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Louis-Claude de Saint-Martin e la Via della Preghiera: Il Cammino verso il Tempio Imperituro
Louis-Claude de Saint-Martin e la Via della Preghiera: Il Cammino verso il Tempio Imperituro
Louis-Claude de Saint-Martin e la Via della Preghiera: Il Cammino verso il Tempio Imperituro
Ebook168 pages1 hour

Louis-Claude de Saint-Martin e la Via della Preghiera: Il Cammino verso il Tempio Imperituro

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Arduo scrivere di Louis-Claude de Saint-Martin (1743-1803). L’insegnamento che traspare dai suoi scritti è una medicina per l’anima assai indigesta per l’uomo e l’iniziato contemporaneo. Tale discrepanza è dettata da due ordini di motivi. Il primo risiede nella natura squisitamente cristiana della narrazione, dei simboli, della morale e dell’insegnamento che de Saint-Martin instilla nei suoi scritti. Il secondo è da ricercarsi nella particolare presbiopia cognitiva che affligge molti “iniziati” ed esoteristi contemporanei, i quali ricercano sempre quanto è maggiormente complicato e artefatto, rispetto a quanto è semplice e utile per l’opera laboriosa a cui si dovrebbero sottoporre. Ecco quindi, come pratiche quali la preghiera e la meditazione, siano considerate passive, inutili e frutto di un devozionalismo che non deve neppur sfiorare l’ombra dei loro paludamenti. Ovviamente in ciò vi è un grande errore di metodo e di concetto. L’errore di metodo consiste nel non valutare come anche il più sublime atto teurgico trovi propedeuticità nella preghiera e nella purificazione. L’errore di concetto risiede nel considerare la preghiera un non-strumento legato al devozionalismo religioso.
LanguageItaliano
Release dateJul 30, 2021
ISBN9791280418210
Louis-Claude de Saint-Martin e la Via della Preghiera: Il Cammino verso il Tempio Imperituro

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    Louis-Claude de Saint-Martin e la Via della Preghiera - Filippo Goti

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    Filippo Goti

    Louis-Claude de Saint-Martin e la Via della Preghiera

    Il Cammino verso il Tempio Imperituro.

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    Introduzione

    Terra, arrestati; cieli, ammutolitevi; e tu, principe delle tenebre, fuggi e corri nei tuoi abissi. Perché un uomo pregherà. (Il Filosofo Incognito)

    È ben arduo scrivere di Louis-Claude de Saint-Martin, in quanto l’insegnamento che traspare dai suoi scritti è una medicina per l’anima assai indigesta per la mente dell’uomo e, soprattutto, dell’iniziato contemporaneo. Tale discrepanza, fra la necessità di siffatto linimento e la repulsione che esso suscita in molti, è dettata fondamentalmente da due ordini di motivi, che è mio intendimento evidenziare in questa introduzione onde liberare il tavolo dell’opera da possibili e perniciosi fraintendimenti.

    Il primo è talmente evidente che quasi mi scuso di portarlo all’attenzione del lettore, e risiede nella natura squisitamente cristiana della narrazione, dei simboli, della morale e dell’insegnamento che Louis-Claude de Saint-Martin instilla, senza giammai risparmiarsi, nei suoi scritti.

    Il secondo, altrettanto malevolo, è da ricercarsi nella particolare presbiopia cognitiva che pare affliggere molti iniziati ed esoteristi contemporanei, i quali ricercano sempre quanto è maggiormente complicato e sottilmente artefatto, rispetto a quanto è semplice e utile per l’opera laboriosa a cui si dovrebbero sottoporre. Ecco quindi, e torneremo su tale argomento, come pratiche quali la preghiera e la meditazione (che altro non è che una forma intensiva ed essenziale del pregare), siano considerate passive, inutili e frutto di un devozionalismo che non deve neppur sfiorare l’ombra dei loro paludamenti. Ovviamente in ciò vi è un grande errore di metodo e di concetto. Il primo, l’errore di metodo, consiste nel non valutare come, necessariamente, anche il più sublime atto teurgico trovi propedeuticità nella preghiera e nella purificazione. Il secondo, l’errore di concetto, risiede nel considerare la preghiera un non-strumento legato al devozionalismo religioso. Essi la percepiscono come qualcosa di intimamente femmineo, afferente alla sfera emotiva e l’abbandono ad una divina provvidenza atta a tranquillizzare le menti e gli animi dei deboli. Ovviamente niente di più errato, ma sarebbe sufficiente loro interrogarsi attorno a quali conquiste spirituali e a quali domini sul quaternario li ha condotti una così monca arte teurgica, e dico monca in quanto trova essa fondamenta nell’ego ipertrofico e sulla debolezza della mente della maggioranza dei suoi praticanti[1]. Orbene, se nel prosieguo svilupperemo la particolare preghiera proposta dal Filosofo Incognito, mi si permetta in questa breve introduzione di sottolineare alcune questioni di fondo, sull’arte e sulla filosofia, che governano le cose dello spirito. La prima è che non vi deve essere frattura alcuna fra la sfera religiosa e quella iniziatica, poiché deve essere ben chiaro, nella mente del praticante, che ognuna di esse si rivolge ad un differente bisogno ed un differente tipo di uomo. Guardare con sospetto gli scritti di Louis-Claude de Saint-Martin perché essi trasudano dei simboli e degli stilemi tipici della narrazione cristiana, o licenziarli sbrigativamente, affermando che trattasi solamente di espediente retorico e di necessaria forma comunicativa, è un grave errore. Infatti, esso non solo comporta la non comprensione dell’azione spirituale propugnata dal Filosofo Incognito, ma rimuovendo l’insieme simbolico e filosofico che le permette di esercitare la giusta dinamica, prima nell’intelletto e poi nell’anima, ne determina l’assoluta inerzia. Tutto ciò senza neppure scomodare il rinunciare a quel potenziale spirituale ed energetico accumulato da mille e mille anni di continua opera rituale, posta in essere dalle varie congregazioni e comunità cristiane, a cui è possibile attingere solamente rimanendo innestati, seppur consapevolmente e pragmaticamente, a tale tronco della tradizione. La seconda questione fondamentale risiede nel confondere mezzo e strumento con il fine. Il fine, dai mille appellativi (reintegrazione, perfezionamento, elevazione, ecc..), è quello di rivelare, da parte dell’uomo all’uomo stesso, la propria divina natura assopita dalle vacue forme, dalle ferree leggi e dalle illusorie relazioni del quaternario. Gli strumenti e i mezzi sono il totale insieme delle opportunità che l’uomo concede a se stesso per modificare il proprio sistema percettivo-cognitivo ed ampliare, così facendo, la propria comprensione di se stesso e delle cose tutte. Gli strumenti sono tutti indispensabili e tutti superflui, ma essenzialmente ognuno di essi è la specula dell’altro. Avremo modo di tornare su entrambe le riflessioni proposte.

