Con il gladio e con il cuore
By Vivì Coppola
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Fantasy - romanzo breve (95 pagine) - Lo schiavo, l’arena e l’arpia
Darius sogna la gloria dell’arena. Orfano di entrambi i genitori, viene comprato come schiavo da un facoltoso mercante dell’antica Carthusia, e presto ne conquista l’affetto e la stima.
È proprio il padrone Marcus, organizzatore dei giochi imperiali, a introdurlo al duro mondo dell’arena e avviarlo alla carriera di gladiatore, nonostante la giovane età.
Ma saranno l’amicizia con Licia, una ragazza con il suo stesso sogno di gloria, e l’incontro con una strana creatura alata che sembra vegliare su di lui, a segnare la sua vita, insieme a una misteriosa profezia sulla salvezza dell’impero.
Vivì Coppola, è autrice di numerosi testi narrativi e poetici. Nel novembre 2011 ha pubblicato una raccolta di favole per ragazzi dal titolo Le favole di Gigagiò, Apollo Edizioni. Nel 2014 ha pubblicato le favole di Patatanche e Tarti, l’ambasciatrice di pace, Apollo edizioni. Nell’aprile 2017, in formato ebook, il romanzo fantasy I guerrieri della sposa del sole nella collana Odissea Wonderland, Delos Digital, e a luglio 2017, sempre per Delos Digital, il breve romanzo fantasy Un Highlander per amico. Nel novembre 2018 è uscita per Apollo edizioni la favola La casa delle farfalle, a novembre 2019 il romanzo fantasy Il verso del leopardo, Le Mezzelane editrice, e a giugno 2021, nella collana Innsmouth di Delos Digital, il racconto fantasy Un dono per la vita.
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Con il gladio e con il cuore - Vivì Coppola
1
Lo sguardo di Darius era perso nell’azzurro intenso del cielo.
Un minuscolo punto all’orizzonte che lentamente s’ingrandì fino a coprire ogni altra visuale. Ali gigantesche si muovevano lentamente, con un ritmo cadenzato ed elegante, ma l’ombra che proiettava sul terreno non somigliava a nessun volatile che conoscesse.
Come mai quella strana creatura, di tutta la grande Carthusia, seguiva proprio lui, uno schiavo mingherlino orfano di guerra? Non era la prima volta che avvistava il marpies da lontano, eppure tutti quelli con cui ne aveva parlato gli avevano detto di non aver mai visto una bestia simile.
Darius s’incantò a osservare il volo planante dell’essere, che sfruttò il soffio ventoso degli dèi per appollaiarsi in cima a un grosso pietrone poco distante.
Ma cosa faceva… si stava avvicinando?
Nella stomaco, Darius avvertì una contrazione e le gambe gli si gelarono.
Quando l’essere si posò, le penne delle ali catturarono i raggi solari e si accesero in mille riflessi iridescenti. Al centro del viso quasi umano, dal marcato naso aquilino simile a un becco e la larga fronte, si accesero due occhi dorati.
Il suo sguardo si piantò in quello di Darius, che arretrò e si portò una mano sul petto, come se quel gesto potesse domare il batticuore.
– Ciao – lo salutò, tentennante. – Io… ecco, si può sapere perché mi segui sempre quando mi allontano dalla città?
Lo sguardo del marpies non era animalesco, i suoi occhi brillavano di intelligenza. Sembrava quasi che potesse parlare da un momento all’altro, ma non disse nulla.
– Non vuoi mangiarmi, vero? – gli chiese Darius grattandosi la testa. – Sai, ho pensato di chiamarti Elia. Ti piace?
Il marpies emise un verso simile a una risata e con un rapido scarto si librò nell’aria. In pochi battiti d’ala tornò a veleggiare nel cielo come un magnifico vascello, lasciando Darius a bocca aperta.
