Bedlam Club
By Davide Conti
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About this ebook
Cosa succede quando un gruppo male assortito di cialtroni di provincia decide di mettere su un cineclub?
È questa la cornice boccaccesca per raccontare ciò che avverrà all’interno di un garage nel cuore dello sterminato Agro Pontino, sede eroicomica del “prestigiosissimo Bedlam Club”. Tra gli scaffali con le conserve di pomodoro e una vecchia Ritmo60, questa strana cerchia di amici si riunirà periodicamente per guardare film, e trarre spunti e ispirazioni per combinare pasticci di ogni genere. Mentore e guida spirituale del club sarà Nicola Pozzarelli, “esperto di cinema nonché addetto al banco pesce del Supermercato Sigma di Cori”. Le avventure dello scalcinato club sono anche l’occasione per ricordare alcuni dei momenti più avvincenti e divertenti dei film che hanno fatto la storia del cinema degli ultimi decenni.
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Book preview
Bedlam Club - Davide Conti
Introduzione all’opera
L’introduzione all’opera non è mai una cosa semplice, specie quando l’opera è già iniziata e le porte del teatro sono chiuse. Ma noi riuscimmo a introdurci lo stesso. Dalla porta di servizio, di nascosto e col passamontagna.
Tutto secondo i piani. Un’idea abilmente architettata dal mio amico Nicola Pozzarelli, esperto di cinema nonché addetto al banco pesce del Supermercato Sigma di Cori, la fonte unica e sola del mio intero sapere.
Aveva raccolto l’umile Sottoscritto dagli anfratti più sterpàglici della mia confusa cultura, scarcagnificàndone ogni crosta di ignoranza per fare di me quello che ora sono: un essere consapevole.
La consapevolezza è l’inizio del percorso,
mi diceva, puntando lontano le socratiche sopracciglia.
Ci vuole consapevolezza. E un buon piede di porco.
Le socratiche di cui sopra miravano verso il lato destro della strada e poi rapidamente nella direzione opposta, con attenta circospezione (che in italiano vuol dire: fifa bestia di essere beccati dalla municipale).
Sii sempre consapevole di te stesso. E tieni dritta sta torcia.
Aggiustai immediatamente la direzione del cono di luce sulla fessura che cominciava ad aprirsi con gli auspici dell’arto suino tra le abili mani di Nicola. Di lì a pochi minuti si sarebbe spalancato il portone di ferro dell’uscita di sicurezza del teatro dell’opera, nel quale cercavamo di introdurci quella sera. Una volta dentro, con muto imbarazzo, notai che la seconda porta di sicurezza, quella a fianco alla prima da noi violata, era già bella che spalancata; ma discretamente tenni per me la cosa.
Entrammo. Ero teso. Non avrei mai pensato che tutte le ore passate a parlare di cinema ci avrebbero portato una sera, quella sera, a compiere un gesto così rischioso.
Simbolico, certo, ma rischioso.
Una roba da codice penale. Io, che avevo sempre condotto un’esistenza moderata e sobria, al massimo qualche multa per divieto di sosta.
Mi stavo rendendo complice di un reato. Sapevo esattamente dove mi avrebbe portato tutto ciò. Ma ero anche conscio della portata cosmica del gesto eclatante ed emblematico che, di lì a poco, si sarebbe consumato davanti agli occhi sgomenti di una platea già intorpidita da un’esecuzione lirica non proprio memorabile.
Entrammo. Sul palcoscenico una tizia, così bassa, tarchiata e impacciatissima in uno sfarzoso kimono svolazzante da sembrare più tacchino che farfalla, ugolava timida e acutissima (nei paraggi inverosimili di una terza ottava) un fondamentale scambio di battute di natura anagrafica con un certo Sharpless.
"Quant’aanni aveeeeteeee?"
"Indovinaaaateee."
"Dieeeeeciii."
"Cresceeeeeteeee."
"Veeeentiiii."
"Calaaaaate. Quindici netti, neeeettiiii."
Dagli spalti qualcuno apostrofò il melodico dialogo con un Peggàmba!
Risate generali.
Era nell’aria: lo spettacolo sarebbe stato un fiasco. Mandrie di scolaretti dodicenni, trascinati da sprovvedute insegnanti, si preoccupavano per lo più di condividere sms, ghigni, patatine e diti-mèdi, scandalizzando gli spettatori più maturi. In quello scenario nessuno immaginava cosa stesse accadendo in fondo a un oscuro corridoio, in direzione dell’uscita di sicurezza. Entro pochi minuti una tremolante torcia elettrica e un socratico piede di porco avrebbero preceduto i corpi timorosi (ma consapevolissimi!) di due soggetti in procinto di violare le quinte del teatro. Tutto ciò mentre un volgare (e stranamente anzianotto) Pinkerton inveiva con l’eleganza di un camionista contro lo "zio briaco e pazzo" di una Butterfly buffa e pacioccona, riciclata, stando alle notizie, dall’ufficio postale di Roccagorga per via di una circonferenza toracica di dimensioni più che maiuscole, e non senza le supplichevoli e commosse raccomandazioni di un babbo ingegnere col pallino della lirica. Figuriamoci i poveri vecchietti in fila allo sportello per ritirare la pensione.
