Pitagora e lo sciamano
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Pierfranco Bruni
Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all'Estero, è presidente del Centro Studi “Grisi”.
Ha pubblicato libri di poesia (tra i quali "Via Carmelitani", "Viaggioisola", “Per non amarti più", "Fuoco di lune", "Canto di Requiem"), racconti e romanzi (tra i quali vanno ricordati "L'ultima notte di un magistrato", "Paese del vento", "L’ultima primavera", “E dopo vennero i sogni", "Quando fioriscono i rovi"). Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D'Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro. Numerosi sono i suoi testi sulla letteratura italiana ed europea del Novecento.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. Ha scritto, tra l'altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo", giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra lingua.
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Pitagora e lo sciamano - Pierfranco Bruni
Pierfranco Bruni
Pitagora e lo sciamano
immagine 1The sky is the limit
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Indice dei contenuti
Amor che la vita rese fatale
Severina è invecchiata
Ermegilda dalle ciglia finte
La vita è un dettaglio di appuntamenti
Un amore cinico ridicolo
Il mare nell’ora del vento
La notte è un incendio
Larga è la strada e poche le parole
I cieli chiari e la luna sul mare
La vita è più della scrittura
I segreti sono la vita
Sulla spiaggia di Metaponto
Giorno d’autunno
Isabella scagliò tuoni e lampi
Nuvola Selvaggia ad Aquila di Luce
Sorgente di Luna e Tempesta di Crepuscolo
Ho visto i cigni volare
Lo sciamano mi chiese
Nuvola Selvaggia ad Aquila di Luce
Raccontando con varianti in variazione di anni
Un tempo era sempre festa
Notte di San Lorenzo
Gioco a recuperare i ricordi
In quel mio mare
Tra le nuvole dei monti
Post di ciò scritto prima
Il mare sbatte contro le dune di sabbia
Un tempo era sempre festa
I Greci non sapevano navigare
Un poeta che cantò l'utopia
Nel mare di Pitagora
Lungomare di palme
Gli ulivi nelle notti di luna
Prima del Post
Post di ciò scritto prima
Nello specchio di Leonardo
Gabriel e la voce di Leo
Nello specchio di Leonardo
Uscì dal Cenacolo
Partirò per Magdala
Post di ciò scritto prima
Amor che la vita rese fatale
Tanto tempo fa inventarono il c’era una volta.
Fu il mito! Il fuoco incendiò tutte le notti e rimasero solo le stesse e i sogni.
L’amore visse di nostalgia. Ogni amore cercò la notte degli incendi.
Ma non tutti ci riuscirono. Questo ha raccontato Nuvola Selvaggia ad Aquila di Luce.
Severina è invecchiata
Il venditore di sogni mi chiamò. C’era la notte, una notte di fuoco, ma la luna era stanca e i ricordi occupavano la strada. E i pensieri penetravano le ore. Ore nell’attesa. Ore dopo ore. E l’alba si annunciò.
Il venditore di sogni, allora, mi raccontò la sua infanzia e mi parlò di come le ore si inseguono, una dietro l’altra, infinitamente una dietro l’altra sino a ritrovarsi nella voce del tempo. Mi parlò di un paese in cui la pioggia cade a fili sottili e non smette mai. La pioggia nel vento e il vento tra le stagioni. E poi mi raccontò una storia.
Avevo quaranta anni. Un bel giorno conobbi Severina. Giocammo. Sorriso tra le labbra e l’ironia nei silenzi. Sulla battigia i segni delle onde. Ma il tempo non si fermò. Ci giurammo eterno amore. Le storie sono nel tempo e nella vita. E così ci perdemmo lungo l’alba dell’autunno. Io ho tra le mani i suoi capelli e si allungano e lei disegna rondò in una Venezia perduta. Un amore perduto tra le parole che non raccontano più. E si ascolta il vento, l’eco, il mare. Sulla battigia ci sono orme e luci spente. Ci sono ricordi che non si ricomporranno e pagine bianche. Severina è un sogno. L’ho rincorsa per il resto dei miei anni. E lei mi ha rincorso. Ma non ci siamo più trovati. Il tempo è follia e la sua voce è nella mia. Non chiedermi perché sono andato via. Si va via perché si ha voglia di restare. E si resta insieme andandosene chissà dove. I porti sono sepolti e i nubifragi ci spingono al di là dell’isola. Severina è invecchiata tra le mie rughe ci sono i suoi ricordi e i miei sono tasselli irrecuperabili. Voci, segni, capelli intrecciati tra le mani. E le sue mani tracciano interminabili percorsi sul mio corpo. I suoi capelli si intrecciano con la luna e si fanno radici. Severina è nel paese delle nebbie e le ombre sono nella notte, sono appese a un filo di stella. La pioggia scivola sulla pelle e le sue labbra sono rosso velluto mentre non riesco più a comporre sogni. Severina è marea o scogliera o vento o tempesta o naufragio o isola. Avevo quaranta anni. E Severina mi regalava favole
.
