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Amori sulle dita di una mano
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E-book228 pagine3 ore

Amori sulle dita di una mano

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Info su questo ebook

Paola è una donna concreta, abituata a rimboccarsi le maniche e a compiere scelte coraggiose. Alina proviene da un Paese dell’Est e come tante altre ragazze ha imparato a stare a galla in un mondo di violenze e soprusi. Sara è una dj talentuosa che nasconde un segreto inconfessabile, un’ombra che segnerà per sempre il suo passato. Giulia è concentrata sul lavoro, che svolge in uno studio legale, ma nella sua vita sente la mancanza di un grande amore e si butta in storie improbabili. Francesca, grande promessa della matematica, è rimasta imprigionata nel ricordo di un amore finito male. 
La cinque donne protagoniste di Amori sulle dita di una mano, hanno una diversa estrazione sociale e culturale, eppure sono tutte accomunate dal fatto di essere belle e intriganti e di avere una personalità lontana dagli stereotipi femminili di mogli e madri. Il protagonista del romanzo le ha amate tutte e ognuna di loro ha lasciato un segno in lui. 
Alessandro Pasetti con ironia, sensualità e delicatezza racconta queste storie d’amore. Cinque racconti di vita che celebrano la bellezza femminile, senza nascondere la precarietà dei rapporti umani e le inevitabili conseguenze sul destino di ognuno di noi. 

Alessandro Pasetti vive a Ferrara con la moglie, la figlia e un boxer, Fred. Laureato in filosofia con indirizzo estetico, è giornalista professionista. Si è occupato di moda, di eventi, di televisione. Per dodici anni ha scritto e prodotto un programma di moda e costume per Retequattro. Si è occupato, dal punto di vista artistico, della realizzazione di grandi eventi e delle cerimonie inaugurali di alcune importanti location italiane. Appassionato di poesia ha pubblicato un volume dal titolo Col senno del poi ed è presente in alcune antologie.  
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2021
ISBN9788830640894
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    Amori sulle dita di una mano - Alessandro Pasetti

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prefazione di Roberto Pazzi

    La letteratura deve molto al dio Eros, fin dalle origini della poesia greca, con la lirica ispirata a Saffo ed Alceo. Nella poesia latina, erede di quella greca, la poesia erotica tocca in Orazio, Ovidio e Catullo alcune delle sue più alte espressioni. È nel Satyricon di Petronio che il dio Eros si volge al romanzo, un genere letterario che avrà poi tanta fortuna nella modernità. Ho ripensato anche a queste nobili origini del genere erotico nella scrittura, leggendo il romanzo di Alessandro Pasetti, che apprezzavo come poeta, ma non conoscevo come narratore. Avventurandomi nella lettura di queste cinque storie di giovani donne, ho però subito avvertito che l’antica passione per la poesia non era mai venuta meno. C’è nello stile accattivante di Pasetti, nel possesso di una misura che lo preserva da cadute volgari in un ambito così delicato, nel calibrato uso della parola, il gusto del lirismo, dell’abbandono alla memoria, il piacere di accarezzare i personaggi quasi anticipandone certi esiti nel bene e nel male, con quel patetismo che connota ad esempio le eroine della poesia di un grande come Torquato Tasso. Penso a Clorinda, nella Gerusalemme liberata. Ma penso anche a Lucia ne I promessi sposi. Abbiamo imparato dal Manzoni il diritto dell’autore di sospendere la narrazione per concedersi un breve commento rivelatore della sua partecipazione affettiva alla vicenda delle sue creature. Pasetti con le sue cinque giovani eroine lo fa spesso, e sempre però con gusto, equilibrio, efficacia. E questo va riconosciuto all’autore, l’essersi tenuto sempre lontano dal linguaggio del giornalista. Credo che la felice pratica della poesia lo abbia salvato nel suo romanzo di esordio dallo stile giornalistico che caratterizza tanti narratori italiani.

