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Essere fuoco
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Essere fuoco

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Fantasy - romanzo breve (65 pagine) - Misteri secolari, un mago e la sua gatta, tre apprendisti appena ragazzi e le scimitarre dei guerrieri d’una tribù barbara: il primo romanzo breve del ciclo Sword, Sorcery and Cats porta il lettore tra giungle e creste laviche di un’isola infestata da incubi, dove spade e magia da sole non possono assicurare la sopravvivenza.


Quanto accadde nell’ormai disabitata isola di Maipro dopo l’arrivo di quello che sarebbe diventato Re Grefijar Loderale è un mistero da più di ottocento anni. Vincendo le resistenze dell’Accademia di Magia e della famiglia reale di Iliad, Emith-Frael è riuscito a organizzare una missione archeologica sul posto. L’accompagnano la sua gatta Frenia, tre giovani apprendisti che l’accademia gli ha imposto con i finanziamenti per la spedizione, e una squadra di mercenari barbari ingaggiati a sue spese. Le ricerche rivelano fatti inspiegabili susseguitisi nei secoli e la morte d’un membro della missione è il preludio all’orrore. Il passato prova quanto pericoloso può essere concentrare troppo potere nelle mani di uno solo, il presente ripete la lezione nel modo più spietato.

Essere fuoco è il primo romanzo breve del ciclo Sword, Sorcery and Cats di Andrea Guido Silvi.


Andrea Guido Silvi è nato a Rieti nel 1981. I viaggi e le letture di H.P. Lovecraft, E.A. Poe, E. Salgari, C.A. Smith, J.R.R. Tolkien, King, Chambers e Howard sono le sue fonti di ispirazione. È stato finalista al Trofeo RiLL e ha pubblicato racconti sulle riviste Dimensione Cosmica e Italian Sword and Sorcery. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo Rodi. Il sorriso del Colosso.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateSep 21, 2021
ISBN9788825417487
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    Essere fuoco - Andrea Guido Silvi

    Introduzione

    Nell’immaginario di massa il Fantasy, grazie a cinema, televisione nonché giochi da tavolo e videogame, ha acquisito caratteristiche sintetiche sicuramente riduttive ma ben definite. I draghi e le fatine rimandano in realtà a un sottogenere, ma è stato facile per i più farne simboli di tutto ciò che è fantastico, e quello che viene più propriamente detto high fantasy ne è divenuto bandiera. Stando così le cose, è naturale che intorno all’high fantasy continui a concentrarsi la produzione mainstream. Al di là della qualità di tutta questa produzione, spesso non altissima, io ritengo che i cliché e i topoi diventati sintesi del Fantasy abbiano ancora da dare. Alle volte pare addirittura che i lettori si accontentino della loro presenza, senza neppure richiedere un minimo sforzo d’innovazione… Ovviamente come autore produrre qualcosa che non tenti di essere nuovo, originale anche se nel rispetto del gusto del genere, è impensabile e contro-istintivo. A me piacciono le contaminazioni, per cui draghi, maghi e folletti possono diventare personaggi di storie investigative, dell’orrore o d’avventura. A questo unisco la mia passione per i gatti, ottimi co-protagonisti che con eleganza riescono a non essere mai troppo ingombranti. Nasce dal mio amore per loro tutto il lavoro intorno al progetto Sword, Sorcery and Cats, che ha visto finora racconti finalisti in diversi concorsi letterari, alcune pubblicazioni su riviste e l’organizzazione insieme all’Associazione Italian Sword and Sorcery del Concorso per Racconti e Illustrazioni Cats of Sword and Sorcery che ha portato, anche grazie al contributo di autori validissimi, alla pubblicazione dell’antologia omonima. I gatti possono sconfiggere i mostri più terribili che minacciano i loro compagni umani, sanno curare il male oscuro riportando calore e gioia. Del resto, come ho già scritto in un altro racconto con gli stessi protagonisti di quello che segue, i gatti sono i migliori guardiani contro le creature del buio. Perché i gatti vedono nell’oscurità, e vedere nell’oscurità non vuol dire vedere bene anche con poca luce.

