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Germogli Di Luce Attraversano L'ombra Del Grande Fiume
Germogli Di Luce Attraversano L'ombra Del Grande Fiume
Germogli Di Luce Attraversano L'ombra Del Grande Fiume
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Germogli Di Luce Attraversano L'ombra Del Grande Fiume

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About this ebook

Il vecchio Hans giunto quasi alla fine dei suoi giorni seduto davanti al caminetto acceso ascolta il rumore dei forti venti del nord. La sua perenne solitudine lo induce a guardarsi dentro per comprendere il vero significato della sua esistenza, così iniziano ad emergere i suoi sensi di colpa per non aver saputo valorizzare al momento giusto, la sua Heghel che gli aveva dato due gemelli completamente diversi come la luce e l'ombra: Franz ed Alfred. I due gemelli percorreranno una vita intensa e parallela ove Franz riuscirà a sottomettere gli altri utilizzando la mente ed il fisico robusto, mentre Alfred affronterà le difficoltà più dure con il cuore, riuscendo sempre ad aiutare gli altri, persino donando ai suoi compagni, una parte dell'unico pasto giornaliero; la sua ciotola di latte. Anche se estremamente diversi, si cercheranno sempre e dopo una intera vita riusciranno finalmente ad abbracciarsi per comprendere il gioco di luci ed ombre che alberga dentro ogni essere umano, entrambe utili per essere trascesi al di sopra del bene e del male.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJul 7, 2021
ISBN9791220346276
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    Germogli Di Luce Attraversano L'ombra Del Grande Fiume - Enrico Concioli

    IL NONNILE

    Alto Adige – Confine Italo - Austriaco.

    Huber Hans, chiamato da tutti in paese in senso affettivo: il Nònnile ovvero il nonno di tutti, per la sua innata dolcezza di espressione e per il sorriso che regalava a chiunque incontrava per la sua via, si avviava con difficoltà, giù per la stradina di montagna scoscesa e piena di neve, per scendere in paese. La sua robusta corporatura, non lasciava trasparire i suoi ottanta anni né tanto meno il decorso del tempo, peraltro molto duro a causa dell’estenuante lavoro da boscaiolo e da tutte le prove dolorose che la vita gli aveva riservato, sia durante la guerra, che per la perdita della sua famiglia.

    Eppure, con chiunque veniva in contatto, lasciava risplendere un alone di profonda serenità, che andava aldilà di ogni sua sofferenza.

    Chi si intratteneva a parlare con lui, si lasciava trasportare in una dimensione di quiete, mentre gioiva della grazia del suo viso gioviale. La sua ingenuità sembrava eterna come se provenisse direttamente dalla sua anima. Per questo, nella piccola comunità montana, quando lo vedevano apparire, chiunque si prodigava per offrigli qualcosa di caldo al bar, che lui accettava sempre di buon grado, esternando quel sorriso dolce, che scaldava il cuore.

    Le sue rughe intense scavate dal tempo, lasciavano apparire il suo lungo e doloroso vissuto, ma a guardarle bene, regalavano a tutti un grande messaggio di vita, come se la sua bontà avesse in qualche modo, trasceso la sofferenza.

    Una volta comprate quelle poche cose che poteva permettersi per mangiare, riprendeva la mulattiera in salita con la sua busta di carta al seguito, contenente un po' di pane, del vino ed un pezzo di formaggio che gli sarebbero bastati per tutto il giorno.

    Qualche mattina, invece di scendere in paese, provava a ripercorrere gli antichi sentieri e i boschi di montagna che lo avevano visto lavorare instancabilmente durante tutta la sua gioventù, quando perennemente impegnato ed affaticato in una corsa continua, cercava di procurarsi da vivere.

    Ma ora, avendo la possibilità di osservare tutta la natura circostante da un’altra prospettiva, essa gli appariva intensa e meravigliosa, ma completamente diversa.

    Riusciva a percepire gli intensi profumi del bosco, gioiva della luce del sole, poteva osservare tutti i colori vivaci che la montagna gli regalava, ascoltava una miriade di suoni e canti emessi dagli uccelli e da altri animali, percepiva sulla sua pelle ogni mutamento del grado di umidità intorno a lui. Poi, con un passo stanco, riprendeva la via del ritorno, felice di abbracciare l’ultimo albero secolare, che era stato testimone silente di tutta la sua vita.

    A lui era destinato il suo ultimo slancio di affetto, poiché era convinto che l’antico albero lo riconoscesse e fosse in grado di ricambiarlo con amore incondizionato, ma ora, sembrava comunicargli che tutto ciò che lo circondava era sacro.

