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Ciulertola?
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Ciulertola?

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About this ebook

Ognuno di noi è caratterizzato da una molteplicità di sfumature, identità e atteggiamenti derivanti da un personale e unico percorso di vita. Esperienze, incontri e circostanze anche fortuite nel tempo plasmano la nostra identità e non sempre è facile prendere coscienza della nostra natura e della nostra indole. I brevi racconti raccolti in questa pubblicazione, che prendono vita sullo sfondo di varie città tra cui Parigi, Roma, Shanghai, Bangalore, Tokyo e Mosca, ci forniscono una sorta di percorso interiore partendo dalle esperienze dei protagonisti e, in particolare, dai tre modelli comportamentali interconnessi, come evidenziato dagli studi del neurobiologo Paul Donald MacLean negli anni Settanta sul cosiddetto “cervello tripartito”. Nel corso della lettura si andranno pertanto ad evidenziare l’approccio “lucertola”, che privilegia l’aspetto istintivo presente in ciascuno di noi, l’approccio più conservativo tipico della “tartaruga” e quello “ciulertola”, che mira al miglioramento del proprio essere. Un percorso di consapevolezza che ci fornirà degli interessanti e originali spunti di riflessione per sapere chi siamo e in quale di questi approcci potremo riconoscerci nel nostro personale e unico cammino di vita.

Michele Capaccioni è nato nel 1967. Si è laureato in Economia e Commercio all’Università di Perugia, città dove vive con sua moglie. Si occupa di ingegneria finanziaria e consulenza aziendale. Ama molto viaggiare e visitare i siti Unesco. Da quando aveva otto anni gioca a tennis ed è uno sperimentatore di sapori in cucina. Adora gli scacchi ed è ancora un ‘Gamer’.
LanguageItaliano
Release dateJun 29, 2021
ISBN9788830643840
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    Ciulertola? - Michele Capaccioni

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    A Rita, appassionata lettrice, compagna e musa

    e a tutti coloro che leggono per stare meglio.

    Capitolo 1

    La giornalista (lucertola)

    Parigi

    Ore 6:30 e la sveglia, come sempre, mi dà il tormento. È lunedì, l’inizio di una settimana che spero sia migliore di quella appena passata. Provo a poltrire i soliti 5 minuti e poi mi alzo. Pensò Lucia.

    Chissà che tempo fa. Se guardassi la sera le previsioni, potrei prepararmi i vestiti e spostare la sveglia di 10 minuti.

    Lucia è una giornalista di 35 anni, single. Si occupa di cronaca nera e ha una passione per la corsa all’aria aperta.

    Laureata in Scienze politiche all’università di Roma, dopo un breve periodo in uno studio legale dove svolgeva il lavoro di segreteria, è andata in Francia.

    Lì ha conosciuto Jean-Pierre, giornalista di moda parigino.

    Lì ha avuto l’ispirazione, anche lei avrebbe fatto la giornalista.

    Era una mattina come questa, con quella pigrizia nell’alzarsi dal letto, nel pensare alla solita routine della giornata, quando disse a voce alta: Cronaca nera. Mi occuperò di cronaca nera. E si ritrovò senza accorgersi seduta sul letto, con tutte le coperte quasi lanciate sul pavimento, ma ben sveglia e con un’idea finalmente chiara in testa. In quel momento la sveglia suonò. Erano le 7:30 e una voce parlava al radiogiornale del mattino di un incidente avvenuto nella notte, in una banlieue a nordest di Parigi.

    Girò la testa verso la sveglia, allungando la mano per spegnerla come faceva tutte le mattine, quando pensò:

    È un segno, ho avuto l’idea giusta, finalmente.

    Alzò il volume mentre si metteva una maglietta per non sentire freddo appena alzata. Corse in bagno a lavarsi, ma non prima di aver controllato se, poteva continuare ad ascoltare la radio.

