Amabili streghe. Arte e magie di Leonora Carrington e Remedios Varo
By Pina Varriale and Serena Montesarchio
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Amabili streghe. Arte e magie di Leonora Carrington e Remedios Varo - Pina Varriale
Amabili streghe. Arte e magie di Leonora Carrington e Remedios Varo
di Pina Varriale, Serena Montesarchio
Le immagini presenti nel volume sono state fornite per gentile concessione del dott. Pablo Weisz Carrington.
Direttore di Redazione: Jason R. Forbus
Progetto grafico e impaginazione di Sara Calmosi
ISBN 978-88-3346-863-1
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2021©
Saggistica – Arte
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Pina Varriale, Serena Montesarchio
AMABILI STREGHE
Arte e magie di Leonora Carrington e Remedios Varo
AliRibelli
Sommario
Prefazione
Leonora, mia madre
Leonora Carrington: l’alba della strega
Il volo della strega
Remedios Varo: i sogni e la vita nascosta
La Musa e il suo padrone
Remedios, l’amore sublime (e altre alchimie)
Il deserto e il giardino
La cucina delle streghe
Tra sogno e realtà
Illusioni e altri inganni
Tutti i mondi possibili
Bibliografia
Inserto fotografico
Prefazione
Non è facile per un artista raggiungere la notorietà ed essere apprezzato per il suo lavoro. La possibilità che il proprio impegno non venga riconosciuto per tempo appartiene alla storia di molti che hanno ottenuto una gloria postuma. Benché questo si sia verificato con una certa frequenza, si tratta di solito di riscoperte che riguardano soprattutto artisti di sesso maschile; assai di rado infatti abbiamo assistito al medesimo fenomeno per le donne. Esempi di artiste portate all’attenzione del pubblico sono limitati a rari casi, basti pensare al successo di Frida Kahlo decretato a distanza di più di sessant’anni dalla morte.
Guardando all’intera storia dell’arte, troviamo pochissimi nomi di artiste donne, tra cui Artemisia Gentileschi (1593-1653), Berthe Morisot (1841-1895), Tamara de Lempicka (1898-1980), ma le altre, nel frattempo, che cosa hanno fatto? Possibile che il sacro fuoco dell’arte abbia infiammato solo ed esclusivamente i cuori degli uomini, mentre le donne intente a curare la prole e la casa non abbiano avuto il tempo di dedicarsi ad altro?
In realtà, le cose non stanno affatto così e sono molti gli esempi di artiste che, nel corso dei secoli, hanno dato vita a opere meravigliose; eppure, nonostante la loro bravura, i loro nomi e il loro lavoro non sono noti se non a una ristretta cerchia di studiosi. Quale denominatore le accomuna? Perché a tutt’oggi artiste del calibro di Remedios Varo e di Leonora Carrington sono per lo più sconosciute? La risposta è semplice nella sua sconsolante essenzialità: si tratta di donne!
Senza voler operare una disanima dei fenomeni sociologici e politici che, nell’ambito di società fondamentalmente patriarcali, ha portato a considerare le donne come esseri che devono stare almeno un passo dietro
all’uomo, è abbastanza facile arguire che, oggi come ieri, essere una donna e per giunta dotata di un grande talento artistico non premia e non aiuta. Se ne sono accorte in tante prima di Remedios e di Leonora e ognuna, a modo suo, ha cercato di affermarsi senza però riuscirci. Il destino
aveva decretato per loro l’imprescindibile dovere d’essere madri, mogli o tutt’al più muse ispiratrici.
La contraddizione che riguarda la donna nell’ambito artistico è più evidente che altrove: infatti, se nella società le è stata riservata una posizione subalterna, qui abbiamo invece infiniti esempi di come la donna sia stata fonte di ispirazione per migliaia di scrittori, di musicisti e di pittori che l’hanno descritta come un essere straordinario capace di far elevare l’uomo fino al divino, la donna angelicata che rende possibile andare oltre la materialità, ma anche come una creatura senza morale né anima che può stregare
l’uomo e condurlo alla perdizione eterna. Donne da sempre amate purché oggetti passivi, fonte di ispirazione artistica ma non in grado di creare arte a loro volta.