Perché io e il mio amico Nicola Pozzarelli tentavamo quel gesto rischioso? Quali le nostre intenzioni? Cosa ci aveva portato quella sera del qualche-cosa settembre duemilaqualcosàltro, alle ore 20:57, a varcare furtivamente la soglia del retrobottega del prestigioso teatro pontino?
La risposta è lunga da formularsi. Vi basti sapere che, di lì a pochi minuti, l’umanità avrebbe tremato davanti alla portata del messaggio rivoluzionario preparato con cura e attenzione dal mio amico Nicola. Un messaggio ardito, eversivo, che avrebbe infiammato gli animi più audaci e scioccato quelli più, come dire, ritegnosi.
Leggerete (se vi assisteranno voglia e pazienza) di come oltrepassammo le barriere protettive della vigilanza armata, nelle vesti, nella persona e nel distintivo d’ordinanza di Siriano Strozzacapra, metronotte con più tatuaggi che espressioni; di come guadagnammo un retropalco immerso a bagnomaria in un tiepido coro muto; leggerete infine di quel discorso storico che pronunciò il mio amico Nicola Pozzarelli, esperto di cinema nonché addetto al banco pesce del Supermercato Sigma di Cori. Fu un sermone monumentale, una scossa per le coscienze dei presenti, una verità pentatèutica per l’umanità (se non altro, per una persona in particolare).
Ma ritengo sia opportuno, in tutta questa storia, procedere con metodo e ordine: due qualità che stanno al Sottoscritto come Sandra Milo sta ai teoremi di Gödel.
Proverò a partire dal principio.
In principio era il Club.
Il Bedlam Club.
Era andato formandosi lentamente, un embrione immerso nella noia amniotica di una strada ghiaiosa e deserta. Una bifamiliare, un garage, un pollaio di rete e lamiera ondulata e un via vai di facce: le solite facce, la solita gente. Nell’afa e nel silenzio del vialone di Cerciabella un manipolo di spugne assetate di sapere aspetta ogni settimana di riunirsi nel garage di Nicola, sede del prestigioso Club, tra gli scaffali delle conserve dei pomodori e la sua Ritmo 60 blu, per parlare di cinema, arte, società, cultura e metodi per la conservazione dei carciofini sott’olio. Personaggi approdati per caso negli sprofondi di quel placido quartiere, come il Sottoscritto, che però hanno scovato in quel tempio l’habitat ideale per dissetare e idratare quell’arsura screpolata dell’ignoranza e rincrepolarla con la conoscenza.
Sacerdote massimo in questo santuario di luce: il nostro mentore Nicola Pozzarelli, esperto di cinema nonché addetto al banco pesce del Supermercato Sigma di Cori.
È dovere del Sottoscritto, in qualità di umile e indegno cronista, dare resoconto delle gesta e del pensiero della nostra guida spirituale, narrare gli atti, la vita e i successi dei suoi fedeli seguaci e membri del prestigioso Club, diffondere il verbo del Bedlam-pensiero con accuratezza logica e cronologica.
Questo il dovere.
Ma, considerando le limitate capacità di cui il Sottoscritto dispone, accontentatevi di una cronaca stilata così come viene
. Anche perché, tra tutti i membri del Club, colui che vi parla forse è l’unico in grado di mettere giù due parole appena sensate, malgrado la costante indecisione se riferirsi a sé stesso in prima o in terza persona.
Pertanto…
Bedlam
(Mark Robson, 1946)
Sarebbe bello poter dire: Tutto cominciò quel giorno in cui…
In realtà, tutto cominciò un pomeriggio quando tutto era già cominciato da un pezzo.
Mi spiego meglio.
Il Club era bello che costituito e avviato. Da qualche tempo, ormai (mesi? anni?) ogni incontro, ogni lezione, ogni discussione, ogni dibattito agiva e penetrava profondamente in noi allargando il cono di luce del sapere, con effetto inebriante simile a quello delle bollicine della Coca-Cola nel naso.
Solo una cosa non mi era ancora del tutto chiara.
Fino a quel tremendo pomeriggio.
Mi precipitai a casa di Nicola su tutte le furie. Quella fu davvero la volta in cui la nostra amicizia rischiò di rompersi per sempre. Vatti a fidare degli amici. Appena ti distrai un attimo, zac! ti pugnalano alle spalle.
Sweeney Todd.
Così si chiamava quel film cantoso e sanguoso che fu all’origine della mia rabbia. Filò liscio per tutta la sua durata, a parte qualche tsunami ematico di troppo per i modesti gusti (e il delicato stomaco) del Sottoscritto.
