa da cui a volte spuntavano enormi roditori color crema la separava dalla spiaggia davanti all'oceano Indiano. Era seduta per terra a gambe incrociate sul terrazzino della loro capanna fatta interamente in bambù, teneva in mano un libro aperto ma guardava la spiaggia.

    «Buongiorno. Che ore sono?» le chiese Gabriele mentre usciva dalla capanna con gli occhi ancora mezzi chiusi per la luce.

    «Buongiorno a te. Quasi le quattro.»

    «Iggy non c’è?»

    «Oggi non l’ho visto.» Iggy era un’iguana che transitava più volte al giorno sul parapetto del loro terrazzo, se ne stava immobile a godersi il sole e poi se ne andava. Mercedes da piccola sognava di averne una.

    «Cosa leggi?» le chiese Gabriele, mentre inspirava aria di mare a pieni polmoni aiutandosi con ampie bracciate.

    «Niente di che: rettiliani, complottisti, spiegazioni sulla morte di Lady D e altre cose che loro non ci vogliono far sapere…me l’ha prestato Anita. In realtà ora stavo guardando quanto resistono quelle due» e gli indicò due turiste in bikini, semisdraiate a prendere il sole, l’implacabile sole tropicale, e c’erano quattro adolescenti indiani che si erano seduti in modo da poterle guardare bene, a sufficiente distanza da non dar loro alcun motivo di allontanarsi, perlomeno senza sembrare prevenute. Gli indiani fissavano i loro corpi bianchi seminudi e ridacchiavano con discrezione dandosi gomitate e spinte per celare il loro imbarazzo: quello spettacolo dal vivo doveva essere un evento eccezionale per loro, una visione in tre dimensioni di curve che normalmente potevano ammirare solo in due dimensioni su un monitor. Sulle spiagge indiane, tutte le donne restavano completamente vestite sia fuori sia dentro l’acqua, e spesso anche gli uomini, forse per pudore, per proteggersi dal sole, o per semplice abitudine, entravano in acqua e ne uscivano con i jeans e le camicie fradici e aderenti al corpo bagnato. Le due turiste invece si mostravano indifferenti sia al sole pericoloso sia alle attenzioni maliziose dei ragazzi, forti della loro convinzione che anche in India fosse possibile andare al mare in bikini, perché Auroville non era proprio India, era un territorio autonomo e pertanto culturalmente internazionale.

    Le due ragazze avevano avuto un’altra idea che Mercedes trovava poco condivisibile in quel particolare contesto: quella di portare con loro un altoparlante che trasmetteva musica ad alto volume. Cede considerava quegli aggeggi come una delle più alte espressioni dell’egoismo umano, erano un elemento di disturbo impossibile da ignorare, un inquinamento acustico che poteva turbarla sia in una metropoli affollata, quando veniva superata da gruppetti di ragazzini arroganti con le loro radioline a tutto volume, sia nella più pacifica e sperduta spiaggia tropicale.

    «Sai cosa succederà un giorno?» chiese a Gabriele, e proseguì senza attendere la risposta «Che mi troverò da qualche parte nel mondo, in un luogo esotico e sperduto, e incontrerò un uomo, e ci presenteremo, e quando gli domanderò cosa fa di bello nella vita lui risponderà che vive di rendita perché è l’inventore degli altoparlanti portatili con cui adulti e ragazzini inquinano l’aria con la musica che piace a loro, incuranti del prossimo che magari ha gusti diversi, tipo il silenzio. E io lo colpirò. Con molta forza.»

    I suoi progetti di vendetta furono interrotti bruscamente dal suo intestino, che con una fitta dolorosa richiamò la sua totale attenzione. Per raggiungere il bagno comune doveva scendere dalla scaletta in bambù e superare le altre capanne, lo fece con passo svelto pregando che il bagno fosse libero. Quando tornò, Gabriele fissava il mare, le due ragazze se n’erano andate e lui ammise che stava cercando di scorgere delle pinne come il mattino precedente, quando lei aveva avvistato una pinna e si era messa a urlare dicendogli di correre a guardare perché c’era uno squalo, e poi le pinne erano diventate tre, poi cinque e poi avevano riconosciuto un branco di delfini che procedeva con movimenti ondulatori, ritmicamente e placidamente, su e giù e su e giù, a una cinquantina di metri e paralleli alla riva. Era stato emozionante e Cede prima aveva cercato di immortalare un'immagine comprensibile di quello spettacolo della natura, poi aveva afferrato il braccio di Gabriele e si erano goduti in silenzio quella meraviglia.