    Portando adesso l’attenzione a questo scritto vorrei evidenziare alcuni elementi che sono fondamentali per comprenderne, e spero implementare in un atto di opera laboriosa e non solo intellettuale, l’intreccio simbolico, filosofico e operativo che anima l’opera divulgativa di Louis-Claude de Saint-Martin, in quanto senza siffatto substrato la stessa azione spirituale cadrebbe nel vuoto dell’assoluta inerzia, del cieco fare e del sordo dire. Nel vuoto non vi è suono, non vi è direzione e non vi è sostegno.

    Il mito fondativo di riferimento del Filosofo Incognito consiste in una caduta da uno stato edenico dell’uomo, a causa di un atto di ribellione e di superbia nei confronti del suo Creatore. A differenza di altre creature in precedenza condannate a medesima sorte, è però riservata all’uomo, tramite il pentimento per quanto commesso e il riconoscimento della volontà divina, la possibilità di riconquistare il ruolo originario. Dio è l’Essere emanante i vari Enti, fra cui l’uomo primordiale stesso, la creazione è il risultato della caduta dei vari rivoltosi, che in essa hanno modo di agire, di esercitare il loro potere temporale attraverso la corruzione del pensiero. In questo affresco, come ovviamente in quello del suo Maestro Martinez de Pasqually[2], trovano forte eco gli elementi tipici della narrazione gnostica, la quale carsicamente sembra riemergere con la sua affascinante prospettiva di divinità intermedie accecate dall’orgoglio e protese a mantenere il proprio dominio sull’uomo. Un dominio, comune ad entrambe i paradigmi, che trova fulcro nella contaminazione del pensiero dell’uomo, attraverso quella leva rappresentata dall’orgoglio. Il pensiero fallace dell’uomo, rivolto all’effimero e all’ego, lo conducono a mal impiegare quella qualità unica che gli fu concessa dal divino: il libro arbitrio. L’intera opera di Louis-Claude de Saint-Martin si snoda attraverso questi due apicali caratteristiche dell’umano essere: il pensiero e il libero arbitrio.

    Il Dio che Louis-Claude de Saint-Martin ci offre è ineffabile, estraneo a questa terra di prova (così come indicato proprio nelle preghiere dal Filosofo). Terra in cui l’uomo inconsapevole, cieco innanzi all’errore, è ghermito, schernito e abusato dai Prevaricatori, che sono le creature spirituali cadute prima dell’uomo stesso e a cui è stata negata la possibilità di essere riammesse alla condizione originaria, per esse inesorabilmente perduta. Ecco quindi che l’uomo stesso non è altro che un campo di battaglia fra l’azione di questi spiriti di separazione, la forza delle potenze naturali e la medesima volontà spirituale umana di riconciliarsi con il proprio emanatore. Lo stesso essere divino desidera il ritorno dell’uomo, ma se da un lato il tempo dell’essere non è il tempo della creatura, dall’altro questa reintegrazione dovrà avvenire per volontà ed opera umana attraverso quel passaggio intermedio, rappresentato dalla riconciliazione all’ombra del culto.