A questo proposito, potremmo fare una serie di esempi, ma ci basta citare Salvador Dalí che considerava le donne incapaci di creare un’opera d’arte poiché, a suo dire, «la potenza creatrice si trova nei testicoli» o, in tempi recenti, Andrea Camilleri che era convinto dell’impossibilità da parte del gentil sesso di scrivere un thriller accettabile. Qualunque sia il campo, letterario, artistico, musicale in cui le donne si sono espresse, il giudizio degli uomini è stato sempre impietoso o, nel migliore dei casi, ha mostrato una benevola accondiscendenza verso questi tentativi
femminili che lasciavano il tempo che trovavano. Amate in quanto oggetti del desiderio o perché muse ispiratrici, ciascuno a suo modo ha cercato di possedere l’anima della compagna, della moglie, della figlia, della sorella e di plasmarla.
Il desiderio di dominare la donna tuttavia, nel corso dei secoli, non si è estrinsecato solo con il possesso fisico della stessa, ma inducendola a credere di avere qualcosa di meno
rispetto all’uomo. E questa presupposta inferiorità non riguarda solo la potenza muscolare o la resistenza alla fatica; include anche le capacità mentali che nella donna sono considerate minori o comunque non paragonabili a quelle dell’uomo. Decenni di lotta per il riconoscimento di uguali diritti hanno portato in molti Paesi al suffragio universale, ma a tutt’oggi, nelle stesse nazioni che si definiscono civili, assistiamo a palesi ingiustizie e a diseguaglianze mai sanate.
Il concetto della donna-strega
, nonostante il progresso tecnologico e scientifico, è al momento ancora in auge. Donna-strega in quanto capace di suscitare pulsioni irrefrenabili o di manipolare la volontà di chi le si accosta in virtù di un potere
intrinsecamente legato alla sessualità o alla conoscenza dei principi naturali.
Scrive Giordano Berti nel suo interessante saggio, Storia della stregoneria:
L’evoluzione del pensiero femminista verso una nuova consapevolezza del femminile suggerita dalla stregoneria moderna è all’origine, all’inizio degli anni settanta, di una delle più significative correnti della Wicca, definita «dianica» in quanto pone l’accento sulla figura della dea lunare Diana e sul culto della Grande Madre. […] L’apertura «ecumenica» a qualsiasi espressione del paganesimo, come pure l’assenza per ora, di una struttura ecclesiastica vera e propria […] hanno determinato il successo enorme di questa nuova religione fra le giovani generazioni.
Remedios Varo e Leonora Carrington hanno praticato la magia prima che le streghe
tornassero di moda. E hanno scritto, dipinto e realizzato opere di assoluta e incontestabile originalità. Spagnola la prima, inglese la seconda, si sono ritrovate a Città del Messico dopo aver vissuto esperienze diverse che le hanno profondamente segnate. Amavano dipingere, preparare pozioni magiche e filtri d’amore, consultavano i tarocchi e credevano in un mondo altro
che può essere conosciuto solo attraverso un percorso interiore, ma la loro magia
più grande è stata quella di dimostrare quanto sia stupido combattere una natura che non fa distinzione di sesso quanto a capacità, a intelligenza e a potenza creativa.
In particolare, per quanto riguarda il lavoro di Leonora, ci siamo limitate a offrire degli spunti di riflessione, lasciando a voi tutti, così come lei desiderava, la libertà di attribuirvi i più diversi significati.
Concludendo, ringraziamo il Dr. Pablo Weisz-Carrington per il commento introduttivo e per il permesso accordatoci alla pubblicazione delle immagini relative alle opere di sua madre.
Le Autrici
Leonora, mia madre
Leonora è nata il 6 aprile 1917 ed è stata l’artista più importante del XX secolo. Le artiste sono molto poco conosciute, perché discriminate. «Leonora era l’unica pittrice donna» disse Salvador Dalí.
