La tragedia dei soldati italiani in Russia
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Le lettere con gli auguri di Natale scritte dal fronte russo alle famiglie in Italia, rappresentano un momento durante il quale la guerra sembra sospendersi. Alpini, fanti, artiglieri, bersaglieri, scrivono a casa raccontando il quotidiano fatto di sofferenza, dolore, paura, ma anche di esaltazione per la prossima vittoria.
Un libro che per la prima volta raccoglie decine di cartoline in franchigia e lettere inedite, di uomini scomparsi nella neve dell’Unione Sovietica tra il dicembre del 1942 e il gennaio del 1943.
Una serie di testimonianze sull’orrore della guerra e sull’impossibilità dei singoli a capire la sconfinata crudeltà dei conflitti.
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Book preview
La tragedia dei soldati italiani in Russia - Arturo Morati
Copyright
© Copyright Tralerighe libri
© Copyright Andrea Giannasi editore
Lucca, agosto 2021
1° edizione
Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).
ISBN 978-88-32281-66-8
I lettori che desiderano informazioni possono visitare il sito internet:
www.tralerighelibri.com
Prefazione
La passione per il collezionismo e la Storia mi ha portato negli anni a raccogliere materiale storico-militare, in particolare sul Natale, partendo dalle Guerre Coloniali e arrivando alla Seconda Guerra Mondiale. Mi ha colpito questa festa perché è un momento intimo da trascorrere in felicità, in preghiera e in famiglia e non nelle trincee o sui vari campi di battaglia, in tanti casi al freddo e alle intemperie o nella peggiore delle ipotesi sotto attacco nemico con paura, tristezza, dolore, fame.
Nonostante la solidarietà cameratesca si era distanti dal focolare domestico e dai propri affetti. Poi la tragedia dei nostri soldati in Russia, mandati allo sbaraglio senza un adeguato equipaggiamento e con un’organizzazione a dir poco scandalosa. Poveri ragazzi e padri di famiglia inviati in una terra remota, nemica e fredda… tanto fredda che anche al caldo
dei rifugi e delle isbe facevano fatica a scrivere gli auguri ai loro amati perché l’inchiostro e la carta mancavano e questa intimità diventava ancora più triste.
Questo dramma immenso raccontato nelle franchigie e nelle lettere che ho collezionato l’ho voluto condividere pensando alle migliaia di innocenti che non sono tornati e ai sopravvissuti che hanno portato, e alcuni ancora portano, nel cuore.
Arturo Morati
dedica
A Marcella, Stefano, Lorenzo e Marco.
Prima parte. Dal CSIR all’ARMIR - Armata italiana in Russia
Nel luglio del 1941 a seguito dell’inizio dell’operazione Barbarossa, Mussolini decide con insistenza di inviare i soldati italiani a combattere contro i sovietici. Organizza e predispone la partenza del C.S.I.R. Corpo Italiano di Spedizione in Russia, poi integrato dall’A.R.M.I.R. l’anno successivo.
L'8ª Armata Italiana in Russia (ARMIR), è la formazione del Regio Esercito spazzata via tra il dicembre del 1942 e il gennaio del 1943.
Costituita per volontà dello stesso Mussolini, è composta da 10 divisioni: tre del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR), quattro di fanteria (Cosseria, Ravenna, Sforzesca e Vicenza) e tre alpine (Cuneense, Julia, Tridentina).
Comandata dal generale Italo Gariboldi, partecipa all’avanzata nell’Ucraina orientale combattendo fra il Donec e il Don per essere poi definitivamente schierata sull’ansa del Don.
Per l’Italia, entrata in guerra senza l’equipaggiamento adeguato al clima russo e già impegnata nei Balcani e in Africa Settentrionale, la guerra contro l'Unione Sovietica rappresenta uno sforzo enorme.
