Salvami dal vuoto
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Anteprima del libro
Salvami dal vuoto - Francesco Cristofaro
Prefazione
Ci sono viaggi per i quali si parte con un biglietto di solo andata e, nel peggiore dei casi, anche senza una destinazione precisa o qualche cartello lungo il tragitto che ti faccia da guida, che ti dia un cenno, seppur minimo, in grado di comunicarti qualcosa come: Sì, continua in questa direzione
oppure semplicemente un Non stai andando male
.
Ci sono viaggi senza tappe intermedie degne di essere immortalate in qualche scatto da portare a casa insieme a qualche souvenir del posto, in grado di farci ricordare perché abbiamo scelto di fermarci proprio lì o cosa c’era di così bello da vedere, quel qualcosa per cui valga la pena
.
E poi ci sono persone che, a prescindere dal tragitto scelto per loro dalla vita, tentano ugualmente di rischiare e provare a vedere e conoscere qualcosa in più, andando oltre a tutto ciò che credono sia nel loro destino. E poi ci sono persone che hanno dovuto subire scelte da parte di chi avrebbe dovuto solo proteggerli, amarli e non farli sentire mai smarriti.
Il destino di Sara, la protagonista di queste pagine, colei attorno alla quale ruotano tutti quei sentimenti che spaventano, quelle paure che soffocano e quei dolori che sembrano rimanere incollati al petto con una colata di cemento armato, è un destino che fa a pugni con un mare di consapevolezze e mancanze, con una marea di vuoti che a prescindere da chi incontrerai lungo la tua strada, ti faranno sentire sempre fuori luogo, sempre troppo diversa e incapace di donare amore, convinta di non poter trasmettere agli altri ciò che nessuno ha saputo trasmettere a te.
Forse per alcuni viaggi basterebbe solo cambiare occhi, ma ci vorrebbe troppo coraggio.
Francesco Cristofaro, in questo nuovo romanzo, conferma ancora una volta di avere una penna direttamente e strettamente collegata con quella parte di noi stessi che raramente viene guardata, considerata e toccata con mano perché preferiamo resti invisibile. Con questa storia, pagina dopo pagina, diventa tutto sempre più visibile, tutto prende forma, smettendo di essere ignorato e non vissuto. Nel caso in cui aveste paura di certe stanze vuote, sappiate che lui non ne ha ed è come se scegliesse di sedersi a quella vecchia scrivania, lontana dal mondo e iniziasse a toccare le corde più profonde dell’anima attraverso una penna immersa in un calamaio. Solo che a volte l’inchiostro, per quanto possa donare luce ad alcuni pensieri, rappresenta il buio, l’oscurità di certe vite, di certe anime perennemente intrappolate tra le onde di un oceano in tempesta.
La storia di Sara è un insieme di tante storie, di tanti mostri che non appartengono mai ad una sola persona anche quando crediamo di essere gli unici destinatari di certi dolori. È una storia che lascia molte lezioni per strada, tanti piccoli pezzi di un puzzle che non sempre bastano a completare ciò che siamo e forse, non sempre tutti i puzzle compongono l’immagine che ci aspettavamo o in cui speravamo, ma bisogna accettare anche quello, anche l’idea di non essere come avremmo voluto.
La speranza però risiede nella bellezza che riusciamo ugualmente a cogliere, nonostante tutto. Nonostante il buio.
Claudia Venuti
Ti hanno mai chiesto come stai? Come stai dopo un amore finito. Ti hanno mai chiesto come stai quando hai perso la strada, quando hai dimenticato l’ombrello e il coraggio. Quando cammini e non sai dove andare, ma vai lo stesso, fino a quando una panchina somiglia a casa tua e allora ti siedi. Ti hanno mai chiesto se hai freddo, se quel maglione nero riesce a coprire il vuoto che senti a settembre? Se ti hanno mai amato, te l’hanno mai chiesto? Ma amato da farti sentire a casa, a posto, altrove. Non amato a caso, non per noia, non perché profumavi come quelli che non vanno mai via, non perché eri l’unica persona a restare alla fine delle feste. Ti hanno mai chiesto cosa si prova? A metterci l’anima senza venderla al primo che passa, a restare buoni quando ti hanno buttato addosso tutto il fango che potevano buttarti? A continuare ad accarezzare tutte quelle cicatrici che di notte sembrano bruciare ancora.
No, la risposta è no. Non l’hanno mai chiesto.
A Sara nemmeno. Nessuno gliel’ha mai chiesto. Quando per strada sceglieva la panchina più lontana, quella vicino al suo bar preferito, riparata dal vento e dalle parole degli altri. Quando si accendeva una sigaretta e a metà già la spegneva per i discorsi mai fatti, quelli che non fai perché sarebbe come scavare dentro, perché sarebbe come tagliare il cuore in due e non trovare mai più l’altra metà.
Aveva smesso di dire alla vita che non era sola. Ora, che era sola, voleva gridarlo al mondo intero. Aveva attaccato al cuore uno di quei post-it che attacchi sul frigo per ricordare a chi vive con te di comprare lo yogurt, e ci aveva scritto sola
sopra. Venticinque anni, gli occhi marroni di chi ci ha creduto e una famiglia mai conosciuta. Venticinque anni passati a portare a spasso il dolore come il migliore degli amici. Ma di queste cose, è meglio parlarne con lei, ve la lascio qui, trattatela bene e guardate oltre ai suoi occhi. Alcune cicatrici non hanno un nome ma fanno male uguale, perché non conosci chi te le ha fatte.
Ciao, sono Sara. Se avessi avuto degli amici sicuramente mi avrebbero dato uno di quei nomignoli che dai alle cose che ti appartengono. Non sono mai appartenuta a nessuno, io. Persone ne ho conosciute molte e tutte quelle che sono passate nella mia vita mi hanno insegnato una cosa sola: a non essere come loro. Non volevo essere come loro. Con il cuore che batte e non sente niente. Non volevo svegliarmi una mattina e fingere. Non mi è mai piaciuto fingere.
Sono Sara, e lo so che fai fatica a disegnarmi un volto, per ora. Mi immaginerai con gli occhi bassi e le mani che