    La loro permanenza ad Auroville era durata più di quanto era stato previsto e dichiarato nero su bianco nella tabella preparata con minuziosa cura da Mercedes che scandiva i programmi di ogni giorno del viaggio divisi per mattina, pomeriggio e sera. C’era stato un imprevisto un mese prima della partenza: Gabriele aveva saputo che avrebbero posticipato un lavoro di cui doveva occuparsi personalmente e quindi avrebbe dovuto gestirlo durante la prima settimana del viaggio. Così erano rimasti a Chennai un solo giorno, giusto per prendere confidenza col nuovo fuso orario, con la temperatura, col cibo e col casino indiano. Avevano passato gran parte del tempo a dormire, il traffico e il caldo della città non li invitava a uscire. Si erano poi diretti ad Auroville, dove da qualche anno viveva Anita, amica di Mercedes conosciuta ai tempi dell’università. Lì avevano deciso di dormire in una capanna di bambù davanti all’oceano, dove c'era spazio solo per due materassi affiancati e protetti dalla zanzariera e per un grosso baule metallico con lucchetto in cui era possibile conservare gli oggetti di valore. La notte il silenzio era rotto solamente dall’infrangersi tranquillo delle onde poco distanti e dal vento che scuoteva le fronde delle palme. Da tre giorni avevano impostato una routine quotidiana, che avrebbero rispettato per altri due giorni prima di ripartire: la mattina Gabriele si chiudeva nell’internet point al centro di Auroville a lavorare, mentre Mercedes praticava Tai Chi Chuan e meditazione insieme a un gruppo eterogeneo di residenti e turisti da tutto il mondo: provava dolore alle gambe sotto sforzo, cercava di guarire i fastidi intestinali col respiro e si incolpava per essersi addormentata durante la meditazione. Poi raggiungeva Gabriele per pranzare nella mensa, nel pomeriggio tornavano alla capanna per rilassarsi e godersi un po’ di mare e la sera cenavano con Anita e la sua compagna Anke. Il secondo giorno Gabriele aveva confermato che gli sarebbero bastati solo altri due giorni per concludere il lavoro e poi avrebbe potuto archiviare il computer e sarebbero ripartiti con la mente libera.

    A Cede non era dispiaciuta quella sosta forzata, sia perché le aveva fatto piacere ritrovare la sua amica, sia per la curiosità di scoprire come fosse la vita in una comunità internazionale in territorio indiano, sia perché Gabriele era talmente preso dal suo lavoro da terminare che pareva non essersi accorto di trovarsi in India e aveva ben sopportato il clima torrido, l’aria pesante di Chennai e qualche problema intestinale nonostante si lavassero i denti con l’acqua minerale e mangiassero solo cibi cotti. Era il suo primo viaggio così distante e in un luogo così esotico, l’aveva intrapreso per lei e lei si sentiva responsabile del suo benessere, quindi era sollevata nel vederlo così tranquillo.

    Auroville non aveva l’aspetto di una città: era costituita da gruppetti di edifici sparsi nella foresta e raggiungibili solo percorrendo strade sconnesse in terra battuta e sabbia che passavano tra gli alberi e non mostravano altro lungo il tragitto. Mercedes aveva imparato a riconoscere le stradine secondarie in cui doveva svoltare per raggiungere i luoghi che le interessavano e i nomi sui cartelli che la aiutavano ad orientarsi. Avevano dovuto noleggiare due motociclette: lui aveva avuto uno scooter da adolescente e scelse un veicolo simile, lei invece optò per una motocicletta col faro tondo e il telaio piano come piacevano a lei, era molto leggera, riusciva a guidarla agilmente anche quando la strada in terra battuta diventava improvvisamente sabbia.

