Federico Fellini: Visioni di Cinema Quaderni di Visioni Corte Film Festival
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Federico Fellini - Giuseppe Mallozzi
Giuseppe Cozzolino e Domenico Livigni
Da Zampanò ad Augusto: breve storia dell’antieroe felliniano
L’entroterra dell’Italia degli anni Cinquanta, ancora segnato dalle ferite della Seconda Guerra Mondiale. Le sue periferie fatte di emarginati e disperati alla tormentata ricerca di sopravvivenza ma anche di un senso alla propria esistenza. Molti registi si sono cimentati col racconto di queste realtà, ma nessuno ha saputo ammantarlo di una pregnanza tragica e poetica come Federico Fellini.
Chi di noi non si è lasciato suggestionare dalle musiche, dalle inquadrature, dai volti dei protagonisti de La strada? Un film che ha sessantasette anni, ma continua tuttora a coinvolgere emotivamente. Alla sceneggiatura lavorarono, oltre al regista, Tullio Pinelli e, come collaboratore, un intellettuale di razza come Ennio Flaiano, che curò anche i dialoghi. La strada si affermò in Italia e nel mondo in quegli anni per la capacità di Fellini di fondere quotidiano e dimensione onirica che tanto si allontanava dagli schemi scintillanti e plausibili di Cinecittà. «Qui Fellini», come scrisse Stefano P. Ubezio sulla rivista Cinema nel 1954,
abbandonando ogni stimolo realistico, entra nel vivo del suo problema personale: la solitudine dell’individuo, l’impossibilità di comunicare con gli altri. Esprime una condizione morale, da lui stesso vissuta; la rappresenta in situazioni estreme, raffigurate in personaggi-simbolo. Zampanò e Gelsomina: due personaggi che, per diverse ragioni, sono chiusi nella loro solitudine senza possibilità di contatti umani […].
Facente parte, insieme a Il bidone e Le notti di Cabiria, della cosiddetta Trilogia della salvezza e della grazia
, La strada segnò un taglio netto col passato neorealista e si collocò già in una prospettiva moderna. Le scelte adottate dal regista riminese rivelarono, fin dal principio, la presenza di autentica inventiva e immaginazione, capace di trasformare uno spettacolo in un miracolo di poesia, di unica e autentica bellezza, sfociando in momenti perfetti. Come le due figure, quelle di Zampanò e di Gelsomina, che pur completamente diverse, si identificano in una sorta di Giano Bifronte
, dove da un lato c’è il male e dall’altro il bene. I personaggi del film, infatti, sono il frutto di una sapiente miscela e di una non accidentale stratificazione di valenze emotive e simboliche. In tutti i suoi aspetti Zampanò (Anthony Quinn) rappresenta un tipo inflessibile, plasmato con la rudezza e la grossolanità dell’artista viaggiante, di «un essere senza anima», che fa il galletto con le donne, mostrando muscoli possenti e spalle quadrate. Invece, la figura di Gelsomina (Giulietta Masina) è esattamente l’opposto. Vestita da clown con una pallina rossa sul naso, impersona la purezza, l’innocenza dei bambini o dei santi ma, al contempo, raffigura anche l’assunzione di tutte le responsabilità, la vittima predestinata; la sua umanità, così fragile e delicata, si realizza pienamente e si rivela nella conclusione della storia. Infatti, dopo la morte del suo amico Matto (ucciso da Zampanò), impazzisce dal dolore e scappa via e quando, qualche anno più tardi, Zampanò viene a sapere che Gelsomina è morta, si getta in ginocchio sulla riva di una spiaggia e si mette a piangere come se avesse capito i suoi errori. Dopo che La strada vince il Premio Oscar come miglior film straniero, piovono sul tavolo di Fellini, da parte di vari produttori, proposte che riguardano il seguito di questo successo mondiale, con la conseguente commercializzazione della figura di Gelsomina. Ma il suo fare cinema ha altri obiettivi. Arriva, infatti, Il bidone, ritratto di Augusto, un uomo rozzo, spietato, che non ha muscoli possenti come Zampanò, ma è un truffatore, un uomo bravo solo nei furti e nei raggiri, abile con i suoi travestimenti e la sua retorica buona e malvagia. Però ad ogni inganno, l’angoscia di Augusto aumenta sempre di più e il regista, dopo l’ennesima truffa del protagonista, riserva allo spettatore più di una sorpresa. Insieme a dei complici, Augusto si presenta, vestito da monsignore, presso un casale di contadini, chiedendo del denaro col pretesto di dire delle messe per l’anima dei loro defunti. Augusto rimane colpito dalla presenza della figlia paralitica dei due contadini, ai quali ha estorto una grossa somma. La serenità e la mitezza della ragazza colpiscono il malvivente, che vorrebbe restituire il danaro, ma non lo fa. Giunto il momento di spartire i soldi con gli altri componenti della banda, Augusto dice di aver restituito il bottino ai contadini, ma non viene creduto e nel corso di una lite furibonda viene colpito alla testa. Rimasto gravemente ferito e, dopo essere stato perquisito dagli altri, che gli trovano addosso i soldi dell’estorsione, viene lasciato sul ciglio della strada dove muore solo e abbandonato da tutti. «Contrariamente a La strada», come Peter Bondanella analizza dettagliatamente, «Fellini non fornisce al proprio personaggio nemmeno un tocco di sentimento umano: Augusto è marcio sino all’osso e totalmente privo di ogni possibilità di redenzione, quella redenzione che Gelsomina aveva rappresentato per Zampanò […]».
