Bathory - la band che cambiò l'Heavy Metal
By Fabio Rossi
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L’eterna diatriba se siano stati migliori i Bathory del periodo black o quelli dediti al viking non terminerà mai e non avrà né vincitori né vinti!
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Book preview
Bathory - la band che cambiò l'Heavy Metal - Fabio Rossi
Prefazione a cura del saggista Flavio Adducci
Quando Fabio mi telefonò in un bel giorno di febbraio di questo disgraziato 2020 per chiedermi se fossi disponibile a scrivere la prefazione del suo libro dedicato ai misteriosi Bathory, ne rimasi veramente lusingato. Infatti, mai mi sarei aspettato una richiesta simile da un saggista musicale ormai affermato come Fabio Rossi, che per redigere questo sua nuova fatica letteraria si è ispirato al mio stesso saggio uscito nel 2019, Nel Segno del Marchio Nero: Storia del proto-black metal internazionale 1981-1991,⁴ nel quale parlo diffusamente anche dei Bathory. Perciò, eccomi qui a scrivere questa prefazione (che poi sarebbe anche la mia prima in assoluto!) con grande entusiasmo e stima verso il mio collega e amico Fabio.
Quello che vi aspetta è un libro breve, diretto e d’impatto che racconta vita, morte e miracoli dell’imprevedibile parabola dei Bathory e del suo deus ex-machina Thomas Quorthon
Forsberg, una figura così schiva e ombrosa che il suo vero nome di battesimo si seppe soltanto alla sua morte, avvenuta a soli trentotto anni. Stiamo parlando di un personaggio particolarissimo che, già ai suoi esordi, divenne un vero e proprio mito vivente nel mondo del metal visto che di lui non si sapeva praticamente nulla e, per giunta, non suonò mai dal vivo col nome del suo gruppo ed era anche restio a far circolare delle sue foto. Quindi, lo sforzo di Fabio è da premiare non una, ma ben due volte, dato che, non solo il nostro ha scandagliato in lungo e in largo per cercare notizie riguardanti l’uomo che si celava dietro il personaggio Quorthon con il risultato di trovare, per quanto possibile, curiosità che non sapevo nemmeno io (per dire, lo sapevate che Quorthon fosse stato vegano per qualche anno?), ma anche perché è il primo libro uscito in Italia interamente dedicato ai Bathory, un vuoto che qualcuno doveva pur riempire. E quel qualcuno è stato il buon Fabio, sempre pronto a parlare di eroi mai tanto lodati se non addirittura dimenticati⁵.
Ora, si potrebbe pensare che la misteriosità che ha caratterizzato questo progetto svedese fino alla sua fine fosse stata usata per marketing perché, in effetti, con tutti questi trucchetti promozionali, certamente non tanto frequenti ai tempi nel metal, i Bathory attirarono fin da subito tantissime persone, influenzando profondamente il loro modo di concepire il metal stesso. Però, così facendo, si trascurerebbe troppo ingiustamente la portata rivoluzionaria della musica dei Bathory, visto che Quorthon era talmente creativo e inquieto da aver cambiato più e più volte le direttive musicali al suo progetto principale. Infatti, partendo da una becera e primitiva estremizzazione della lezione impartita dai Venom (anche se Quorthon ha sempre dichiarato di non aver mai ascoltato i Venom prima di registrare l’album di debutto del suo gruppo, ma ancora oggi è veramente difficile credergli!), i Bathory finirono per essere gli inventori del cosiddetto viking metal
, cantando di leggende, di dèi pagani, di guerrieri e della loro terra prima che il tanto detestato cristianesimo regnasse su di essa. Ancor prima del viking metal, i Bathory sono stati a dir poco fondamentali per il black metal, un genere a cui sono particolarmente legato fin dai miei primi giorni da metallaro, e non è un caso che il mio primissimo (e finora unico) libro parli proprio di questo particolare modo di intendere l’heavy metal. Si può dire che i Bathory siano stati non fra i primi, ma proprio I
primi a suonare una forma compiuta di black metal, anche se ancora un po’ contaminata dal thrash metal. Ciò che sto dicendo è dimostrato ampiamente da quello che per me è il vero capolavoro dei Bathory, Under the Sign of the Black Mark, un album spartiacque che uscì nel 1987, un anno importantissimo per le sorti del metallo nero grazie anche a dischi come I.N.R.I. dei brasiliani Sarcófago e Deathcrush dei norvegesi Mayhem. Ma, fra tutti questi album, quello del gruppo svedese è, senza nessuna ombra di dubbio, quello più black metal in assoluto in quanto possiede tutte le caratteristiche del genere, dalla glacialità alle urla disumane, dalla produzione rozzissima eppure efficace alle macabre notazioni di tastiera e all’atmosfera di pura malvagità. Se poi ascoltate album seminali per il black metal come Transilvanian Hunger dei Darkthrone (disco che, ancora a distanza di anni, mi sorprende tantissimo nonostante sia così minimalista!), noterete quanto i gruppi norvegesi della seconda ondata siano stati influenzati dai Bathory.