– Addio, Elia! – lo salutò, sperando che quel nome fosse di suo gradimento, e rimase a scrutare tra le nuvole finché l’essere divenne un puntino indistinguibile.
2
Darius correva a perdifiato. Il suo primo compito del giorno era prendere il pane dal fornaio e farlo arrivare ancora caldo sulla tavola dei padroni, e nessuno lo batteva in quello.
Saltellò sui pietroni della strada lastricata, evitò un paio di carretti e assaporò il vento che gli sferzava la pelle del viso. Se apriva le braccia gli pareva quasi di volare come il suo amico speciale.
– Dove corri, Darius? – gli gridò dietro il vecchio ciabattino. – Per caso ti sei messo in testa di gareggiare con i maratoneti?
– Certo che no – rispose lui senza fermarsi – io sarò un gladiatore!
Fece lo slalom tra un branco di galline e raggiunse la dimora del suo padrone: Marcus Sidonia Albinus, ricchissimo mercante di stoffe e, da pochi mesi, organizzatore di giochi nientemeno che al grande anfiteatro Olimpicus Stadium.
– Ecco il pane, ancora caldo e croccante, padrone – disse Darius posando il contenuto della sacca sul tavolo del padrone, che spiluccava della frutta in modo distratto. – Sono pronto ad accompagnarti all’anfiteatro per i preparativi dei giochi.
Marcus sputò i semini dell’uva in terra e lo guardò alzando un sopracciglio.
– Mi dispiace, ragazzo, ma oggi non puoi accompagnarmi.
Darius s’imbronciò.
– E perché?
– Devi sostituire uno degli inservienti che si è ammalato. Ho bisogno che tu ti occupi del mio studio.
– Ma padrone…
– Lo so che per te è una delusione – gli disse l’uomo carezzandogli la testolina riccioluta – ma se ti sbrighi potrai raggiungermi.
– Sì, padrone – sbuffò Darius, e non appena Marcus fu uscito, si diresse verso le sue stanze private.
Il numero dei papiri arrotolati sulle scaffalature era impressionante, dovette montare su una scala per arrivare a spolverare ogni singolo ripiano. Mentre svolgeva quelle faccende così noiose, si domandò con quale celebre gladiatore stesse parlando il suo padrone in quel momento. Si perse a fantasticare sull’ultimo combattimento a cui aveva assistito e poi immaginò di trovarsi lui stesso al centro dell’arena.
Alzò il panno per spolverare e si mise a lanciare sferzate in aria contro nemici immaginari. Così facendo, colpì senza volerlo un rotolo di papiro da un piano molto alto e lo fece rotolare in terra tra la polvere.
– Oh, no! – gridò e si affrettò a scendere per recuperarlo.
Per i calzari del dio Pan, ma quanto era pesante? Visto che il sigillo si era rotto, Darius lo srotolò. Era scritto con elegante calligrafia e il titolo era inciso in lettere dorate, che baluginarono catturando la luce emessa dalle numerose vetrate che illuminavano la stanza.
– L’Alata Profezia
– lesse Darius ad alta voce.
Iniziò a scorrere lentamente lo scritto. Il suo entusiasmo si spense quando capì che erano parole senza senso, forse scritte in una lingua sconosciuta.
Eppure il titolo era perfettamente comprensibile! Com’era possibile?
Tornò a scorrere l’interno e scorse delle raffigurazioni di animali fantastici.
Un rumore improvviso e delle voci provenienti dalla stanza vicina lo fecero sobbalzare. Darius iniziò a riavvolgere di corsa il rotolo, ma proprio in quel momento dal papiro si propagò una specie di strano bagliore. Lo scritto prese a pulsare come fuoco e per qualche istante i caratteri divennero comprensibili.
Era una specie di poema.
Sincrone l’ali spiegate al vento
a veleggiar decise con un sol intento
solcano il ciel come in un mar veliero
cavalcante l’onde maestoso e fiero.