Due anti-eroi (Zampanò ed Augusto) che coronano la prima fase dello straordinario percorso affabulatorio del regista riminese, al di là delle perplessità di critici come Guido Aristarco, e preparano il terreno a quello che diventerà il personaggio-emblema di tutto l’universo felliniano: il non meno cinico e disincantato Marcello de La Dolce Vita.
Bibliografia
Peter Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Guaraldi, Bologna, 1994.
Gian Luigi Rondi, Federico Fellini, Edizioni Sabinae, Roma, 2017.
Tullio Kezich, Federico Fellini. Il libro dei film, Rizzoli, Segrate, 2009.
—, Federico. Fellini, la vita e i film, Feltrinelli, Milano, 2021.
Italo Moscati, Fellini & Fellini. L’inquilino di Cinecittà, Edizioni Lindau, Milano, 2016.
Italo Moscati, Federico Fellini. Cent’anni: film, amori, marmi, Castelvecchi, Roma, 2019.
Enrico Giacovelli (a cura di), Tutto Fellini, Gremese Editore, Roma, 2019.
Marco Bianciardi, Da Luci del varietà ad 8 e ½ . Le tappe della difficile consacrazione simbolica di Federico Fellini, Diogene Edizioni, Pomigliano d’Arco, 2012.
Federico Fellini, Tullio Pinelli (con la collaborazione di Ennio Flaiano), La strada. Sceneggiatura, Bianco e Nero Editore, Roma, 1955.
Federico Fellini (a cura di Giovanni Grazzini), Intervista sul cinema, Editori Laterza, Roma-Bari, 2004.
Franca Faldini, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1935-1959, Feltrinelli, Milano, 1979.
Roberto Chiti, Roberto Poppi, Dizionario del cinema italiano. I film vol. 2, dal 1945 al 1959, Gremese Editore, 1991.
Gordiano Lupi
Federico Fellini tra pubblico e privato
Lo so, lo so, lo so.
Che un uomo a cinquant’anni
ha sempre le mani pulite
e io me le lavo due o tre volte al giorno.
Ma è soltanto se mi vedo le mani sporche
che io mi ricordo
di quando ero ragazzo.
Tonino Guerra – Io mi ricordo
Pier Paolo Pasolini scrive che la poetica di Fellini si avvicina molto alla poetica del Fanciullino di Giovanni Pascoli. Non ha tutti i torti. Fellini non ha figli come il suo grande conterraneo, si sente fanciullino e mantiene le difese dalla società, si ritira in perpetuo dal mondo degli adulti, resta incontaminato dal potere del denaro, è un monello furbo, bugiardo, dispettoso. Fellini è un uomo dalla personalità contrastante, ha un fisico massiccio ma sa essere dolce, furibondo quando si adira, infantile nei modi ma vecchio nel pensiero, alto come una montagna ma capace di farsi piccolo. I suoi occhi sono intelligenti e tristi, conservano nello sguardo un fondo di malinconia che indaga la vita degli altri con la curiosità intellettuale tipica del grande artista. Non è mai la stessa persona, il suo comportamento si adegua all’interlocutore, per questo ognuno racconta il suo Fellini e tutti questi ricordi umani possono essere veri ma contrastanti. Non è facile inquadrare il regista