Militarmente infatti non riesce a competere con l’alleato tedesco che, spesso, deve intervenire in suo aiuto, come già avvenuto in Grecia e in Africa. L’Italia è, in sostanza, un alleato debole con cui la Germania non fa strategie comuni. Hitler comunica a Mussolini l’intenzione di invadere la Russia solo il giorno stesso dell'invasione (22 giugno 1941). Il Duce tuttavia, dando per scontato l'attacco tedesco, aveva già espresso l'intenzione di inviare un corpo di spedizione in appoggio all'alleato. Inizialmente il C.S.I.R. è rifiutato dal comando tedesco e poi accettato dopo i primi respingimenti tenaci offerti dai russi, tutt’altro che pronti alla resa. Tra l’estate del 1941 e l’inverno del 1941/1942 il Corpo di spedizione ha un buon comportamento e riesce a sostenere le operazioni militari. Poi il C.S.I.R. viene sostituito dall’A.R.M.I.R. e schierato a protezione del fianco sinistro delle truppe impegnate nella battaglia di Stalingrado. L’ansa settentrionale del Don è un settore particolarmente difficile da tenere che costerà molte vite umane, come dimostra la vasta offensiva sovietica scatenata alla fine di agosto (1942).
L'ordine è di resistere ad ogni costo ma dopo due giorni di aspri combattimenti la divisione viene travolta. Gli italiani riescono tuttavia a chiudere la falla e a mantenere il fronte. Le divisioni sovietiche devono ritirarsi ma sono riuscite a stabilire una robusta testa di ponte sulla riva destra del Don, utile per le future offensive.
Il 19 novembre, l’Armata Rossa lancia una massiccia offensiva volta ad accerchiare le truppe tedesche della 6ª Armata di Paulus bloccate a Stalingrado e, in dicembre, l'offensiva sovietica si scatena anche contro le linee tenute dal II Corpo dell'ARMIR, che custodisce il settore centrale del fronte italiano. Il primo attacco russo viene respinto, ma il 17 dicembre i sovietici travolgono la Ravenna obbligandola alla ritirata.
Nello stesso tempo, a sud-est, vengono distrutti i resti della 3ª Armata rumena.
L'obiettivo della grande manovra è congiungere le due braccia della sacca alle spalle dello schieramento italo-tedesco-rumeno. Il Generale Gariboldi tenta di tappare le varie falle ma il ripiegamento senza preavviso della 298ª divisione germanica mette ancora più in crisi il fronte, e le truppe sovietiche chiudono il XXXV Corpo d'armata italiano e il XXIX Corpo d'Armata tedesco in un'immensa sacca.
L'ordine di ripiegare dal Don viene finalmente dato il 17 gennaio.
In testa alle colonne in ritirata si pongono i reparti della divisione alpina Tridentina in grado di affrontare la battaglia e che, il 26 gennaio, dopo un'ultima sanguinosa battaglia, riescono a rompere l'accerchiamento sovietico. Anche i resti della Vicenza riescono in qualche modo ad aprirsi la strada verso ovest. Più a sud, invece, Julia e Cuneense devono sacrificarsi contro le forze corazzate sovietiche per evitare che il fianco sinistro della ritirata crolli, mettendo in crisi l'intera operazione di sganciamento.
La confusione generale e gli errori organizzativi impediscono di soccorrere con automezzi le migliaia di uomini in ritirata, che devono così marciare a piedi, nella neve e con anche 30 gradi sotto zero, per centinaia di chilometri in cerca di una via di scampo dall'accerchiamento, dagli attacchi delle colonne corazzate nemiche e dei reparti partigiani che agiscono alle loro spalle.
Il numero dei caduti della campagna di Russia, per l’Italia, è stato calcolato a 74.800, la maggior parte morti in combattimento o nella tragica ritirata.
Con la sostanziale distruzione dell'ARMIR ha di fatto termine la partecipazione italiana alla campagna sul fronte orientale. Alcune unità italiane continuarono comunque ad operarvi sotto il