    Era talmente eccitata dall’idea che senza rendersene conto si ritrovò in cucina a preparare il caffè, ma aveva ascoltato tutto. Il ragazzo ucciso nella banlieue era un autista e viveva in un quartiere a dir poco difficile. Secondo la polizia si era trovato in mezzo ad una sparatoria che faceva presupporre un regolamento di conti fra spacciatori. Probabilmente Amin, questo era il nome del ragazzo, era una vittima innocente, al posto sbagliato nel momento sbagliato. Appena la voce passò ad un’altra notizia, Lucia andò a spegnere la radiosveglia. Finì di bere il caffè con un cucchiaino di zucchero di canna, e prese la solita borsa dove teneva quasi tutto quello di cui aveva bisogno. Si guardò velocemente allo specchio, questa volta più rapida, e uscì di casa.

    Camminava svelta quella mattina, molto più veloce del solito, era talmente presa dai mille pensieri che affollavano la sua testa che aveva passato da un po’ la svolta per la via che la portava al lavoro, in quella brasserie sempre superaffollata di mattina. Quando se ne rese conto, si fermò. Invece che tornare sui suoi passi, si ritrovò a fissare un passante che parlava al telefono, e le scattò una pazza idea.

    Non sarebbe andata al lavoro, avrebbe avvertito che stava male. Girò l’angolo, prese il cellulare e chiamò la brasserie.

    Si strinse con due dita il naso fingendosi raffreddata, guardò la vetrina che aveva davanti in attesa che le rispondessero. Con tutto il casino che già ci sarebbe stato nella brasserie, era sicura di farla franca.

    Natalie? Ciao sono Lucia disse con voce gutturale.

    Che hai fatto? chiese, Natalie, la titolare che stava alla cassa e rispondeva sempre velocemente al telefono.

    Ho un brutto raffreddore e questa mattina (fece una pausa in cui accennò due colpi di tosse), proprio non ce la faccio a venire.

    Non ti preoccupare, le disse Natalie, riguardati e fammi sapere come stai nel pomeriggio.

    Va bene, rispose lei, grazie. E riattaccò.

    Era fatta, pensò. Adesso doveva impiegare quel prezioso tempo guadagnato, per capire come poteva diventare una giornalista. Doveva fare in fretta, ma una giornata a disposizione le sembrò più che sufficiente per elaborare un piano. Era sempre stata istintiva nelle sue decisioni.

    Per prima cosa passò all’edicola sotto casa e con voce squillante e un grande sorriso chiese:

    Le Figaro, Le Monde e... che altri giornali importanti vendi François? François, l’edicolante, fu stupito di sentire quella ragazza che vedeva uscire tutte le mattine dal portone di casa quasi di fronte alla sua edicola e che non aveva mai acquistato un giornale da lui, ma anche intimamente contento che lo avesse chiamato per nome, rispose pronto:

    Beh, alcuni comprano Liberation, molti mi chiedono Le parisien ma vendo tantissimi Equipe.

    Bene, lo incalzò lei, dammeli tutti!

    François, meccanicamente, con fare veloce prese tutti e cinque i giornali e li diede alla ragazza, che pronta chiese:

    Quanto fa? e lui come un automa: otto euro e sessanta rispose, rimanendo a bocca aperta nel vedere la velocità con cui quella ragazza estrasse i soldi dalla borsa, glieli posò sulla mano sfiorandola appena e dopo un:

    Grazie, François gli regalò il più bel sorriso che gli avessero mai fatto in edicola, sparendo dentro il portone di casa. Era rimasto con la mano protesa e i soldi sul palmo, pensando che lui non sapeva nemmeno come chiamarla, anche se lei sapeva il suo nome.

    Svegliaaaa, lo riportò alla realtà il nuovo cliente, L’Equipe!

    Ma certo, subito rispose François che si sedette come stralunato sul suo seggiolino.

    Lucia intanto era appena rientrata in casa. Aveva volato, su per i due piani delle scale. Entrò nell’appartamento, appoggiò i giornali sul tavolino davanti al divano, la borsa per terra, si tolse il giacchetto lanciandolo sulla poltrona e mise davanti a sé le prime pagine dei cinque giornali.

    Dopo un paio di intensi minuti passati ad osservarli, prese in mano Le Monde e disse: Incomincerò da qui!

    Marzo 2016

    Sono ormai passati più di tre anni e Lucia ora è una giornalista di cronaca nera per Liberation.

    È un mese ormai, che fatico ad alzarmi dal letto per andare al giornale. Pensò. È da quando è arrivato quello stronzo di Charles.

