Germania (De origine et situ Germanorum)
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L’opera, che contiene oltre a quelli puramente descrittivi anche tratti sia moraleggianti che politici, aveva molto probabilmente, nelle intenzioni dell’autore, lo scopo non certo secondario di mettere in luce il potenziale pericolo rappresentato per la civiltà romana da genti fiere e indomabili che le legioni imperiali non erano mai riuscite a conquistare e ad assoggettare. La Storia infatti ci insegna quanto le popolazioni germaniche abbiano sempre rappresentato una spina nel fianco di un Impero, quello Romano, che già al tempo di Tacito aveva conquistato buona parte del mondo allora conosciuto, ma che era ancora ben lungi dall’aver avuto ragione (e mai, di fatto, lo sarebbe stato) di quei popoli che vivevano e prosperavano oltre il fatidico limes settentrionale dei dominî imperiali. Popoli che si sarebbero fatidicamente rivelati, nei secoli successivi, l’ultima risorsa civile e militare di una pars occidentis imperiale ormai in pieno e inarrestabile declino e, al contempo, anche i protagonisti del suo finale e tragico tracollo. Popoli che, infine, nell’alto Medioevo, avrebbero di fatto ereditato e fatto propria la tradizione latina nell’Europa Occidentale, come ci insegnano le vicende carolinge e la costituzione del Sacro Romano Impero.
La Germania di Tacito fu anche al centro, durante la Seconda Guerra Mondiale, di un vero e proprio caso politico e ideologico. Eletta alla stregua di “manifesto” del nazionalismo tedesco e della ipotetica purezza delle antiche tribù germaniche, attirò le mire di Adolf Hitler e di Heinrich Himmler, che tentarono, peraltro senza riuscirci, di impossessarsi manu militari del Codice Esinate, un manoscritto miscellaneo del IX° secolo contenente la versione più antica in circolazione dell’opera di Tacito, scoperto nel 1902 a Jesi nella biblioteca del Conte Baldeschi-Balleani.
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Germania (De origine et situ Germanorum) - Publio Cornelio Tacito
ROMANITAS
PUBLIO CORNELIO TACITO
GERMANIA
(De origine et situ Germanorum)
LOGO EDIZIONI AURORA BOREALEEdizioni Aurora Boreale
Titolo: Germania
Autore: Publio Cornelio Tacito
Collana: Romanitas
Con saggio introduttivo di Nicola Bizzi
Editing e illustrazioni a cura di: Nicola Bizzi
ISBN: 979-12-80130-76-1
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PUBLIO CORNELIO TACITO E IL FATIDICO LIMES SETTENTRIONALE DELL’IMPERO
di Nicola Bizzi
Il De origine et situ Germanorum
Il De origine et situ Germanorum, comunemente conosciuto come Germania, è un’opera etnografica scritta attorno al 98 d.C. da Publio Cornelio Tacito, storico, oratore e senatore romano, considerato unanimemente dai moderni storici e filologi il più grande esponente del genere storiografico della letteratura latina. Interamente incentrata sulla storia, le usanze, i costumi, le istituzioni e le tradizioni religiose delle varie tribù germaniche che vivevano al di fuori dei confini dell’Impero, la Germania è infatti l’unica opera a carattere squisitamente etnografico su un popolo straniero che ci sia pervenuta integra dell’antichità romana (se si escludono altre opere che, nel proprio contesto, contengono anche fugaci excursus di simile natura). Essa si inserisce perfettamente all’interno di quella consolidata tradizione etnografica antica che va da Erodoto e Senofonte, fino a Giulio Cesare, a Strabone e a Pausania, e che affondava le proprie radici in autori come Ellanico di Lesbo e Dionisio di Mileto, le cui opere sono (almeno ufficialmente
) andate perdute. Ciò non toglie che l’opera di Tacito si riveli anche come una creazione originale nell’ambito dei generi tradizionali delle letterature classiche, comprendendo anche parti storiche e geografiche, ma soprattutto ideologiche
, quasi da pamphlet.
Il testo del De origine et situ Germanorum inizia con la descrizione delle terre, delle leggi e del modus vivendi delle tribù di un vasto novero di popoli barbari, a partire da quelle confinanti con il limes imperiale e continua quindi con le descrizioni delle singole tribù, cominciando da quelle più vicine ai territori romani e terminando con quelle ai più estremi confini settentrionali, sul mar Baltico, con una descrizione dei primitivi e selvaggi Fenni e di sconosciute tribù al di là di essi.