    È la reintegrazione che permette all’uomo di riabilitarsi e riconquistare quanto un tempo era sua prerogativa e potenza. Tale processo trova inizio, per il Filosofo Incognito, con una presa di coscienza attorno alla propria misera condizione di essere transeunte e sottoposto alla mercede di forze a lui superiori e ostili. Forze che lo hanno infettato, attraverso la corruzione del pensiero, e reso a sua volta elemento di contaminazione. Tale rivelazione interiore spinge l’Uomo a desiderare, da qui Uomo di Desiderio, quella saggezza (noi diremmo consapevolezza) integrale attorno a se stesso, al mondo quaternario, alle leggi e alle relazioni che lo governano e al percorso che lo ricondurrà ad essere quanto ha perduto a seguito della caduta.

    Sorgente eterna di tutto ciò che è, Tu che invii ai prevaricatori degli spiriti di errore e di tenebre che li separano dal Tuo amore, invia a colui che Ti cerca uno spirito di verità, che lo riconcili a Te per sempre

    È significativo, come sopra proposto, che la prima preghiera (delle cosiddette dieci preghiere opera postuma di Louis-Claude de Saint-Martin) si apra proprio con tale supplica, volta all’invio di uno spirito di verità. Va precisato che il Dio del Filosofo Incognito comunica con l’uomo, e agisce nei piani inferiori, attraverso Spiriti che, così come gli Eoni della tradizione gnostica, ne incarnano delle qualità particolari. Lo spirito verità, qui invocato, altro non è che la CHOSE, la manifestazione divina tanto ricercata nella pratica degli Eletti Cohen di cui lo stesso Louis-Claude de Saint-Martin era stato esponente di indubbio rango e spessore. Quale verità brama il Filosofo Incognito? La verità su se stesso e le cose tutte; egli non chiede la vita eterna, non chiede la vittoria sui nemici e non chiede neppure ricchezza e prestigio. Queste cose sono effimere, come Salomone egli chiede la Verità-Saggezza.

    Sebbene questo libro abbia come oggetto la via della preghiera nell’opera divulgativa di Louis-Claude de Saint-Martin, mi preme offrire in questa introduzione una digressione chiarificatrice attorno al ripudio della teurgia da parte del Filosofo Incognito. Molti hanno attribuito al suo scegliere nettamente la preghiera e la meditazione come via per il divino, una critica degli insegnamenti e delle pratiche Cohen. Indubbiamente egli abbandona i complessi rituali appresi nell’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen, non ricerca più l’ausilio di strumenti di potere e di comando, non traccia cerchi, non proferisce comandi magici ad angeli e demoni e rinuncia a vesti pregiate e collari variopinti. Nondimeno tutto ciò non è ascrivibile a condanna, ma solamente al considerare come gli utensili, la scienza e l’arte fino a quel momento impiegati, dovessero essere riposti e sostituiti con altri. Ciò però era valevole per quel Louis-Claude de Saint-Martin, giunto all’apice della sua maturazione spirituale ed intellettuale. Vi sono le stagioni nel perenne ciclo della Natura, e vi sono le stagioni nel divenire dell’uomo: ogni stagione ha i frutti propri, ma non per questo gli uni sono superiori agli altri, sono solamente diversi e unitamente mirano ad alimentare il corpo e l’anima dell’uomo.

    Ecco come le due famose affermazioni di San-Martin, che riporto, in merito alla sua precedente scuola e alla teurgia non debbano essere lette come ripudio o accusa, ma come riflessione interiore tesa a considerare quanto appreso come uno strumento per giungere ad un fine. Appurato che un dato fine è perseguibile per vie maggiormente consone al proprio temperamento ed intelletto, semplicemente si cambia lo strumento d’opera.

    Maestro (rivolto al Martinez) ma come! È indispensabile dunque tutto questo per conoscere Dio?

    ed ancora

    La maggior parte di questi punti sono legati indissolubilmente a quelle iniziazioni, attraverso le quali sono passato nella mia prima formazione e che ho abbandonato da molto tempo per darmi alla sola iniziazione che è prossima al mio cuore. Se ho parlato di quei punti nei miei antichi scritti (il riferimento è al carteggio con Willermoz) è stato nell’ardore che deriva dalla mia giovinezza e per il dominio che aveva presa su di me, la costanza giornaliera nel trattarli e praticarli dal mio maestro e dai miei compagni. Non potrei, tanto meno oggi, condurre nessuno su neppure uno di questi elementi, visto che me ne allontano sempre di più.

    Del resto, quella via cosiddetta secca (la teurgia) era quanto lo aveva condotto successivamente a ricercare nella preghiera e nella meditazione un ulteriore approssimarsi alla tanto desiderata riconciliazione. In altri termini come colui che volendo raggiungere la vetta di una montagna, si inerpica lungo un sentiero e poi, giunto ad un bivio, prende quel ramo che lo immette in un novello viatico (non per questo più facile o meno ripido).

    Vorrei offrire su questo punto due ulteriori riflessioni, l’una generale e l’altra particolare. Quella generale risiede nel convincimento che porre al centro del percorso la rigidità dello strumento o del rituale significa confondere il fine con il mezzo. L’iniziato è sicuramente colui che è stato posto su di un sentiero da altri, ma poi divenendo adepto procederà silenziosamente

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