Nessuno nella sua famiglia in Inghilterra sapeva capirla; specialmente suo padre, a cui sarebbe piaciuto che lei fosse docile e malleabile. Leonora invece era interessata alla pittura. Sua madre l’ha sempre sostenuta comprandole pennelli e colori. Andò nel continente europeo per imparare la pittura a Firenze, dove studiò i pittori del Quattrocento e altri grandi maestri come Artemisia Gentileschi.
Per capire la sua pittura bisogna avvicinarsi personalmente alle sue immagini: «Non farmi insultare la tua intelligenza spiegando il significato dei suoi quadri», è stata questa la mia risposta a un magistrato governativo che mi chiedeva di spiegare il lavoro di Leonora.
Ogni persona deve poter interpretare liberamente. Leonora non ha dipinto molte opere, ma quello che ha fatto è stato straordinario. Devi sempre dubitare dei nuovi dipinti di Leonora
proprio per questo motivo.
Leonora inoltre ha realizzato sculture meravigliose, presenti in vari musei, ad esempio nel Centro de las Artes en San Luis Potosí, Xilitla, Museo Leonora Carrington e in La Casa Museo Leonora Carrington UAM CDMX.
L’ingegnere Fermin Llamazares ha scritto e pubblicato un libro sulla scultura di Leonora, The Black Book, in cui parla di come lei lavorava con le sue sculture mostrando anche in questo campo una grande maestria.
Leonora ci ha lasciato il suo patrimonio artistico affinché noi potessimo goderlo e interpretarlo a modo nostro, come faremmo con qualsiasi grande opera d’arte che parla alla nostra sensibilità. Il resto sono solo parole…
Dr. Pablo Weisz-Carrington
Sette matasse mia figlia ha filato
Sette pozioni mia figlia ha mangiato
Ancor prima che il sole fosse spuntato.
Habetrot, fiaba celtica
Leonora Carrington: l’alba della strega
La casa non le piace, ha stanze troppo grandi e lunghi corridoi che si perdono in una tenebra sussurrante fitta di ombre maligne. Dalle alte finestre di quest’antica magione vittoriana non penetra luce ma soltanto una caligine perlacea che si insinua dappertutto, rendendo incerti i contorni delle cose. Le avevano promesso che non sarebbero mai andati via dal Lancashire, la terra dove è nata il 6 aprile del 1917, ma proprio quando cominciavano a sbocciare i teneri germogli che da sempre le confidano i loro segreti, i suoi hanno deciso di trasferirsi a Crookhey Hall.
Disegnata da Alfred Waterhouse, responsabile anche del Museo di Storia Naturale di Londra, (la casa, N.d.A.) […] ha una forte aria gotica. […] Un portico coperto protegge l’entrata, il salone dal soffitto alto ha il pavimento e le pareti rivestite di legno massiccio. Quando vi abitava Leonora c’era una sala da biliardo, una serra spaziosa […] un enorme salone, una biblioteca, una sala da pranzo e uno studio. Ai piani superiori vi erano sei stanze da letto, cinque spogliatoi, tre dei quali possedevano la camera da bagno e più di dieci stanze per la servitù.¹
Leonora ha appena tre anni ma ha già capito di non potersi fidare degli adulti. Suo padre Harold è un uomo dai rigidi principi col quale nessuno può discutere. A parer suo, per salvaguardare la posizione sociale ed economica della famiglia, bisogna essere attenti e inflessibili con chiunque. L’inganno è sempre in agguato e per chi come Harold che ha fatto fortuna solo di recente vendendo la sua azienda alla Courtaulds Corporations, e diventando poi il maggiore azionista della Imperial Chemical Industries, la prudenza deve essere doppia.