    Ma veniamo più da vicino a parlare di Amori sulle dita di una mano. Si tratta di un romanzo suddiviso in cinque racconti con un unico io narrante e un finale condiviso. Le cinque storie diventano il pretesto per raccontare cinque donne, diversissime fra loro per estrazione sociale, culturale, per esperienza di vita e provenienza. Sono tutte un poco politicamente scorrette lontane dallo stereotipo femminile di mogli e madri. Le vicende vengono raccontate con vari riferimenti alla realtà, storica e geografica con un comune denominatore: una sottile ironia che le accompagna e alleggerisce l’erotismo, contribuendo a tenerlo ben lontano dalla pornografia. Leggendo l’opera ho apprezzato anche le microstorie, tratte da varie leggende emiliane, che Alessandro ha saputo incapsulare e che rimandano a un grande amore per la sua terra e la sua bella capitale, Ferrara. Così come Pasetti riesce a citare varie poesie della più alta tradizione letteraria novecentesca nel flusso della sua narrazione, senza mai perdere il ritmo del racconto. Le cinque protagoniste, Paola, Alina, Sara, Giulia e Francesca, sono diversissime ma narrate con la stessa profonda capacità di scavo psicologico. Un filo rosso le unisce, il culto per la bellezza femminile, che accende alcune delle pagine più alte. Così mi è parso che Alessandro, prima ancora che il vissuto delle sue eroine, celebri la Bellezza, questo sigillo del divino nelle cose umane, come ci insegna Platone. Bisogna riconoscere a Pasetti la capacità di narrare la seduzione della Bellezza nelle sue diverse declinazioni, senza mai tradire una predilezione per una delle sue figure femminili. Le donne gli piacciono tutte. Non saprebbe immaginare un mondo che non sia retto dalla loro sottile regia, dietro le quinte, lasciando al maschio l’illusione di reggere i fili. Questo romanzo deve non poca della sua forza al ricordo e alla nostalgia della giovinezza, rivelandosi anche un’ode a quella perduta età. Alessandro Pasetti doveva arrivare a varcare la soglia dei sessant’anni per volgersi al passato e salvare le creature che ha incontrato, con l’eternità cui aspirano sempre le parole della letteratura.

    Amori sulle dita di una mano

    Ho vissuto molte vite. È un privilegio di chi fa la mia professione. Il giornalista. Racconti ogni giorno la vita degli altri e qualcosa delle loro esistenze ti resta addosso. E non sempre riesci ad andare oltre. Qualcosa ti porti sempre dietro. Ricordo che quando ancora mi occupavo di cronaca, il mio giornale mi mandò a seguire un evento tragico. Di una tragicità assoluta. Come lo sono tutte quelle circostanze nelle quali la morte si traveste ed indossa i panni dell’amore.

    Un uomo era stato lasciato dalla moglie e aveva perduto anche il lavoro. Preso dallo sconforto, nella sua mente è scattato qualcosa di mostruoso. Durante la notte ha ucciso i suoi due figli, due bambini, e poi si è suicidato. Non dimenticherò mai l’atmosfera che ho trovato quando sono arrivato. L’invadenza dei voyeur dell’orrore, della stampa e delle tv giunte da ogni parte d’Italia. Telecamere accese sulla morte, a sfregiare il dolore. E poi la casa nella quale sono entrato, una piccola stanza al primo piano e il letto dove erano stati uccisi i due bambini. E tutto intorno un silenzio irreale. C’era la gente del paese, muta, incredula, che partecipava a quel dolore con il suo silenzio e le sue lacrime. Era il dolore vero, di chi sentiva quelle morti mordergli l’anima. Anche i giornalisti si muovevano piano, parlavano sottovoce quasi lì non fosse entrata la morte, ma ci fosse soltanto qualcuno che dormiva ancora. E che si sarebbe spaventato risvegliandosi, così di colpo, attorniato da tutti quegli estranei.