    Andrea Guido Silvi

    L’approdo

    3° giorno di Arrivo

    Basso Berdor del Sud, Arcipelago delle Nuuwhar, Isola di Maipro. Dal 3° al 17° giorno di Arrivo dell’anno 737 dal Mare Ritirato

    L’aspro profilo dell’isola vulcanica si stagliava a ovest, bluastro contro il cielo violetto, privo di nubi, della mattina appena cominciata. A quella distanza non sembrava più grande dell’unghia d’un pollice, tanto alta quanto larga, e presto avrebbero iniziato a coglierne i colori: il nero e il rosso delle sue falesie, il grigio di valli e balze incuneate tra i costoni rocciosi, il verde acceso della vegetazione lussureggiante che lambiva la costa del tutto priva di spiagge. Nelle vesti di cotone color carminio, ornate da melograni d’argento, l’Uomo dagli occhi grigi, una figura asciutta e slanciata contro il vento, osservava la meta avvicinarsi studiandone i dettagli. La sua Gatta calico, in perfetto equilibrio sul corrimano dell’impavesata, gli stava al fianco, condividendo con lui la vista stupenda.

    Il Sole e le sue prime, piccolissime, sorelle minori erano da poco sorte a poppa: Rahada e Vuhur, le prime a sorgere delle tredici Luci del Giorno, erano già alte, e Mahon splendeva chiara direttamente sopra il disco solare quasi del tutto emerso dalle acque. Con l’alba a poppa, la caracca, la Serena, solcava il mare placido puntando dritta verso Maipro, la più occidentale delle Isole Nuuwhar. La prima stagione delle tempeste s’era appena definitivamente conclusa e, all’inizio dell’estate, le lunghe giornate si facevano presto calde. Solo una settimana prima sarebbe stato facile imbattersi in un violento fortunale, invece quella mattina il quadro era incantevole. Erano così smentite anche le dicerie superstiziose dei pescatori continentali, che evitavano tutto l’arcipelago, parlando di tetre isole perennemente avvolte da nebbie funeree.

    Emith-Frael, mago accademico, aveva da tempo imparato a diffidare della superstizione: non che sottovalutasse i rischi cui alludeva, ma sapeva che studio e arte divinatoria, nelle giuste condizioni, potevano darne una spiegazione razionale e, il più delle volte, fornire interessanti spunti per approfondimenti. Del resto, se avesse dovuto dar vero ascolto alle credenze popolari, non avrebbe certamente potuto godere della compagnia di un Gatto.

    La sua Gatta, Frenia, non lo abbandonava mai: snella e aggraziata, lo raggiungeva ovunque in pochi balzi e si sedeva sulle zampe posteriori, vigile con le orecchie dritte, quasi fosse la guardia del corpo del mago. Era il suo famiglio, legata a lui da un amore viscerale. Indifferente alle occhiatacce superstiziose dell’intero equipaggio, ben pagato per accettare la presenza d’un Gatto, Frenia aveva trascorso le sue giornate a bordo andando praticamente ovunque volesse, contendendosi i pochi topi della stiva con i grossi e pelosi ragni domestici beniamini della ciurma. Emith-Frael aveva organizzato quella costosa spedizione provvedendo a tutto e, grazie ai denari che avevano consentito l’intero armamento della nave, l’incolumità e totale libertà di Frenia erano garantite. Era assurdo, pensava spesso Emith, che di sovente occorresse qualcosa di così banale come il denaro per poter assicurare la serenità di un Gatto, un animale antico e di grande potere. Ma la superstizione considerava i Gatti creature di cui diffidare, e la profezia che li voleva schierati al fianco del Dio Imperatore Iarai nell’Ultima Battaglia della Guerra più Grande, quando il Dio si sarebbe risvegliato per affrontare e finalmente distruggere le schiere dei Demoni, era ormai ricordata solo da pochi sacerdoti.

    Tre settimane addietro la caracca aveva salutato i giganteschi leoni di diaspro a guardia dei porti di marmo di Iliad, la Città dei Melograni, con un equipaggio d’ogni razza e colore della pelle, prezzolato ma capace. Tra Uomini d’ogni dove, si vedevano alcuni Nani dei Tre Picchi, validissimi marinai, e due Elfi bruni del Groviglio, decisamente fuori dal loro ambiente. Sedici mercenari barbari, venuti da una delle tribù nomadi degli Aizi, erano stati aggiunti da Emith-Frael all’ultimo: erano Uomini delle savane dell’est, dalla pelle olivastra e gli occhi a mandorla, con membra possenti e lunghe barbe e capelli neri, legati in trecce ornate da gemme e perle. Tutti armati di scimitarra e arco lungo, rispondevano al comando del più anziano, Omanji, quello dall’aspetto più vigoroso e feroce, con i lunghi capelli brizzolati e una brutta cicatrice sulla fronte. Legami di sangue e parentela ne facevano un gruppo compatto e affiatato.

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