Quanto vale l'1%
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Quando si incontrano nei rispettivi ruoli, di avvocato e commissario, al centro di una complessa indagine su un tentato omicidio, le cose cominciano a prendere una piega inaspettata. Fra inganni, tradimenti, segreti tenuti nascosti per anni, Alice e Riccardo sono più coinvolti di quanto si possa pensare. Nessuno è insospettabile, e forse scavare nel passato può far male, ma per quanto si cerchi di allontanare la verità, il cuore prima o poi troverà la strada per smettere di scappare. Perché ci si perde soltanto per ritrovarsi.
Alessia Cocchiola vive in Abruzzo, ha diciotto anni e frequenta l’ultimo anno del Liceo Scientifico. Pratica la pallavolo a livello agonistico. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo romanzo, Al Bivio Dei Sogni e sulla sua pagina Instagram (@alessiacocchiola) condivide con più di undicimila followers i suoi pensieri e le sue poesie: una sorta di diario sul web.
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Quanto vale l'1% - Alessia Cocchiola
1. Alice
Quando ero piccola, mia nonna me lo ripeteva sempre: «Si sistemerà tutto». Io la guardavo e smettevo di piangere. «Che ne sai?» le chiedevo. Lei sorrideva, poi mi abbracciava e sentivo le sue parole all’orecchio: «Ci pensa la vita».
Guardami adesso, nonna. La mia vita sarà l’eccezione.
Io negli occhi ci ho scritto tante cose. Appunti, rumori, nomi, anche se alcuni di questi solo a matita.
Sono gli occhi i bagagli più pesanti che ci portiamo dietro, e dentro. E in tutti i posti in cui sono stata non ho mai guardato niente allo stesso modo.
Roma oggi sembra più piccola, mentre scendo i gradini della metro a Termini e mi preparo alle interminabili scale mobili.
Spingo i passeggeri senza accorgermene e corro, anche se non ho un posto dove andare, come se il mio posto fosse un luogo che si chiama lontano.
Provo a non pensarci, ma continuo a sentire delle fitte alla pancia. Qualcosa si è rotto, dentro di me, oggi pomeriggio.
L’anello di Luca brilla al mio dito. Tra un mese scandirà il nostro per sempre
. Che vuol dire per sempre
, poi? Che non ci posso ripensare mai più.
Svolto per l’entrata ai treni, finalmente, e sento il respiro stanco.
Questa non è una semplice fermata metro, c’è una doppia fila di binari che scorrono in direzioni opposte e una banchina larga e unica.
L’altoparlante dice di non oltrepassare la linea gialla, ma nessuno lo ascolta. Credo che gli uomini abbiano un debole per tutte le cose che non si possono fare, le cose proibite.
Stacco il filo dei pensieri perché noto che un ragazzo, dall’altra parte dei binari, mi guarda. Un brivido mi scuote, come una chiamata in piena notte.
È Riccardo. Quel Riccardo.
Sette miliardi di persone, cinque continenti, centinaia di stati, migliaia di città. E poi, Roma.
Tre milioni di abitanti, tre linee della metro, decine di fermate, centinaia di treni ogni giorno, e noi dovevamo avere gli stessi orari.
Adesso è come se dieci anni fossero durati un secondo solo perché la vita si è distratta. Ha fatto una retromarcia sbagliata, e siamo finiti fuori strada. Ai bordi di un passato trascurato, che non ha il diritto di cambiare idea.
Doveva pensarci prima. Io sto per sposarmi. Non è il momento. In realtà, con lui non lo è mai stato.
Riccardo ha gli occhi come le pagine di un libro, con gli angoli piegati al nostro capitolo.
La prima volta che ci siamo visti io avevo tredici anni, e non sapevo a cosa servissero gli occhi. Non conoscevo la differenza tra vedere e guardare.
Riccardo mi ha insegnato a usare gli occhi, da quando lo sentivo spingere dentro i miei come per rompere muri che mi portavo dentro. Avevo la sensazione che mi conoscesse più di chiunque altro, come se potesse leggermi dentro e in fondo sapesse tutto ciò che volevo.
Gli occhi possono fare tante cose, oltre che guardare.
Ci sono occhi che urlano, parlano, sorridono. Ci sono occhi che fanno progetti, altri che li cancellano.
Io vorrei solo guardarlo, e smettere di innamorarmi, perché esistono storie complicate, e la nostra è una di queste.
Storie che non racconti mai, perché non è mai il momento, perché tanto non capirebbero.
Storie che ti porti dentro, che non si raffreddano con il tempo, ma non lo sai cosa c’è dietro. Storie che non hai mai capito.
Se chiudo gli occhi, di noi ricordo che stavamo ridendo, dopo non lo so cos’è successo.
Ci guardiamo come fosse uno sguardo casuale. Come fosse semplice ricominciare. E invece non sappiamo da dove cominciare.
Se Riccardo mi entrasse in testa, si stupirebbe di come riesce a farmi sentire, non crederebbe che al mondo possa esistere qualcuno che pensi quello che penso io.
Possibile che non mi sia mai accorta di quanto mi vada stretto questo anello.
Rivedersi dopo tanti anni è una cosa che capita, ma la vita va capita. Il passato è passato, ma è difficile accettare, mentre passava, cosa succedeva, se restava.
Mi ricordo ancora l’ultimo giorno di scuola del quinto anno di liceo, e l’entusiasmo che avevano le mie amiche. Quell’entusiasmo che a diciannove anni ti fa sentire che hai tutta la vita davanti.
Io le guardavo, e mi chiedevo a cosa sarebbe servita la vita davanti se io, la mia persona nel mondo, l’avevo trovata.
Qualche giorno fa credevo finalmente di aver intuito che mi sbagliavo, che quello che volevo era qualcos’altro.