    Il fatto è che oltre alla vita degli altri, quando fai il giornalista, molte volte ti penetra dentro anche la morte degli altri e spesso non ce la fa più ad uscire da quel meccanismo perverso che attinge la vita dalla morte. Perché non c’è riparo dal dolore. Come ha scritto Ungaretti: è il mio cuore il paese più straziato.

    Così un giorno ho detto basta. Ho chiesto di cambiare settore e ho cominciato ad occuparmi di spettacolo. Volevo raccontare le vite di carta dei personaggi del mondo dello show business. Sono vite trasparenti, nel senso che molte volte non hanno spessore, per questo non ti coinvolgono. I personaggi del mondo dello spettacolo sono quasi tutti narcisisti. Altrimenti non farebbero quel mestiere. Vivono per apparire. Misurano la loro esistenza con il metro della popolarità, con gli autografi che fanno, con i selfie, adesso con i like. Vivono in proporzione alle pagine che si scrivono su di loro. Fra di noi c’era uno scambio alla pari: a me servono le loro parole, a loro le mie pagine.

    Ho compiuto 60 anni. Un’età indefinibile. È un’età di confine. Sei vecchio ma non abbastanza da essere anziano. Però certamente è una linea di demarcazione fra ciò che eri e ciò che sei adesso o che sarai, se ti sarà dato il tempo di vivere. Provo a guardare il mondo con gli stessi occhi. Ma sono gli sguardi degli altri che sono diversi.

    Sull’invecchiare si spendono un mucchio di belle parole. Di frasi sagge. Che ogni età ha la sua bellezza. Ma non è vero. Non c’è niente di bello nell’invecchiare. Invecchiare significa soltanto sottrarre ogni giorno, un giorno alla vita. E i ricordi diventano sempre più grandi dei progetti.

    Anche le donne, che prima mi guardavano con interesse, adesso mi guardano con occhi differenti. Che non sono più quelli della complicità. Così mi sono venute in mente cinque storie d’amore che mi hanno coinvolto. Davvero d’amore? Non so. Di sesso certo, di complicità. Cinque donne che hanno attraversato la mia vita. Cinque donne molto diverse, diversissime, delle quali io forse sono stato, per un po’ di tempo, l’unico comune denominatore.

    Mi sono reso conto soltanto adesso, che la mia vita è stata un continuo rincorrere l’amore, per provare ogni volta lo stupore d’incontrarlo. Nel momento in cui noi cominciamo a cercare l’amore, l’amore comincia a cercare noi. Lo ha detto Paulo Coelho. Avrei voluto scriverlo io.

    PAOLA

    Quei giorni perduti a rincorrere il vento

    a chiederci un bacio e volerne altri cento

    un giorno qualunque li ricorderai

    amore che fuggi da me tornerai…

    fra un mese fra un anno scordate le avrai

    amore che vieni da me fuggirai

    Fabrizio de André,

    Amore che vieni amore che vai

    26 gennaio-Lignano (oggi)

    Il fondo di ogni giornata per me si trova all’inizio. Quando ti affacci sul mondo e vedi come si presenta quel mattino, puoi capire cosa ti riserverà la giornata. Per me fu lo stupore. Ero a Lignano Sabbiadoro, in Friuli, dal giorno prima, per intervistare un uomo che diceva di parlare con gli alberi. E a seconda di come gli si presentavano, diceva di capire cosa gli volessero dire. Sosteneva che gli alberi ci guardano e ci giudicano. Hanno linguaggio e memoria, parlano tra loro e, se sono attaccati dai nemici, escogitano anche delle strategie di difesa. La cosa più incredibile è che possiedono un senso dell’amicizia e della giustizia e io credo anche un senso dell’umorismo, visto come continuano a sorridere agli uomini che ogni giorno li saccheggiano e li maltrattano. Anche loro, proprio come noi, soffrono quando invecchiano e portano le rughe del tempo.