    Charles è il nuovo direttore di Lucia, il tipico giornalista politicizzato che ha scalato le responsabilità dei giornali grazie alle conoscenze in ambito politico.

    Francese di Auxerre, un opportunista di altissimo livello, con la passione per l’alta cucina, ma anche un insopportabile maschilista e sciovinista. Sono convinta che vorrebbe piazzare al mio posto quella sua amichetta che gli porta sempre il caffè la mattina. Ma se la pista che ho tra le mani adesso, va come deve andare, tra un mese, un bel calcio nel culo, glielo darò io a Charles. Si alzò dal letto, infilò le pantofole gialle e andò in bagno, come tutte le mattine, a fare la pipì. Si appoggiò il mento sulle mani e continuò a pensare come poteva accorciare il mese che aveva in testa. Doveva finire l’articolo sulle gang di spacciatori nelle banlieue il prima possibile. Si lavò, e fece colazione. Uscì sbattendo la porta e con passo rapido si ritrovò fuori dal portone quasi urtando un passante.

    Si incamminò verso la redazione. Appena svoltato l’angolo, tirò fuori il cellulare che utilizzava per contattare le sue fonti dal passato non proprio limpido. Scorse la rubrica su Stephan, il meccanico che amava lo sballo due volte a settimana. Lo chiamò.

    Ciao Stephan, sono io, disse, ho bisogno di sapere quando ci sarà quell’incontro che mi dicevi, e soprattutto, voglio esserci, questa volta.

    Ascolta Lucia, ti ho già detto che non mi devi chiamare il giorno. Sentiamoci stasera, dopo le otto. E riattaccò.

    Sì, sì, fai il duro, Stephan, ma questa volta farai quello che ti dico io. Vedrai. Borbottò tra sé, accennando un perfido sorriso.

    Arrivò in redazione che erano quasi le due del pomeriggio e notò che Charles non era in ufficio. Toh, sarà andato a mangiare con qualche politico pensò, la giornata riserva qualche gioia, ogni tanto. E si mise al lavoro.

    L’articolo era quasi pronto, le foto che aveva scattato fingendosi l’amichetta di Stephan nelle banlieue, la sera, quando il meccanico andava a cercarsi lo sballo, erano perfette. Facevano paura, scorrendole, tutte ravvicinate come la pellicola di un film.

    Mancava solo di parlare di come le gang si rifornivano. Certo, era la parte più pericolosa, ma senza questa parte, l’articolo era senza mordente. Doveva sapere da Stephan quando ci sarebbe stato il rifornimento e vedere se poteva giocare d’astuzia col pusher di Stephan.

    Ho visto come mi guarda, quello pensò, e se faccio finta di rompere con Stephan, magari posso passare la notte da lui; così vedrò con i miei occhi.

    Passò quella giornata di lavoro aggiustando qua e là l’articolo non senza tenere un occhio vigile sulle notizie che scorrevano dalle agenzie, ma non ci fu niente di interessante. Era una di quelle giornate noiose, e anche in redazione c’era una calma quasi da vacanza. Il bello fu che Charles non si vide per tutto il giorno e questo non le fece mai sparire il buonumore. Arrivarono le otto di sera. Lucia doveva chiamare Stephan. Questa volta, aspetterò che mi richiami. Dovrà essere lui a fare la telefonata.

    Vado a mangiare un boccone, disse passando davanti alla scrivania dell’amichetta di Charles senza degnarla di uno sguardo.

    Erano le 20:40 e ancora di Stephan nessuna notizia. L’attesa incominciava a diventare fastidiosa, ma Devo resistere, devo avere pazienza si ripeté, Voglio vedere come avviene il rifornimento, e per esserci devo aspettare che quel meccanico sballato sia più malleabile. Se lo chiamo con insistenza, alla fine farà il prezioso e mi farà aspettare ancora di più.

    Entrò nella brasserie vicino alla redazione e si sedette al bancone. Subito arrivò Nicolas, con la nuova pettinatura, la cambiava ogni settimana. Era il barista più sveglio e la salutò:

    Ciao giornalista, il solito?

    Lei annuendo rispose: Ciao Nicolas, vedo che anche questa settimana ti sei dato da fare con i capelli.