    Era quasi l’ora del tramonto quando chiusero la capanna col lucchetto e si avviarono verso il parcheggio. Mercedes inforcò i suoi occhiali a goccia, non tanto per entrare nel suo nuovo personaggio della motociclista, quanto per evitare che i moscerini la accecassero. La parte più delicata era superare la strada trafficata che costeggiava il mare e portava a Pondicherry. Mentre attendevano su un lato, davanti a loro sfrecciava ogni sorta di veicoli nelle due direzioni e nessuno pareva badare agli altri se non per intimare loro col clacson di farli passare. Mercedes aspettava il momento giusto, temeva che un’improvvisa accelerazione potesse far slittare la moto in avanti lasciandola appesa al manubrio. Quando finalmente colsero un sufficiente spazio tra i veicoli appena passati e i successivi in entrambe le direzioni, accelerarono con cautela e attraversarono la strada. Superato l'ostacolo peggiore, iniziavano stradine in salita che attraversavano villaggi ancora in territorio indiano. Qualche donna chiedeva un passaggio a bordo strada, loro sorridevano e passavano oltre con aria dispiaciuta, nessuno dei due aveva sufficiente equilibrio e dimestichezza per portare un passeggero e temevano le conseguenze di un’eventuale caduta. Quando l’asfalto si interruppe seppero di essere in territorio aurovilliano. Sembrava di entrare in una foresta, gli alberi non erano quelli di una giungla tropicale, erano meno rigogliosi, il terreno era sabbioso e arido. Mentre guidava Cede canticchiava Born to be wild: da quando aveva preso quella moto le veniva spontaneo, non riusciva a smettere, stava diventando fastidioso. Il vento addosso era piacevole, a volte dagli alberi proveniva una corrente d'aria gelida, ma era un istante e la sorprendeva. Non c’erano cartelli da seguire, procedeva guidata dalla sua memoria che spesso la tradiva per i volti ma era precisa per i luoghi.

    Giunsero davanti alla casa di Anita che era quasi buio. Mercedes la seguì in cucina per recuperare il piacere di una conversazione fatta dal vivo e non tramite messaggi vocali come quelle degli ultimi due anni, Gabriele intanto chiacchierava con Anke nell’altra stanza, poi si riunirono per la cena. La quasi totale assenza di elementi di arredo era compensata dalla presenza di numerosi scatoloni impilati lungo le pareti, alcuni erano stati utilizzati per comporre sgabelli e tavoli. E infatti Mercedes e Gabriele occupavano le uniche due sedie attorno all’unico tavolo, mentre Anita e Anke si erano accomodate a cavallo di due scatoloni.

    «Mi piace come avete arredato casa» ironizzò Cede.

    «Ah sì? Menomale perché non ho idea di quando avremo il tempo di trovare un furgone e andare a comprare mobili, non saprei nemmeno dove andare!» rispose Anita e proseguì «Ormai vivo qui da un anno e la mia roba starebbe tutta in due valigie al massimo. Da quando è arrivata Anke mi ha riempito la casa con questi scatoloni, contengono solo i suoi libri.»

    Intervenne Anke: «Spero di avere riempito la vita, non solo casa!» risero tutti, e aggiunse «Ho ancora dei libri in mio vecchio appartamento, prossima settimana porto ancora scatole e poi non possiamo avere più ospiti!»

    Cede si stupì dell’italiano quasi perfetto parlato da quella donna tedesca che li fissava con aria attenta mentre parlavano come se cercasse di perfezionare il suo dizionario. Notò che durante tutta la cena Anita e Anke si toccavano le mani, si guardavano, si facevano battute e frecciatine, fu contenta di vederla finalmente così felice.

    Il suo trasferimento ad Auroville non era stato facile. La scelta di lasciare l’Italia era stata dettata da diverse esperienze negative sul lavoro: laureata in design di interni,

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