Il venditore di sogni raccolse le parole e andò via. Lo cercai per giorni e giorni ma di lui nessuna traccia. Seppi, dopo molti anni, che aveva abitato per qualche notte la casa dell’aurora nel paese della terra e anche lì aveva raccontato altre storie e altri sogni, ma aveva sempre parlato di Severina.
Severina e il tempo. Severina e l’amore. Severina che è nel vento.
Poi ci furono alluvioni e i fiumi si imposero sulle terre tanto che si parlò di civiltà dei fiumi. E cancellarono ogni segno, ogni ombra, ogni raggio, ma l’impronta sulla battigia lasciata da Severina e il venditore dei sogni restò e mai si cancellò.
I fiumi si imposero. Si raccontarono altre avventure. Si raccontò la storia di una donna chiamata Giovanna che impazzì per la morte di Filippo. La chiamavano poi Giovanna la pazza e si scoprì che Filippo morì avvelenato perché si era innamorato della contessa della luna. Ci fu uno scandalo che coinvolse intere famiglie. Si costruirono leggende, vecchie e nuove, ma la verità fu lasciata nel paese della pioggia. Intanto Filippo morì per aver tradito Giovanna e Giovanna impazzì per aver fatto avvelenare Filippo, che fu trovato tra le braccia della contessa della luna, la quale fuggì su un cavallo di cera e non tornò più tra le sue stanze.
È questa la leggenda che si tramanda.
Dissero che Filippo era l’incarnazione del venditore dei sogni. Ma nessuno seppe la verità anche se di verità tutti se ne inventarono una. Le alluvioni non cessarono. Venne a trovarmi il signore delle albe e mi disse che era un artista. Dipingeva. Colori e immagini. Sulle tele compariva sempre un volto di donna con labbra rosso velluto e neri capelli intrecciati come se fossero radici. E occhi di mare. Anche lui mi raccontò di aver conosciuto una coppia di innamorati che per il troppo amore si erano lasciati e si rincorrevano nel tempo per non ritrovarsi più. Il signore delle albe partì nel crepuscolo dicendo, però, che sarebbe ritornato carico di sogni e di viaggi. Ma di lui ancora oggi non si sa nulla.
Incontrai altri venditori e mi proposero altre storie, ma raccontarle è dilungarsi troppo. Non vidi più il venditore di sogni. Lo conobbi che era già vecchio e anche Severina è ormai una attesa.
Le stagioni sono nel tempo e il tempo lacera il vento. È tardi nell’alba che segna tramonti e i tramonti sono già nella notte. Il venditore dei sogni è Filippo e Filippo è il signore delle albe. E Severina è l’amore perduto, è l’amore invecchiato, è l’amore impazzito.
Le parole si sono sgretolate e i tasselli si sono confusi. Il mosaico comunque ha tasselli mancanti.
Ma questa è un’altra storia che lascio al signore del mare.
Ermegilda dalle ciglia finte
Cavalli. Tonfo. Nella notte di Sibari le donne in tunica. I combattenti con lunghi capelli unti di gelatina. Vento di mare. Sibari precipita nel fiume. Si danzava. Canto ellenico. Sul viso un velo di seta e ai fianchi ramoscelli d’ulivo. Cosce brune. Il sole sulla pelle. Fuochi sulla sabbia. Si raccontano amori. Ermegilda dalle ciglia finte stringe le mani di Eusebio. Sulla sabbia di mare e di fuoco continuano ad amarsi. Ermegilda dice a Eusebio: Portami una stoffa di seta, vi inciderò due cuori e una spada e ne farò il lenzuolo nuziale. Carezzami i capelli, non ti fermare ora che il suono delle armi è vicino
.