    Lui sorrise: Mi tengo allenato, per continuare a fare colpo sulle ragazze.

    Dopo pochi secondi Lucia addentava il solito panino, aveva davanti una bottiglietta d’acqua naturale fredda e il bicchiere con il vetro appannato a metà. Mangiò distrattamente, sorseggiando ogni tanto un po’ d’acqua. La sua attenzione era rivolta al cellulare e allo squillo che aspettava.

    Salutò Nicolas con un cenno della mano e uscì, ritornando verso la redazione. Erano passate le 21:30 quando controllò il cellulare, mentre saliva le scale per tornare in ufficio. Vide che c’era stata una chiamata da Stephan, Cazzo, esclamò a voce alta.

    No, le disse Renaud, il giornalista che si occupava di politica estera, che la incrociò per le scale, quello è solo un telefono e rise continuando a scendere le scale.

    Lo so che sei un intenditore, Renaud, non riesci a pensare ad altro, eh? Rispose secca, e lui dal fondo delle scale:

    Dovresti scopare di più! E lei a voce più alta: Con te proprio non ci riuscirei, sudi troppo già da prima.

    Finì di salire le scale in fretta, entrò in redazione con il cellulare in mano e disse che doveva uscire subito: aveva ricevuto una telefonata da una fonte ed era importante. Chiamò Stephan e aspettò che parlasse lui per primo al telefono: Pronto disse il meccanico, perché non hai risposto? Sei ancora arrabbiata per stamattina?

    Ecco le parole magiche che aspettava, Certo; sei stato uno stronzo. In quel modo, parli alle tue ochette senza cervello. Se ci riprovi ancora a farlo con me, non ti azzardare neanche a richiamare!

    E poi come farai? la incalzò lui.

    A fare cosa? rispose lei.

    A divertirti come fai con me.

    Ascolta, Stephan, stasera proprio non ho voglia di sentirti, spero di essere stata chiara e...

    Aspetta, aspetta, ho capito, scusami la interruppe lui, domani sera avrò conferma per quello che vuoi. Questo venerdì dovrebbe essere il giorno giusto. Passarono alcuni secondi di silenzio, Lucia si era messa una mano in bocca per non far sentire l’urlo di gioia che le stava per uscire dal cuore. Allontanò il telefono dall’orecchio stendendo il braccio lontano da sé, si tolse la mano dalla bocca cercando di respirare normalmente.

    Allora, Lucia fece Stephan mi hai sentito? Mi perdoni?

    Passarono ancora alcuni secondi. Per Stephan sembrarono un’infinità e Lucia disse: Sì, ti ho sentito, Stephan, hai fatto l’unica cosa giusta che potevi fare dopo stamattina, ma non ti ho ancora perdonato. Chiamami appena hai la conferma. Ciao e... grazie.

    Va bene, rispose lui e buonanotte Lucia.

    Buonanotte Stephan. Appena chiusa la telefonata, Lucia liberò finalmente quell’urlo che aveva sopito, furono dei brevi ma intensi secondi di pura gioia interiore, È stata veramente una gran bella giornata! pensò, Ma dovrò prendere qualcosa per dormire, altrimenti resterò sveglia tutta la notte per l’eccitazione.

    Rientrata a casa si preparò la sua tisana preferita. Annusandola e assaporandola, pensò che questo mercoledì non lo avrebbe mai dimenticato, ripercorrendolo mentalmente dalla mattina, quando non voleva neanche alzarsi, fino all’urlo, fino a questi odori della tisana, fino a questo fumo che si alzava caldo dal suo bicchiere.

    Sorrise, soddisfatta, e andò a dormire.

    Il giorno seguente lo visse quasi come in trance, con momenti in cui si alternavano fastidiose insofferenze per l’attesa della conferma di Stephan e piacevoli emozioni per quello che stava finalmente per accadere. In un raro momento di lucidità pensò a come stesse vivendo quel giorno, era come se fosse in una bolla, non parlava o rispondeva a chi aveva intorno come se avesse interesse a farlo, ma era tutto finalizzato al suo lavoro, all’obiettivo che si era data. La mente le tornò indietro nel tempo, a quella mattina di tanto tempo fa, a come si

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