Oscura signora dell’abisso
By Flavio Torba
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About this ebook
Horror - racconto lungo (47 pagine) - Le persone che ami possono nascondere terribili segreti.
Secondo i medici, il malessere di Mauro è dovuto al dolore per la morte della moglie Daniela, vittima di uno strano incidente domestico. Nel tentativo di tornare alla normalità, Mauro scoprirà che le ossessioni di Daniela non sono scomparse con lei. Sono vive. E letali.
Flavio Torba è un ingegnere reggino – cresciuto a Stephen King e Clive Barker – che da un paio d’anni si dedica alla scrittura sotto pseudonimo. Ha pubblicato racconti su lit-blog come Verde, Reader For Blind, L’Ircocervo, Spazinclusi e in antologie come Carnaio e Carneide (2019 e 2020, a cura della rivista La Nuova Carne) e Il Buio (2019, dell’omonima rivista). Nel 2020 ha pubblicato con Delos Digital il racconto lungo La casa dell'odio.
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Book preview
Oscura signora dell’abisso - Flavio Torba
1
Se in questo momento un neon sfarfallasse, Mauro gliene sarebbe grato. In questa situazione, sarebbe contento di qualunque sfumatura di irrealtà, qualsiasi trucco da film d’azione partorito da un regista pigro con problemi di bollette, ogni metafora azzeccata a metà o fuori fuoco di un poeta che gioca a fare Rimbaud.
E invece la sala è più che reale. Piena di vecchi. Piena di tutti questi malati.
Mauro si decide a entrare, individua un seggiolino di plastica e ci si siede. I sostegni si lamentano, accolgono il suo peso perfettamente bilanciato con l’età, con l’assunzione di carboidrati e grassi, con una vita sessuale poco soddisfacente ma regolare, almeno fino a poco tempo fa.
La porta a vetri smerigliati è socchiusa per fare entrare un po’ d’aria. Si soffoca anche se fuori piove e i corpi intorno emanano un calore d’altoforno della mutua, umido e tossicchiante.
Si è appostato davanti all’ambulatorio quasi mezz’ora prima dell’apertura e vi ha trovato lo stesso un manipolo di irriducibili dell’artrite e dei reumatismi. Gli siedono accanto, questi catorci, questi specchi degli anni che prima o poi arriveranno. Sembravano così lontani e invece erano dietro una porta socchiusa, a sbirciare, ad aspettare il momento giusto ed entrare in punta di piedi nella sua vita e mettersi lì, in un angolo, dietro una poltrona, senza dare fastidio, a ingrassare fino a raggiungere un peso tale da far scricchiolare il pavimento, tale da non essere più ignorabile.
Non ci saranno altri anni per Daniela, ma Mauro storce la bocca pensando a se stesso.
C’è una bambina che saltella da una parte all’altra, la figlia o la nipote di qualcuno. Lei sì che è irreale.
Una signora a due sedie di distanza lo fissa. A intervalli regolari si massaggia il ginocchio gonfio e solcato da venature di blu.
Ci siamo, pensa Mauro.
– Dica un po’, lei non è mica l’avvocato che sta nel condominio Le Rose?
– Lì ho solo lo studio, signora. Abito poco lontano. Sì, comunque sono io.
– Oh, mi è dispiaciuto tanto per sua moglie.
La a di tanto si allunga più di quanto sia umanamente possibile. Anni e anni di pratica con frotte di parenti di coetanei scomparsi.
In sottofondo, una colonna sonora di tosse, starnuti, grattate, pagine sfogliate, discorsi su quanto era meglio una volta, su come ci fregano le pensioni.
Le suole di gomma della bambina stridono contro il linoleum blu della sala d’attesa, scaricano la sua energia infantile e saggiano i limiti della madre, che la guarda con la coda dell’occhio mentre parla con un’amica.
Oltre il bianco delle pareti, i colori dominanti sono quelli tenui e scuri dei cappotti. Solo una signora, quella a cui dispiace tanto, sfida tutti con un maglione rosa shocking.
La signora stringe la mano dell’uomo che gli sta accanto. Il marito, probabilmente. Ma l’insieme di loro due è così asessuato, informe, che non farebbe alcuna differenza. Non cambierebbe nulla se fosse il fratello rincoglionito. L’uomo ha dei baffi che avrebbero bisogno di una spuntatina. Mauro guarda la signora parlare ma non la ascolta, anche se si piega in avanti verso la conversazione.
– Signora, quand’è stata l’ultima volta che lei si è sentita potente?
Le palpebre dell’anziana non si chiudono per qualche secondo. I suoi occhi non potrebbero essere più grandi di così. Non capisce la domanda, o forse fa solo finta, vuole mantenere il suo universo stabile di realtà.
– Non ci ho mai parlato, ma sembrava sempre una brava ragazza. Così riservata – insiste.
La bambina scatta e poi torna indietro, come pentita, in mezzo ai rottami che aspettano una ricetta per il cuore o la vescica e che la guardano con un sorriso o una smorfia, a seconda del proprio grado di nostalgia.
– Il prossimo! – grida la segretaria.
Il medico continua a fare scattare una penna sponsorizzata da un farmaco per la pressione. Tic. Tac.
Ci siamo.
Mauro si accomoda, di nuovo, su una sedia che è la copia esatta di quelle nella sala. Alberto invece ha per sè una poltrona imbottita da ufficio, di quelle in pelle, ergonomiche, regolabili. Compie rotazioni di qualche grado da un lato all’altro. Da quel trono Mauro aspetta che arrivi la sentenza di morte. Almeno, che sia una cosa breve
– Ora ascoltami – dice Alberto. – Tu non hai assolutamente niente.
– Ci capisci poco di medicina allora.
– Tu continua a fare l’avvocato che io continuo a fare il medico. Qui ho la tua ecografia. Non c’è nulla. – Alberto picchietta la penna della pressione su una grande busta bianca che torreggia su una pila di carte spiegazzate agli angoli.
– Io ho una cosa qui che mi sta distruggendo… – dice Mauro. Anche il solo pensare allo stomaco gli provoca una