L’opera è divisa in due parti: dal capitolo I al XXVII Tacito ci descrive la Germania transrenana, con dovizia di particolari riguardo al clima, al paesaggio e alla struttura sociale dei vari popoli che a quel tempo vi erano stanziati, raccontandone l’origine. Dal capitolo XXVIII al XLVI c’è una rassegna più specifica delle singole popolazioni seguendo un criterio geografico, vale a dire iniziando da Ovest, procedendo poi a Nord, a Sud e infine ad Est.
L’opera, che contiene oltre a quelli puramente descrittivi anche tratti sia moraleggianti che politici, aveva molto probabilmente, nelle intenzioni dell’autore, lo scopo non certo secondario di mettere in luce il potenziale pericolo rappresentato per la civiltà romana da genti fiere e indomabili che le legioni imperiali non erano mai riuscite a conquistare e ad assoggettare. La Storia infatti ci insegna quanto le popolazioni germaniche abbiano sempre rappresentato una spina nel fianco di un Impero, quello Romano, che già al tempo di Tacito aveva conquistato buona parte del mondo allora conosciuto, dalle Gallie all’Egitto, dalla Britannia alla Grecia, dall’Asia Minore all’Arabia, ma che era ancora ben lungi dall’aver avuto ragione (e mai, di fatto, lo sarebbe stato) di quei popoli che vivevano e prosperavano oltre il fatidico limes settentrionale dei dominî imperiali. Popoli che si sarebbero fatidicamente rivelati, nei secoli successivi, l’ultima risorsa civile e militare di una pars occidentis imperiale ormai in pieno e inarrestabile declino e, al contempo, anche i protagonisti del suo finale e tragico tracollo. Popoli che, infine, nell’alto Medioevo, avrebbero di fatto ereditato e fatto propria la tradizione latina nell’Europa Occidentale, come ci insegnano le vicende carolinge e la costituzione del Sacro Romano Impero.
Carta geografica del 1832 raffigurante la Germania al tempo dell’Impero Romano
Ai tempi di Tacito, che visse fra la seconda metà del I° e i primi due decenni del II° secolo d.C., quindi in un periodo storico convulso e interessante compreso fra il regno di Nerone e quello di Adriano, era ancora ben aperta nella coscienza popolare e nella memoria collettiva dei Romani (e mai si sarebbe del tutto rimarginata) quella ferita rappresentata dalla fatidica sconfitta militare della Foresta di Teutoburgo, quando, fra il 9 e l’11 Settembre del 9 d.C., tre intere legioni e numerose coorti ausiliarie dell’esercito romano comandate dal generale Publio Quintilio Varo vennero completamente annientate in un’imboscata tesa loro dal capo germanico Arminio. Una sconfitta a dir poco cocente, un’onta incancellabile nel mito dell’imbattibilità di Roma, addirittura superiore nelle sue implicazioni alle batoste prese dalle legioni imperiali dagli invitti Parti, che portò lo stesso Varo a togliersi la vita sul campo di battaglia e che, di fatto, spezzò per sempre i sogni di gloria di una conquista romana di quelle terre settentrionali fra il Reno e il Baltico.
Altra intenzione neanche troppo nascosta dell’autore fu quella di descrivere i puri e incorrotti costumi dei Germani per criticare indirettamente i corrotti e degenerati costumi romani del suo tempo. Ma non solo: Tacito intendeva anche istituire e rappresentare una sorta di parallelo tra quello che erano i Germani allora (un popolo rude e semplice e per ciò stesso valoroso in guerra) con quello che i Romani erano stati e ora non erano più, sempre a causa della loro decadenza morale. Una decadenza di cui l’autore, del resto, fu inascoltato accusatore e profeta.
Tacito, nella Germania, esalta il coraggio in battaglia, la semplicità dei costumi, l’alto valore dell’ospitalità e la stretta monogamia dei Germani, e dimostra una sincera ammirazione per la limpidezza morale e l’austerità dei costumi di quelle tribù barbariche, mettendo in contrasto tutto ciò, come già abbiamo detto, con l’immoralità dilgante e la decadenza dei costumi romani. Ma ciononostante, lo storico non risparmia aspre critiche all’ubriachezza, alla pigrizia e ad altri difetti di questi popoli. Studiosi moderni, soprattutto (guarda caso) di area tedesca o nord-europea, hanno comunque messo in evidenza come molte delle affermazioni tacitiane non siano del tutto corrette, anche perché egli potrebbe, in alcuni casi, aver