Insomma, abbiamo a che fare con un gruppo, anzi, con un artista che offre ancora oggi tanti, tantissimi spunti di riflessione, e quindi parlarne non stanca mai, anche perché può essere perfino divertente. Sì, divertente
, avete letto bene, cari miei! Ho usato quest’aggettivo perché Quorthon, oltre alla sua inesauribile creatività musicale, ci ha lasciato anche un po’ della sua poliedrica umanità, la quale spesso, a quanto pare, sconfinava in atteggiamenti scherzosi da vero burlone. Per esempio, come vedrete più nello specifico fra poco, durante le interviste il nostro si divertiva a chiamarsi con dei nomi improbabili che erano dei veri giochi di parole in svedese, nascondendo in questo modo la sua reale identità e qualcosa fa pensare che ne avrebbe inventati di nuovi ancora per tanto tempo se la morte non l’avesse preso così presto! Ma il suo carattere burlesco, quasi canzonatorio, lo faceva trasparire addirittura in dischi violentissimi e malvagi come Blood Fire Death, stemperando così con qualche attimo goliardico la loro estrema ferocia. In particolare, Blood Fire Death contiene Pace ’till Death, un pezzo che presenta al suo interno una chitarra solista che, per un momento, suona un motivetto infantile e cantilenante che cita nient’altro che l’esilarante intro di Teacher’s Pet dei Venom! Gli stessi Venom, con cui, come si vedrà meglio dopo, Quorthon ha sempre avuto un rapporto ben strano.
Ora basta con le mie parole, lasciamo il proscenio al buon Fabio che vi racconterà moltissimo sia di Quorthon che della sua prediletta creatura musicale.
Sono sicuro che non vi pentirete in nessun modo di questa lettura!
Introduzione dell’autore
L’heavy metal si compone di svariati sottogeneri, ognuno dei quali fa riferimento ai musicisti che l’hanno ideato.
Il caso dei Bathory è davvero particolare, anzi a ben rifletterci rappresenta un unicum: a questa band, o per essere più precisi al suo fondatore e indiscusso leader Thomas Börje Forsberg, meglio conosciuto come Quorthon, si fanno risalire addirittura due modi completamente diversi e nuovi di zecca di concepire il metal, ovvero il black e il viking. Anche solo per questa motivazione, l’importanza della formazione svedese nello sviluppo della musica estrema è a dir poco fondamentale.
L’intuizione di intraprendere un percorso innovativo è già di per sé pregevole, ma riuscire, nel corso di una carriera, a tracciare addirittura due sentieri completamente inesplorati colloca di diritto la formazione svedese fra le più importanti e seminali dell’intera storia del metal.
L’eterna diatriba se siano stati migliori i Bathory del periodo black o quelli dediti al viking non terminerà mai e non avrà né vincitori, né vinti!
Se ci si sofferma, inoltre, sul non secondario fatto che Quorthon si rifiutava tassativamente di esibirsi dal vivo in un periodo storico in cui era indispensabile farlo se si voleva percorrere la strada verso il successo, tale risultato assume ancor di più i contorni dell’incredibile.
I dischi dei Bathory presi singolarmente sono dei capolavori assoluti e continuano ad essere dei punti cardine per tantissimi artisti. Certo, è doveroso anche ammettere che in taluni casi ci sono stati momenti di palese minor ispirazione, quali la poco convincente parentesi thrash rappresentata dagli scialbi Requiem e Octagon o l’eccessivamente disomogeneo Destroyer of Worlds che ha finito per ricevere più critiche che lodi. Nondimeno, sul resto della produzione della band credo fermamente che nessun vero intenditore possa eccepire alcunché di negativo.
Eppure, a detta di taluni, Quorthon non era né un chitarrista eccezionale, né tantomeno un cantante memorabile - era pure un po’ stonato - ma, nonostante ciò, la venerazione nei confronti del suo indiscusso genio creativo è pressoché totale sia da parte del pubblico che da parte della critica, anche quella più becera.
In questo libro, il primo dedicato in Italia ai Bathory e al personaggio Quorthon, ho cercato di riepilogare cronologicamente le vicende di questo combo che, sin dal principio, sono state contraddistinte da un velo di mistero e di oscurità che permane ancora oggi a distanza