    All’epoca, durante il suo estenuante lavoro, non aveva avuto neanche il tempo di assaporare la natura nella sua totale espressione, poiché era completamente coinvolto nella raccolta dei suoi frutti.

    Soltanto adesso si rendeva conto che lui stesso, era parte di ciò che vedeva e proprio per questo provava un profondo rispetto ed una sensazione di comunione con il tutto. Riuscendo così a percepire, che qualsiasi azione avesse intrapreso nei confronti della natura, questa, avrebbe comunque influenzato la sua persona ed il suo futuro.

    Tutte queste considerazioni lo fecero riflettere. Si chiedeva se era lui che fosse cambiato, oppure se adesso stava guardando le cose da un altro punto di vista. Da giovane, aveva vissuto da protagonista focalizzandosi soltanto su alcuni aspetti che reputava importanti per la sua sopravvivenza, considerando lo sfruttamento dei beni della natura a scopo personale. In quel momento invece, valutava le cose da osservatore e riusciva quindi a vedere una realtà più profonda, percepibile attraverso le emozioni prendendo consapevolezza dell’appartenenza a qualcosa di più grande, essendone parte integrante.

    Non riusciva a distinguere quale fosse il percorso di vita più coerente alla sua persona.

    Concluse, che probabilmente, si dovevano fare entrambe le esperienze, per capire, che aveva perso gran parte del sapore della vita, poiché, focalizzando l’attenzione e l’interesse in un unico obiettivo, non era riuscito a cogliere il vero significato di tutto il resto che lo circondava.

    Ora, facendo un bilancio, pur apprezzando la stima che la comunità gli riservava come onesto ed instancabile lavoratore, si rendeva conto di aver trascurato le cose più importanti della sua vita; le persone a lui più care.

    Tuttavia la riflessione gli giungeva anomala, poiché lui aveva lavorato sodo e ininterrottamente, con lo scopo di mantenere la famiglia. Si alzava all’alba, per far rientro a tarda sera completamente distrutto dalla stanchezza, ma comunque felice di poterlo fare.

    Ora, guardando le cose da un’altra prospettiva, il suo vissuto gli sembrava incompleto.

    Non comprendeva appieno, c’era qualcosa che sfuggiva alla sua cognizione.

    I giorni scorrevano lenti, accompagnati da una sempre maggiore consapevolezza, tuttavia il problema nasceva al calar della sera.

    Allora, immerso nella sua totale solitudine, entrava nella sua casa disadorna, completamente in disordine. Le pareti lasciavano cadere la polvere dell’intonaco trascurato da anni, i fili della corrente fuori dalle tracce lasciati penzolare come se la loro presenza fosse diventata ormai una compagnia.

    Anche le imposte delle finestre in legno corroso e tarlato, prive di serramenti esterni, con qualche vetro rotto, comunicavano il proprio abbandono da tempo.

    Soltanto davanti al camino, con il fuoco acceso, Hans ritrovava una grande intimità, riconoscendo in lui, l’unico vero amico in grado di comunicare con la massima profondità, durante le lunghe e buie serate invernali in sua compagnia. Sembrava offrirgli non solo calore, ma anche conforto e dialogo, visto che ci parlava ad alta voce, quando imbevuto di tristezza rimuginava sul passato. Allora, era come se il fuoco lo ascoltasse e lo potesse capire, così lui lo ringraziava con i suoi lunghi racconti intensi, porgendogli di tanto in tanto, qualche pezzo di legno secco ed alcune foglie aromatiche di ginepro che aveva raccolto camminando nel bosco. Be’ si... con lui e con il vento, aveva condiviso momenti difficili di forte intensità. Quando i venti freddi provenienti da nord ululavano forte incutendo paura e smarrimento, persino la fiamma del camino iniziava ad agitarsi mostrando una danza irregolare. Questa, in un primo momento sembrava dialogare con il vento, ma poi, osservando bene le sue concitate movenze, tentava di avvisare che fuori, era in corso una tormenta di neve, lasciando comprendere la fragilità dell’uomo al cospetto della montagna, alla quale si deve porgere sempre con umiltà e riverenza.

    I riflessi della luna rimbalzando sulla neve e sul ghiaccio della notte, penetravano nella stanza buia, facendo brillare la bottiglia di vino rosso poggiata per terra dopo aver dato il meglio di se. Ora, guardandola bene, nella cornice della penombra, Hans pensava che anche lei, insieme alla sua solitudine, era una buona compagna di viaggio, in grado di regalargli qualche momento di leggerezza che gli permetteva di volare in alto, al disopra delle assurdità di questo mondo. Effettivamente erano pochi minuti, ma pensava che in fondo, la vita era composta di singoli momenti.