L’accortezza negli affari tuttavia non basta a farlo sentire al sicuro: per mantenere lo statu quo è indispensabile che tutti i membri della famiglia Carrington siano addestrati a dovere. Ecco allora che a Mary Kavanagh, una brava tata irlandese, viene affidato il compito di seguire i quattro piccoli Carrington e in particolare Leonora, che nonostante la tenera età ha già dimostrato di essere ribelle e insofferente a ogni disciplina.
Harold Carrington si augura che con una severa educazione ciascuno dei suoi quattro figli possa poi diventare un membro stimato e riconosciuto da quell’alta società di cui lui per primo ambisce di far parte a pieno titolo. Harold è certo di poter contare sulla collaborazione di sua moglie Maureen, che finora non ha mai osato mettere in discussione nessuna delle sue decisioni. Ma poi, a ben pensare, lui di che dovrebbe preoccuparsi? Maureen Moorhead, figlia di un medico di campagna, è una persona intelligente e, da saggia consorte, desidera uno splendido avvenire per i suoi figli. Per loro sarebbe disposta a fare qualsiasi cosa, forse perfino a dimenticare le sue origini irlandesi che la rendono, talvolta, un po’ eccentrica.
Harold ignora però che l’eccentricità non è una caratteristica esclusiva della padrona di casa. Neppure Mary, la tata, è una persona ordinaria! Come tutti quelli che vengono dalla magica terra d’Irlanda, la Kavanagh conosce i segreti magici e le leggende degli antichi Celti e, quando Harold è troppo preso dai suoi affari per controllare come procede l’educazione dei bambini, la tata, ma anche Maureen e la nonna materna, danno libero sfogo alla fantasia. Poco alla volta, coi loro racconti, le tre donne aprono alla piccola Leonora le porte del regno delle fate e dell’ignota dimora del sonno. Nella grande nursery, l’unico luogo dove la piccola Carrington si sente al sicuro dalle ombre minacciose della casa, fanno capolino le fantastiche creature che abitano i boschi. Non serve dire alla bimba che si tratta di sogni a occhi aperti: lei le fate le vede davvero, ne ascolta la voce e vuole conoscerne i segreti. La nursery è un luogo magico, proprio come il bosco che circonda la casa.
Diversi anni più tardi Leonora descriverà la sua stanza dei giochi nel racconto La dama ovale, pubblicato per la prima volta nel 1939.
Arrivate al terzo piano, entrammo in una immensa camera dei bambini, dove centinaia di giocattoli rovinati e rotti erano sparsi un po’ dappertutto. Lucrezia si avvicinò a un cavallo di legno, irrigidito in una posizione di galoppo malgrado l’età, senza dubbio non lontana dai cento anni.
«Tartar è il mio preferito», disse accarezzando il muso del cavallo «detesta mio padre».
Tartar si cullò graziosamente sul suo dondolo e io mi domandai come poteva muoversi da solo. Lucrezia lo fissò pensierosa, intrecciando le dita:
«Andrà molto lontano così» riprese «e quando tornerà, mi racconterà qualcosa di interessante».²
La magia non è presente solo nelle opere letterarie e pittoriche della Carrington. L’artista difatti ha imparato molto presto quanto l’elemento magico sia strettamente connesso alle forze elementari della natura che i suoi antenati ben conoscevano. I Celti distinguevano le differenti proprietà delle piante, delle erbe e delle pietre ed erano in contatto con gli spiriti che abitano la terra che onoravano e veneravano. In particolare il popolo celtico era devoto alla Grande Madre, la dea guerriera e generatrice di vita.
La figura della Grande Madre o Dea Bianca, simbolo di una femminilità a tratti oscura e misteriosa, affascina la piccola Leonora che ascolta, estasiata, quei meravigliosi racconti che, prima di lei, hanno ammaliato i suoi antenati. Ancora non sa quanto sarà difficile essere libera come la Dea davanti alla quale perfino i più forti e coraggiosi guerrieri si inginocchiavano.