Adesso non so cosa mi prende.
Sento un rumore acuto che proviene dalla galleria. È il treno di Riccardo, che prende posizione, e taglia il filo sottile che ci unisce. I finestrini, dapprima sfocati, si fermano come di regola, e archiviano tutto.
Torno alla normalità, non è successo niente.
Nessun problema.
Riccardo prenderà quel treno.
Era quello che volevo, no? Staccare i suoi occhi dai miei. Però come una figurina che si stacca da un album, si straccia a metà, e un pezzo rimane attaccato.
Istanti.
Non mi ero mai accorta che un treno fosse così lento a ripartire.
E se ci avesse ripensato?
Sento il rumore delle porte chiudersi, ma prima che potessi accorgermene, arriva il mio.
Bella mossa.
C’è un momento esatto nella vita in cui ti chiedi: e adesso? La risposta è che adesso inizi a scrivere tu.
Tra tutte le persone che scendono, nessuno fa caso a me, mentre tocco il fondo su una piscina, e non sono in grado di risalire.
Qualcuno mi spinge, urla qualcosa che non capisco, tipo togliti, blocchi il passaggio. Senza capire che qualcun altro lo sta bloccando a me.
Mentre io sono solo di passaggio.
Indietreggio.
Le porte si chiudono e, allontanandosi, mi svuotano dentro.
Guardo dall’altra parte dei binari. Le cose stanno così. Riccardo non c’è.
L’anello sta per bloccare la circolazione sanguigna.
Ci sono ricaduta, ancora una volta.
Tra noi è finita tre volte.
La prima volta, eravamo dei ragazzini, troppo immaturi per prometterci quello che sentivamo. Quando tra noi è finita, lui ha continuato a guardarmi con gli occhi che aveva quando abbiamo iniziato, con gli occhi che aveva la prima volta che mi ha chiesto di uscire. E per me, che mi ero innamorata del suo modo di guardarmi, non era semplice far finta di niente, non poteva non rimbalzarmi in mente. Poi ho capito, e capisco anche adesso. Lui mi guardava così non perché era innamorato, ma perché guardava così chiunque, perché quelli erano i suoi occhi, dolci e penetranti allo stesso tempo, ed erano loro lo spettacolo quando mi guardavano, non io.
La seconda volta è stata quella letale. Non c’erano più colpe da scaricare, eravamo grandi, ed è dipeso tutto da noi. L’ultima volta ci siamo visti la sera del mio esame orale di maturità. Lui era con i suoi amici, e stavano bevendo seduti in un locale. Aspettavo che il suo sguardo mi chiedesse di avvicinarmi, ma non successe. Mi tornavano solo in mente le sue parole, buttate lì senza una spiegazione. Così andai da lui, mentre le mie amiche cercavano di fermarmi.
Ci siamo guardati, e io ho pensato Calmati
. Lui stava ridendo e, appena mi vide, sembrò morire.
«Riccardo…».
La mia voce, incerta.
Esitò nel rispondere, quando il suo migliore amico, Davide, gli diede un colpo sul petto.
«Lei lo sa?».
Guardai Riccardo, perché non capivo, e lui allontanò con una mano Davide.
Poi si girò verso di me, alzando il mento, con gli occhi socchiusi. «Tu sei?».
Certo che una persona può distruggerti. Si, che può farlo. Perché io non ascoltavo le risate dei suoi amici, per me non erano niente, ascoltavo soltanto lui.
Ha distrutto tutto con un paio di occhi.
Prima di andarmene, ha cambiato sguardo, come volesse dirmi ti avevo avvisata.
Il mondo mi aveva avvisata. Le mie amiche. Tutti. Quando credi in qualcosa, non ascolti nessuno.
La terza volta è stata oggi.
Ci sono storie che sono autolesionismo.
Perché io lo sapevo dalla prima volta che ci siamo parlati, che mi avrebbe spezzata, e che più sarebbe andata avanti, più avrei creduto che non l’avrebbe fatto, così il dolore sarebbe stato ancora maggiore. Lo sapevo che ci avrei creduto troppo, perché ci credevo già dal primo sguardo.
C’è un sottilissimo confine tra bene e male. Quello è l’amore. È possibile stare bene, mentre ci si fa del male, e viceversa. Si può scegliere di cadere, solo per provare a volare qualche secondo.
Perché è così che funziona il mondo, ci si innamora dell’unica persona con cui non potrebbe mai funzionare.
Fisso il tabellone in alto con i prossimi orari della metro. Quattro minuti. Per un attimo non ricordo più dove dovevo andare.
Vorrei stare calma. Fisso i binari vuoti davanti a me. Sono paralleli tra loro. Come due rette. Come me e Riccardo.
Due rette parallele non si toccheranno mai, però sono brave a tenersi la mano.
Mi giro.
Riccardo è a un metro da me, che ansima per la corsa.
Cosa?
La nostra vita come un film.
Non è possibile.
Le sue labbra staccate da una scultura classica. «Alice…».
«Riccardo…».
I nostri occhi si slacciano solo per girare intorno a due corpi cambiati.
Riccardo è magro, alto. I capelli neri lievemente ricci gli incorniciano il viso, abbinandosi a un paio di occhi lucenti di quello stesso nero cattivo che descrive il buio in una stanza e fa rabbrividire.
Mi viene vicino, tanto vicino. Riesco a sentire il suo profumo a base di vaniglia e caffè che l’olfatto fa penetrarmi in gola. È lo stesso, incredibile. Ha lo stesso profumo di dieci anni fa.
Io lo guardo, esterrefatta da quell’atteggiamento sicuro che non esita su ciò che vuole.
Sento di avere le labbra secche. «Credevo avessi preso quel treno…» dico.
Alza le spalle, mettendo