    La sua bottiglia, come il camino acceso, aveva assolto una duplice funzione; scaldare il corpo, ma anche e soprattutto dare un po' di tepore alla sua anima, placando la mente.

    Tuttavia, il lavoro più importante lo svolgeva la sua perenne solitudine che lo avvolgeva nel suo manto, inducendolo a guardarsi dentro, per affrontare una continua riflessione sul senso dell’esistenza.

    Così, seduto sullo sgabello di legno, che lui stesso aveva costruito con le sue mani, provava a raccontare la lunga storia del suo passato, vissuta durante il periodo della grande guerra.

    Appena iniziava a parlare, la voce si spezzava diventando debole e rauca. Allora, veniva assalito da una enorme tristezza, gli occhi si inumidivano, per poi brillare sempre di più, appena lo sfiorava il pensiero della sua Heghel; l’unica donna che avesse veramente amato incondizionatamente come parte integrante di se stesso. Una donna minuta, di un colore sbiadito, fragile nel fisico, ma immensa nello spirito e di struggente dolcezza, sempre con le mani mal curate per l’intenso lavoro da lavandaia.

    La si poteva osservare, rimanendo colpiti dalla sua estrema semplicità e dedizione, quando la mattina prima di iniziare a lavorare presso il lavatoio comunale, doveva rompere il ghiaccio che si era formato durante la notte. A questo punto poteva immergere i panni da lavare, fino a quando non riusciva più a sentire le mani.

    Eppure, la sua ingenuità e la sua grande umanità emergevano nel massimo splendore quando qualcuno di passaggio la guardava negli occhi. Allora lei nascondeva le mani per non mostrare che avevano cambiato colore, pur riuscendo a ricambiare un sorriso umile e candido, in grado di lasciare chiunque in uno stato di smarrimento, innescando nel contempo, un forte senso di protezione nei suoi confronti. Tuttavia, tutta la sua vera essenza ed attenzione, era destinata al marito, che considerava il dono più grande ricevuto in questa vita.

    Si, il suo Hans, infatti la sera, quando lui tornava distrutto dal pesante lavoro, lei, seppur troppo debole e stanca, si illuminava della sua dolcezza infinita per corrergli incontro a togliergli i vecchi stivali usurati e poi, con una carezza sulla fronte gli asciugava il sudore, facendogli cadere come per incanto in un solo istante, tutte le tensioni, le preoccupazioni e le paure che aveva dovuto affrontare nell’arco di una intensa giornata nel bosco.

    La luce di quella donna brillava nel cuore di Hans persino nel buio delle intense tormente di neve invernali, quando per giungere alla vecchia casa, non riusciva neanche a distinguere il sentiero che nel frattempo si era coperto da una spessa coltre bianca. Nell’avvistare in lontananza la luce del camino acceso dalla vetrata esposta a nord, il suo pensiero andava subito a lei che lo stava aspettando. Allora, in quel tenue bagliore, avvertiva un sentimento di protezione, era come se la sua Heghel gli dicesse: Mio caro Hans è ora di tornare a casa, al riparo dal freddo e da ogni pericolo, poiché io ci sono e attendo il tuo ritorno.

    Questo pensiero soave nei confronti della moglie, dapprima gli scaldava il cuore, ma poi lo riempiva di sensi di colpa.

    Pensava di non aver fatto abbastanza nei confronti di una creatura così importante per lui. Gli venivano in mente gli accadimenti più eclatanti vissuti con la sua famiglia, rendendosi conto che nei momenti più importanti, lui non era stato presente.

    Quando la sua Heghel la sera cercava di cucinare senza riuscire a piegare le mani per il dolore che gli procuravano i suoi reumatismi causati dal lavoro; quando tra atroci dolori riuscì a partorire in casa i suoi due gemelli rischiando la vita; quando loro iniziavano i primi movimenti, entusiasti della loro esistenza; quando iniziavano ad avere bisogno della sua vicinanza e protezione. Lui non c’era.

    Allora si rendeva conto sempre di più, che la vita gli aveva offerto delle cose di un valore inestimabile, ma lui non era stato in grado riconoscerle, forse per la sua totale concentrazione sul lavoro, forse per la scarsa consapevolezza giovanile, oppure, perché quando tornava a casa la sera completamente distrutto dalla fatica, a volte si addormentava mentre cenava.

    Quella donna, che poco prima di morire a causa della salute perennemente cagionevole, gli aveva donato due gemelli completamente diversi tra loro: Franz ed Alfred.

    La situazione familiare già molto dura per la miseria, si complico’ drasticamente dopo la morte di Heghel, quando Hans dovette partire per la guerra tra le file delle forze armate tedesche. I gemelli vennero presi in affidamento da un Istituto e per un lungo periodo nessuno seppe più nulla della famiglia. Anzi, dopo qualche anno girava voce che Hans fosse disperso o deceduto in guerra.