Nella cultura celtica, la Dea Madre rappresenta la donna in tutti i suoi aspetti, da quello della maternità al potere magico che le deriverebbe dalla luna, ma questa divinità rispecchia anche il ruolo femminile nelle società dell’epoca: un ruolo che consentiva alle donne una grande possibilità di agire e di decidere della propria esistenza, un fatto di per sé non eccezionale essendo quei tipi di consessi civili normalmente fondati sul matriarcato.
Leonora ignora che nella società in cui le toccherà vivere il ruolo della donna è ben diverso da quanto si immagina e che, per quanto le possa sembrare strano, la sua libertà avrà la lunghezza della corda che vuole tenerla legata agli schemi e alle regole che, di giorno in giorno, le verranno imposti. Adesso è soltanto una bimba che sogna a occhi aperti ascoltando la melodia dolce delle fiabe irlandesi, capaci di dare vita a creature che per lei non sono affatto immaginarie. Quando fuori è buio e dalla stretta finestra della sua stanza non penetra neppure il chiarore della luna, è allora che le fate bianche vengono a farle visita per condurla in un mondo incantato che soltanto pochi hanno la fortuna di vedere.
I suoi magici amici le spiegano – quei sogni sono così reali! – quali erano per gli antichi Celti i momenti più importanti dell’anno. I suoi antenati erano persone semplici e non facevano che seguire il calendario solare: i giorni solenni o sabba maggiori coincidevano con i solstizi, mentre i sabba minori cadevano durante gli equinozi. L’anno magico cominciava il 31 ottobre ed era chiamato Samhain, ma il momento più bello era senz’altro Alba Hernin, il solstizio d’estate, quando tutte le creature, sia umane che magiche, erano in festa.
Leonora non sta nella pelle all’idea di poter festeggiare quanto prima il solstizio d’estate insieme ai suoi amici speciali, quelle strambe creature che ogni notte scivolano fuori dalle loro grotte per ripeterle che la loro realtà può essere osservata soltanto da uno sguardo innocente.
La regina delle fate esiste, e a lei – sì, proprio alla piccola Leonora – ha spiegato qual è l’unica regola a cui dovrà attenersi da qui in avanti.
Nessuno può comandare una fata. Nessuno può dirle ciò che deve fare. E quando ciò che ti circonda non ti piace salta in groppa al tuo cavallo e fuggi via.
Ma chi sono queste fate da cui Leonora è attratta al punto da dimenticare la realtà che la circonda?
Il termine Fata deriva dall’antico «faunoe o fatuoe» che nella mitologia pagana indicava le compagne dei fauni, creature dotate del potere di predire il futuro e di soprassedere gli eventi umani.
La denominazione Fata deriva anche da «fatica» parola che nel medioevo fu sinonimo di «donna selvatica», cioè di donna dei boschi, delle acque e, in generale, del mondo naturale. Le Fate sono esseri soprannaturali dotati di potere magico grazie al quale possono cambiare aspetto e farlo cambiare agli altri. Frequentano caverne, rocce, colline, boschi e sorgenti e sono pronte a correre in aiuto degli innocenti e dei perseguitati: riparano torti, vendicano offese, ma possono anche essere maligne e vendicative. Secondo la tradizione si vuole che presenzino alla nascita degli uomini per conferire loro doni particolari e influenzarne l’esistenza in modo benevolo o malevolo.³
Leonora vorrebbe conoscere qual è il dono che le fate le hanno fatto quando è venuta al mondo, ma loro non le rispondono, forse perché è troppo presto per rivelarglielo. A questo punto non le resta che ascoltare gli altri racconti, in particolare quello di Myrddin, colui che ha creato Stonehenge e ha custodito la spada Excalibur fino a quando non è arrivato il legittimo re d’Inghilterra a estrarla dalla roccia. Insieme ai suoi fantastici amici, Leonora visita il regno di Camelot e vede i cavalieri di Artù seduti intorno alla tavola rotonda.
Peccato che i suoi fratelli non si accorgano di nulla! Eppure molte volte ha spiegato loro come fare per parlare con le creature magiche. I suoi fratelli purtroppo mancano di immaginazione o semplicemente si rifiutano di guardare oltre