Vigili aleggiano senza rumore
elette idolo di un gladiatore,
per l’odio eterno il fato è segnato,
tu il gladio solleva che sei il designato!
Darius rimase a bocca aperta. Cosa volevano dire quegli strani versi?
Dei rumori dal corridoio lo allarmarono. Stava arrivando qualcuno, forse uno degli altri inservienti. Lui si affrettò a riporre il rotolo misterioso sullo scaffale e tornò a spolverare, quando Marcus entrò nella stanza.
– Padrone, già di ritorno?
Marcus scosse la testa. – Ho cambiato idea, ti porto con me.
Darius sgranò gli occhi. – Sul serio?
Si fermò con lo straccio a mezz'aria.
Marcus sorrise. – Dico sul serio, voglio farti vedere qualcosa. Che c’è, preferisci restare a spolverare?
Darius lanciò per terra lo straccio e corse dietro di lui.
3
L’ampia strada lastricata di pietre sagomate ad arte si stendeva tra edifici monumentali e alberi maestosi e sullo sfondo torreggiava la sagoma imponente dell’Olimpicus Stadium. Mentre si avvicinavano all’edificio il cuore di Darius prese a battere all’impazzata: in quel luogo erano riposti tutti i suoi sogni.
Una volta arrivati davanti allo stadio, i centurioni di guardia salutarono Marcus con un profondo inchino.
– Ave, nobile Marcus! – dissero in coro.
Il mercante ricambiò il saluto sollevando il braccio destro e proseguì oltre a passo sicuro. Appena varcato il grande arco di pietra, il silenzio fu rotto da dei nitriti nervosi.
– Per tutte le stelle! – esclamò il padrone a un inserviente che transitava lì accanto, afferrandolo per un braccio. – Che diamine succede qua dentro?
L’uomo deglutì rumorosamente. – Sono arrivati i cavalli e gli elefanti, nobile Marcus, stavamo cercando di sistemarli.
Marcus divenne paonazzo.
– Incapaci! – sbuffò. – Dimmi, dov’è il responsabile della consegna?
– Nelle stalle – tentennò l’inserviente. – Sta cercando di capire come sistemare i nuovi arrivi.
– Vedremo dei veri elefanti? – domandò Darius speranzoso.
Aveva visto dei pachidermi raffigurati su dei rotoli, si diceva che fossero alti come un palazzo! Un verso poderoso e altisonante risuonò nell’aria, come per rispondergli.
Marcus lasciò andare il servitore e per un momento sembrò placarsi.
– Esatto, ho fatto arrivare degli elefanti per aprire la sfilata – rispose compiaciuto, portandosi le mani sui fianchi – e stalloni arabi per arricchire lo spettacolo con gli aurighi. Pensa, ragazzo, ai prossimi giochi sarà presente l’imperatore in persona!
Darius spalancò gli occhi. Ecco perché il padrone era teso. I giochi si tenevano ogni due anni, e non sempre il grande Nereus presenziava.
– Ma dici sempre che il nuovo imperatore è un tipo strano e che non ti piace.
Il padrone lo zittì con uno scappellotto. – Sciocco! Non devi mai dire certe cose fuori dalle mura di casa. La presenza dell’imperatore è un onore impareggiabile.
Darius si massaggiò la nuca indolenzita. – Va bene, chiedo scusa…
Marcus sospirò e il suo volto barbuto si irrigidì di nuovo. – Ora dobbiamo trovare il responsabile di questo sfacelo. Stammi dietro.
Darius era curioso di sapere come mai il padrone se lo stesse portando dietro, ma non voleva guastare tutto con le sue solite domande inopportune, così chiuse il becco e lo seguì.
Entrarono in un vasto piazzale, dove c’erano dei giganteschi animali grigiastri incatenati a un palo.
Gli occhi di Darius si sgranarono per lo stupore. Non pensava che al mondo potessero esistere bestie tanto grandi. Ci mise qualche