    Ma soprattutto quello studioso un po’ particolare, rimproverava il mondo di non stare ad ascoltare la natura che ci parla ogni giorno. Non so ma questa cosa non mi sembrava poi così strana ed ero portato a credergli. Del resto se ci leghiamo agli oggetti, se ci affezioniamo alle cose tanto da trasformarle in compagne della quotidianità, da non poterne più fare a meno, non credo ci sia nessuna meraviglia se proviamo ad instaurare un dialogo con la natura.

    Avevo preso alloggio al Golf Hotel. Mi piacevano le sue stanze che sembravano piccole casette. Per chi viaggia molto e soprattutto soggiorna in molti hotel, tutti diversi surrogati della casa, è importante costruirsi un rifugio, un luogo dove ritornare anche viaggiando. Un posto che parla un po’ di te, anche nell’anonimato di un albergo. Così ho preso l’abitudine di andare sempre nello stesso hotel in ogni città.

    La stanza era a due piani. Al piano terra il reparto giorno, con salotto, cucina e una grande vetrata che dava sul campo da golf. Attraverso una scala di legno si accedeva al piano superiore, dove c’era la camera da letto, elegante e raffinata e il bagno. La camera non aveva muri, si apriva a balcone sulla stanza sottostante.

    Quel mattino di fine gennaio ero sceso e avevo spalancato le finestre sul campo da golf. La notte era scesa la neve. Non so perché, ma quella cosa mi sorprese. E mi emozionò. Uno stupore fanciullesco che mi ricordava gli inverni della mia infanzia trascorsi lungo il Po. Forse perché la neve al mare è una cosa che non ti aspetti, quella visione mi colse impreparato. Ma era bellissimo. Era come se quella neve, inaspettata ed improvvisa, avesse divorato il mondo. Una grande immensa distesa che il giorno prima era verde, adesso era tutta ricoperta di un manto bianco e chissà perché mi sembrava di essere in uno sterminato deserto innevato, del quale non potevo vedere la fine. Il green del campo da golf adesso era di un bianco abbagliante, nella luce livida del sole di gennaio. Ecco mi ero detto, una giornata che comincia con uno stupore, con una grande emozione, non può che stupirti ed emozionarti. Non può che essere una giornata che ti riserva sorprese ed emozioni.

    ***

    Paola mi aveva detto che sarebbe arrivata dopo il lavoro.

    Avevo sei ore di attesa da colmare. L’attesa è un fantasma che spesso si nutre di paure. Vorremmo prepararci al meglio all’incontro, anche se fatichiamo ad ammettere che in fondo il primo appuntamento è sempre con noi stessi. Cosa troveremo in fondo a quell’attesa? E siamo pronti a sopportarne le conseguenze?

    Aspettavamo di rivederci da cinque mesi. Non sapevo nemmeno come avrei dovuto comportarmi con lei. Di lei sapevo davvero pochissimo. E non immaginavo nemmeno come si sarebbe comportata lei quando mi avrebbe rivisto. Il tempo cambia molte cose e anche le stagioni le modificano. C’eravamo conosciuti d’estate, in pieno agosto. Il caldo, le vacanze, quell’aria estiva che sa sempre di complicità. Adesso era inverno, fuori e dentro di noi. Anche noi cambiamo, insieme alle stagioni, ci adeguiamo al clima che ci circonda. Se c’è caldo anche noi siamo caldi e avvolgenti. Trasmettiamo agli altri il calore che abbiamo dentro. Il freddo, invece, ci chiude in noi stessi. Aprirci, spalancare la porta delle nostre vite a chi ci circonda, ci dà l’impressione che qualcosa di gelido possa impossessarsi della nostra esistenza e non restituircela più come vorremmo.

    Avevo una grande voglia di rivederla. Un desiderio davvero fisico, come quando pensi a qualcosa che vorresti mangiare ma che non hai a portata di mano e in quel momento ti manca ancora

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