Tutto liscio, finché…
Uscii di casa disgustato, ferito, mortificato, ma soprattutto determinato ad affrontare la questione di petto. Mentre avanzavo lungo il vialone di Cerciabella rimuginavo l’onta che mi ribolliva dentro come una pignatta di fagioli all’uccelletto. Non mi ero mai sentito in quel modo. Forse una volta, al mare, quando da bambino un cuginetto selvatico e impunito mi sfilò in acqua il costumino e scappò lasciandomi solo e nudo. Ricordo ancora le risate dell’intera spiaggia quando uscii con una pinna di dietro e una conchiglia davanti. Ripensandoci oggi, avrei benissimo potuto invertire gli accessori di pudore, pinna avanti e conchiglia dietro, ma l’innocenza di bambino mi indusse a rapportare le dimensioni dell’oggetto a quelle di ciò che avrei dovuto celare. Parete grande, pennello grande. Parete piccola, conchiglia basta e avanza.
Umiliazione.
Camminavo con la rabbia di chi era rimasto per tutta la vita con una conchiglia appiccicata addosso a far ridere gli ombrelloni.
Ero davanti all’uscio di casa Pozzarelli. Bussai a lungo con la furia di un pazzo finché non si aprì. Ci trovammo così faccia a faccia. Io e Nicola. Notò subito il mio ciglio feroce. Non ebbe alcuna reazione. Forse sapevamo entrambi che quel momento sarebbe arrivato. La resa dei conti.
Tacemmo a lungo, fissandoci.
Sguardo profondo di lui.
Sguardo furioso del Sottoscritto.
Sguardo di lui.
Sguardo di me.
Un crescendo morriconiano di sguardi.
Pensai: Sono anni che se la ride alle mie spalle.
Pensò: Ecco a chi ho regalato le mie bretelle azzurre dei Simpson.
Rimanemmo in silenzio.
Non so quanto restammo così, a studiarci con cauta furia. Quando staccai gli occhi dai suoi, seguendone la direzione, capii al volo cosa gli frullava nel cervello. La nostra amicizia è giunta a un bivio di sangue e tu pensi alle bretelle? Ero deluso, sdegnato. Valutai perfino l’ipotesi di sbarazzarmi di quell’indegno elasticume e restituirglielo con disprezzo, se non fosse che avrei dovuto seguitare l’intero litigio reggendomi le braghe. Così conservai con sfrontatezza gli accessori di sostegno ai miei precari paramenti e venni al dunque: Sono anni che mi porto addosso il nome BEDLAM dietro tuo consiglio e suggerimento, nella posta elettronica, nei forum. Perfino il nostro Club l’hai chiamato così. E oggi scopro che mi hai dato (ci hai dato) il nome di un manicomio. È questa la stima che hai di tutti noi? Di me? Un manicomio! Accidenti a te! (voce rotta) Come hai potuto! (snif, snif) A me, il tuo migliore amico (labbruccio tremulo e lucciconi agli occhi).
Dovetti fermarmi a prendere fiato, altrimenti sarei scoppiato in lacrime, e il mio orgoglio mi vietava di cedere e liquefarmi così davanti a colui che mi aveva tradito. Mi aspettavo una sua reazione altrettanto forte, un putiferio inestinguibile. Ero pronto a tutto, anche a venire alle mani. Certo, ero un po’ fuori allenamento, considerando che l’ultimo corpo a corpo lo avevo avuto quando Ascanio De Meo mi aveva rubato la merenda in terza elementare, e me l’ero cavata solo con un momentaneo digiuno e quattro punti sulla fronte.
Non riuscivo a capacitarmi della cosa. Quante cene dei cretini avrà organizzato il mio amico Nicola ridendo alle mie spalle.
Il countdown della rottura definitiva si avvicinava allo zero. Uno zero assoluto.
Per qualche altro secondo Nicola rimase in silenzio.
Poi parlò.
Spiazzandomi, come ogni volta: Ti va un succo di frutta alla pera?
Accidenti! Quest’uomo sa come prendermi!
Accettai il drink ma non volli sedermi. Mi doveva delle spiegazioni. Che non tardarono ad arrivare.
Quante volte, amico mio, ti ho detto di guardare oltre le apparenze?
È vero, lo diceva sempre. Era un suo mantra. Ma stavolta, ero sicuro, non sarebbe bastato a placare la mia ira.
Stappò uno Zuegg avanzato dal Sigma, scaduto solo da un paio di mesi. Me lo porse. Sorseggiai direttamente dalla bottiglietta, come piace a me.
Ricordi quando ti parlavo del legame che c’è tra il cinema e la chiave dell’esistenza?
Anche questo era un suo ritornello costante in ogni dibattito. In altre parole, Nicola sostiene che la vita altro non è se non la continua ricerca di ciò che è bello, piacevole. Dato che l’arte è l’espressione massima del bello, ne conviene che il cinema è la somma…
"…la somma vetta dell’arte. Ti ricordi? Ne parlammo diverse volte. Ebbene, mio caro, Bedlam è il cuore pulsante del cinema, che è la somma vetta dell’arte, che è l’espressione massima della