    FRANZ ED ALFRED IN COLLEGIO

    All’inizio della loro permanenza nell’Istituto, i gemelli erano sempre giocosi e pieni di energia, costantemente in movimento giravano qua e là invitando tutti gli altri ragazzi in un continuo susseguirsi di giochi, creando un forte senso di partecipazione.

    Franz ed Alfred insieme, avevano inventato un gioco che faceva rallegrare tutti i loro compagni. Si prendevano sotto braccio ed iniziavano a girare in tondo ognuno in senso diverso, dapprima piano poi sempre più velocemente, finché, non riuscendo più a tenersi, cadevano a terra sfiniti accompagnati dalle risate di tutti i ragazzi attorno.

    Era uno svago che avevano escogitato probabilmente per sentirsi uniti in un momento molto difficile. Ma funzionava sempre, poiché permetteva a tutti di accennare un sorriso.

    Lo avevano chiamato il gioco dell’infinito, per il disegno che riuscivano a realizzare girando in tondo.

    Ma poi, man mano che i fratelli crescevano, si cominciava a delineare il loro carattere estremamente diverso, proprio come il giorno e la notte.

    Franz robusto, corpulento e prepotente, riusciva a sottomettere tutti i suoi compagni alle sue continue angherie, talvolta togliendo agli altri anche quel poco da mangiare che l’Istituto era in grado di offrire.

    Neanche le continue punizioni che gli venivano inflitte per il suo temperamento irascibile e superbo, che lo portava ad una condotta spregiudicata, riuscivano a sortire effetto; tanto da valutare la possibilità di un allontanamento ad un altro Istituto più rigido in Germania.

    Del tutto diverso il fratello Alfred, di corporatura minuta, gentile, introverso, quasi disadattato alla vita materiale, come se provenisse da un altro mondo e non avesse neanche bisogno di mangiare. Infatti riusciva sempre a dare una parte della sua ciotola di latte a chiunque gliela avesse chiesta. Non conosceva l’odio e se ne stava tutto il tempo che gli veniva concesso ad osservare il cielo, poiché nell’infinito riusciva a percepire un grande senso di unione con il tutto. Diceva che riusciva a trovare se stesso, ma forse, era il suo modo per cercare di ritrovare dentro di se’ la cosa a lui più cara: la mamma. Di lei, ne avvertiva la presenza, ma non riusciva ad assaporarla. Proprio da lei, aveva ereditato il carattere e gli occhi, che emanavano una luce particolare, in grado di regalare un messaggio di conforto a chiunque li avesse osservati.

    Vi era solo una cosa che accomunava i due fratelli: una macchia scura posta alla base della nuca di entrambi.

    Il tempo passava e i due gemelli crescevano, finché arrivò per loro, il momento di separarsi a causa della distruzione del collegio colpito dai bombardamenti e di conseguenza avviati in istituti diversi all’estero, verso nord.

    Anche presso il nuovo Istituto, Alfred non perdeva occasione di offrire agli altri quel poco che possedeva, aveva una naturale propensione verso le persone in difficoltà. Questa sua inclinazione gli procurò una profonda unione nei confronti del giovane Johan con cui condivideva qualche metro della sua stanza. Un ragazzo fisicamente malandato, con gambe arcuate e spalle piegate in avanti, per questo da tutti deriso e soprannominato Der Zerstört ovvero lo Schiacciato. Il soprannome era dovuto alle deformità causate dai lunghi ed estenuanti sforzi a cui era stato sottoposto in tenera età, quando trasportava sulle spalle, sacchi di carbone provenienti dalle miniere del nord, così da ottenere una lauta paga giornaliera consistente in un pezzo di pane duro bagnato in una tazza di latte. Con lui Alfred era perennemente disponibile e protettivo. Infatti, eclatante fu il suo gesto, quando Johan si ammalò di polmonite e quasi in punto di morte, vide allontanarsi Alfred di tutta fretta per il paese intento a vendere l’unico paio di scarpe che indossava, per comprargli una bottiglia di vino rosso, pensando che quella maledetta tosse si fosse pian piano placata sorseggiando un po’ di quel nettare messo a scaldare.

    Tuttavia il suo compagno di camera peggiorava sempre di più e quasi giunto alla fine, osservando il suo viso, ora si percepiva un senso di serenità, poiché ringraziava il cielo di essere vissuto abbastanza per aver conosciuto uno spirito semplice, gentile e umile come Alfred a cui affidare il suo estremo abbandono. Così,

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