Lampeggiano le ore. I cavalli portano armi e condottieri. Sibari vive l’ultima notte di Troia. Ma senza il cavallo dalle
grinfie di Ulisse. Elena è nel vento e Menelao regala anelli di oro. Achille ed Ettore ancora si sfidano sotto le porte scee. Penelope chiude il conto e intanto Crotone gioca alla guerra.
Afrodite distribuisce filtri d’amore e Venere classifica i sogni. Sibari è l’eleganza nel facile costume. Chissà se poi è vero del tutto ciò che di Sibari si narra. Ma è stata distrutta dai crotoniati mentre l’amore tra Ermegilda ed Eusebio si completava nella tragedia.
Tienimi con te, Eusebio. Danzerò i balli di Atene e ti mostrerò i miei passi nelle notti di luna o ai falò accesi sulla spiaggia. Amami nel grido delle armi, ma non morire ora che i cavalli sono giunti a due passi della città. Abbandona l’arma e la gloria. Ti avvolgerò nel kitone dei ricordi. Tienimi con te ora che il vento soffia e la polvere mi aggredisce. Ho bisogno delle tue parole e del tuo tepore. Tienimi con te
.
Un triste destino ci coglie, donna del mio dolore, donna perduta e ritrovata. Ma siamo discendenti achei e in queste ore il sangue sparso è onore ritrovato. Il nostro popolo scivolerà nel fiume e non ci ritroveranno più. Altre città verranno fondate, altri popoli abiteranno queste terre, ma noi saremo altrove. Che destino amaro. Le città dello Jonio si squarciano tra di loro. Non posso tenerti con me. Ho il cuore in fiamme. Aiutami a partire. Non vorrei che la tragedia mi cogliesse sulla spiaggia e che i cavalli nemici mi calpestassero senza alcuna mia reazione. Aiutami a partire e tu, insieme alle altre donne e ai bambini, cercate un riparo presso il Tempio di Atena
.
La notte si incendia. La cavalleria sibarita viene immediatamente circondata da quella crotoniata. I morti occupano le strade. Sibari è in fuga. Il destino si compie. L’agorà fiammeggia e la sua sorgente versa sangue. Nella città le acque del Crati. Era il 510 a.C.
Aiutami a partire, Ermegilda. Non posso restare. Vedi la sorgente che per anni era inattiva, ora versa sangue. Gli ulivi si sono fatti neri e le vigne non fanno più vino. Dovevamo pensarci. Resteremo abbagliati dalle armi dei nemici e la città scivolerà in una lava di sangue
.
Non ti aiuterò. Ho il colore dei tuoi occhi nel mio sguardo. Tu sei il dio che mi ha amato. Non ti farò partire. Moriremo insieme, calpestati, avvolti nel fango, trascinati dalle fiumare. Indossa il kitone, io ho la veste di seta trasparente. I miei fianchi sono onde. I capelli sono sporchi di sabbia e salsedine e tu hai la pelle di mare. Lasciati asciugare il sudore. Le mie labbra ti chiamano e tu sei nel sogno in questa notte di tragedia e di lutti
. "L’esercito è stato circondato. Non senti le urla. Lo schianto delle armi. I palazzi crollano. Sibari è in fuga. Perfino Atena ci ha abbandonato. Siamo un popolo che fugge dal suo triste destino. Non posso più restare qui. Oh, sciagurato… È atroce.
Le grida, il sangue, i cavalli… Ermegilda, Sibari muore….
Sono con te, Eusebio. I cavalli sono a due passi da noi.
Eccoli. Ma non aver paura. Il destino ci coglie e nulla noi possiamo. Il mare si è fatto sangue e dietro le colline nulla più si nasconde. Siamo insieme in questa ultima notte, mentre lo
scirocco si mischia con gli aliti di morte e il tempo scorre sul filo delle nostalgie. Le civiltà ci rimpiangeranno e si parlerà di noi, del nostro popolo, della nostra grandezza, della nostra eleganza e della nostra fine. Ci hanno aggrediti, ma questa morte non è la fine. Questa morte ci rende immortali. Tienimi con te. Ho uno squarcio sul fianco. Le tue labbra sanno di sabbia e di sangue…".
Questa morte ci rende immortali, hai detto. Ermegilda non morire. Il tuo velo bianco è di terra e di rosso… Ritornano i cavalli…
.
Tra i miei capelli le tue mani. Destini. Altri popoli giungeranno qui, civiltà abbandonate. Amore di sogno nella memoria diventata nostalgia
.
Nella notte di Sibari,