La luna di Palermo
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La luna di Palermo - Michele Sarrica
COMMENTO
di
Francesca Mazzola
La luna di Palermo
, silloge poetica di Michele Sarrica, nasce dall’angoscia che continua a tenere il mondo sotto scacco a causa della pandemia causata dal Corona Virus, conosciuto anche col nome scientifico, Covid 19. Questa raccolta, figlia legittima di un grumo di paure e di sentimenti contrastanti, è la risultante psico-emotiva dell’ansia e della sensibilità del suo au-tore consapevole degli effetti mortali di questo invisibile esserino di dubbia provenienza che, oltre alla strage iniziale perpetrata in tutto il mondo e i continui numeri dei contagi in costante e preoccupante ascesa, ci costringe a rimanere in casa per evitare di essere contagiati e di trasformarci in inconsapevoli untori
. Per proteggerci da tale invisibile nemico, con pun-tuali decreti emanati dalla Presidenza del Con-siglio dei Ministri, sono state chiuse molte atti-vità commerciali, compreso le scuole di ogni ordine e grado, i luoghi di culto, gli stadi, i ci-nema, i teatri, le palestre e tanti altri luoghi di svago dove si sarebbero potuti verificare degli assembramenti.
Anche i giardinetti pubblici sono stati inse-riti in questo lungo elenco di posti da non praticare. Mi chiedo quale attività umana non preveda un certo interscambio ravvicinato e, fran-camente, ne ho trovate davvero pochissime, difatti i nostri Ministri, per precauzione, hanno deciso di chiudere quasi tutto. Durante tale confinamento è stato adottato anche il termine in-glese lockdown
che in un certo senso rendeva più internazionale l’obbligo di rimanere in casa e di uscire solo in determinati casi ritenuti di particolare urgenza e necessità. Francamente, a causa di quei primi DPCM mi sono sentita con-dannata agli arresti domiciliari. In quei tristi e drammatici giorni, mi sono resa conto del gran-de valore della libertà e dell’importanza delle piccole cose, come uscire di casa quando se ne ha voglia, andare in pizzeria quando se ne av-verte il desiderio, fare una normalissima passeggiata, andare a trovare gli amici o fare visita ai parenti. In quei lunghi giorni di clausura, in molti ci saremo resi conto di quanto sia impor-tante la dimensione umana, certamente molto più confacente alla vita sociale, alla vita fami-liare e allo svolgimento di ogni attività lavora-tiva. Bisogna anche dire che durante tali necessarie limitazioni abbiamo riscoperto il piacere di parlare anche delle cose più banali oltre al piacere di condividere pensieri e preoccupa-zioni servendoci spesso anche del web. Inoltre, grazie alla forzata clausura, abbiamo potuto ri-spolverare passioni e hobby accantonati per mancanza di tempo libero.
Personalmente, per prima cosa, ne ho appro-fittato per effettuare una pulizia più capillare della casa. Ho anche sistemato degli album di fotografie, ho dato una sbirciata alla collezione di francobolli che raccontano la storia delle Repubblica Italiana, ho dato uno sguardo alle car-toline illustrate e ho persino riesumato una spe-ciale raccolta di santi e di santini. Davvero un lusso che non mi permettevo da anni!
Mi vengono in mente i diversi concerti musicali tenuti nei teatri
all’aperto dei balconi condominiali. Per l’occasione molti hanno ri-preso a strimpellare la chitarra e molti sono stati i musicisti che hanno rispolverato il pianoforte e dato fondo ai loro repertori.
A voi, amici, desidero confessare che anche l’autore di questa silloge si è lasciato andare alla sua vecchia passione di musicante, come ama definirsi. Con evidente esitazione ha tirato fuori dall’astuccio lo strumento con cui ha iniziato a suonare da ragazzino nella Banda Musicale di Castelbuono, diretta dal compianto maestro Loreto Perrini, lo ha guardato, come se si trattasse di una fanciulla dalle labbra morbide, ha pigiato sulla meccanica per constatare la funzionalità dei tasti e ha soffiato la sua emozione in quel Flicornino in mi bemolle . Non è venuta fuori la melodia di una maestosa sinfonia, così come mi aveva abituato ad ascoltare quando le sue dita, le sue labbra e i suoi polmoni erano in piena for-ma, ma per me è bastato riascoltare quella voce solista per sentirmi accapponare la pelle. Lui era visibilmente commosso! Certamente ricor-dava quando da quello strumento uscivano le arie più impegnative e drammatiche del vasto repertorio lirico italiano.
Durante la clausura ho notato un fiorire di foto pubblicate nei vari network, come Facebook, che proponevano pietanze di tutti i generi. In molti abbiamo dato sfogo alla voglia di cucinare. Presa da una strana euforia, mi ero proposta di fare del pane e di farlo all’antica, usando farina e lievito da impastare a mano. Desideravo ottenere delle pagnotte che richia-masse alla mente il pane di casa, simile a quello realizzato dai nostri nonni. Visti i primi falli-menti, mi sono ricordata di possedere una fiam-meggiante impastatrice elettrica. Con quella avrei sbalordito il mondo e me stessa. Ho ini-ziato a sperimentare diverse tipologie di farina, varie ricette e diversi tipi di lievito. Devo con-fessare che malgrado la mia buona volontà, mai una volta ciò che ho sfornato somigliava a una fresca pagnotta comprata al panificio, né come forma, né come