Bukowski. Inediti di ordinaria follia - Vol. 8
By AA. VV.
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La miscellanea “Inediti di ordinaria follia – Vol. 8” comprende trenta poesie e altrettanti racconti. In ognuno dei testi l’autore ha raccontato la vita vera, fatta di sofferenza, di sospetti, di compromessi ma anche di gioia, di risate e di amore. E lo ha fatto attingendo alle proprie esperienze e sensazioni, incurante delle mode stilistiche ed editoriali.
La selezione è il risultato dell’ottava edizione del Premio Letterario Nazionale Bukowski.
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Book preview
Bukowski. Inediti di ordinaria follia - Vol. 8 - AA. VV.
Prefazione
Ogni edizione del premio Bukowski si porta dietro il suo carico di aspettative e di curiosità. La sensazione è simile a quella di aprire un baule dimenticato da tempo in soffitta e scoprire come ogni oggetto susciti un ricordo, un’emozione, una suggestione. Inutile negare, quest’anno c’era da parte nostra maggiore interesse per capire come l’esperienza del Covid-19 avesse influito sulla produzione delle opere in concorso. Se infatti l’edizione 2020 aveva avuto poco tempo per sedimentare e accogliere i turbamenti e le ispirazioni dovute al confronto/scontro con un tempo sospeso, eccezionale, una parentesi nuova nelle nostre vite, questa edizione, l’ottava, si presentava come quella ideale per riflettere su ciò che stiamo passando.
Gli spunti non sono mancati. Così come la constatazione finale che, malgrado tutto, la letteratura, come la vita, va avanti. Alla fine il bilancio non è stato poi così diverso dagli altri: quando abbiamo ricevuto i manoscritti, ci siamo messi in cammino verso una destinazione ignota e, all’inizio, la paura è stata quella di perdersi, di non trovare le risorse per affrontare l’impresa. Ogni imprevisto, anche il più insignificante, ci spaventava. Di fronte a questo spaesamento, la soluzione è solo una: proseguire. Solo così tutto diventa naturale. Anche quando il percorso prende tracce imprevedibili e i consueti punti di riferimento si fanno mano a mano più labili e insignificanti. Andare avanti. Perché prima o poi la strada da qualche parte condurrà.
Da questo percorso noi ne usciamo arricchiti, ancora una volta. Anche se i nostri giudizi non accontenteranno tutti e daranno adito a polemiche e recriminazioni. Ma questo, ahinoi, fa parte del gioco (a volte crudele) di un concorso. Da parte nostra resta comunque la consapevolezza di aver goduto a pieno il ruolo privilegiato. Che, badate bene, non è quello di esprimere un giudizio sulla metrica di una poesia, sulla potenza di un racconto, sulla linearità di un romanzo. È il privilegio di entrare in contatto con i vostri mondi, con le vostre idee. Riattivare i sensi, aprire il cuore e il cervello. Non è cosa di poco conto: a chi ci chiede perché dopo molti anni siamo ancora qua, in questa giuria, la risposta viene spontanea: perché il Premio Bukowski ci permette di osservare una porzione di mondo da vari punti di vista, ci consente di accogliere spunti e riflessioni. È un momento di confronto e di crescita, è un modo per stare insieme agli altri. Ecco, sta proprio qui l’energia di questo premio: in una fase storica in cui i corpi (e le menti) si sono dovuti per forza di cose allontanare, il premio Bukowski ci ha permesso di riattivare le connessioni e di riportare al centro delle nostre discussioni la letteratura.
La Giuria
(Simona Viciani, Rosa Galli Pellegrini, Michele Nardini)
Classifica finale
VIII ed. Premio Letterario Nazionale Bukowski
Sezione Poesia inedita
1. classificata: Anna Martinenghi - Fate conto di essere matti
2. classificato: Simone Sagripanti - Si tratta di rimettere il sole in mezzo al cielo
3. classificato: Sante Serra - Un giaciglio di fortuna
Premio Speciale della Giuria: Manuela Melissano - Tutti i colori dell’arcobaleno
Menzione Speciale: Erika Caser - Marzo 2020
Lista finalisti pari merito (in ordine alfabetico):
Silvia Alonso - Le cose che le suore non dicono
Daniele Giovanni Baccaro - La ruota di ossa
Marco Barbieri - Il terrore che semini
Luca Benatti - Ch’io possa ancor intravedere l’alba
Emilia Bezzo - Quaderni parigini
Marco Bravini - A basket case
Riccardo Carli Ballola - Dialogo
Danilo Ceirani - Il buio nell’anima
Andrea Creuso - La chiave del tempo
Vittorio Di Ruocco - Il treno per Treblinka
Rolando Greco - Route 395
Paolo J Iraci - Mia mamma camminava a piedi nudi
Elisabetta Liberatore - Elegia di un precario
Venusia Marconi - Un bicchiere di vino
Roberto Marsiglia - Anima, di cosa vuoi parlare?
Eva Giulia Pederneschi - Last One
Isabella Petrucci - Squallore
Carlo Ricci - E se fossero nuvole
Simona Salice - Nota violata
Donatella Sarchini - Red carpet
Silvia Sardini - Umano canto
Chiara Trombetta - Tempi migliori
Rubens Villarboito - Il poeta
Annalisa Viola - Beffe del Fato
Diego Zanoletti - Incubo #13
Sezione Racconto inedito
1. classificata: Elena Marrassini - Io e Berp
2. classificato: Mattia Cecchini - La coscienza di zero
3. classificato: Davide Sannia - Whisky&Proust
Premio Speciale della Giuria: Piero Sesia - Dinamite
Menzione Speciale: Marzia Astorino - Samuele
Lista finalisti pari merito (in ordine alfabetico):
Franco Amato - Il giorno del mio funerale
Marco Angelini - Il motoscafo
Stefania Bacci - Un po’ d’aria
Andrea Barbuto - Quelli dell’autobus numero 30 (delle 15.45)
Antonio Bini - In sala
Stefano Camossi - Il grande Gaspi
Carlo Castelli - L’amante degli addii
Giancarlo Cotone - La casa nuova
Ugo Criste - Pietra-sabbia-acqua-terra
Deadlyluka - Incidente a Chiantown
Fabiola Discianni - Lo stato embrionale
Daniela Dose - Shaila
Mario Eleno - Nerina
Laura Figini - Inevitabilmente Covid 19: Di quanto non ci fosse bisogno che tutto si fermasse o forse sì
Oliviero Lolo - Da una notte all’altra
Alessandro Manzi - Storia d’amore in sei caffè (…non necessariamente in ordine cronologico)
Gianmarco Marabini - Essere
Enrico Nottoli - Maledetto De André
Emanuele Rizzi - La festa dei pazzi
Linda Rossi - La culla della vergogna
Stefania Rotondo - Block ró ż a
Gabriele Scelza - Lo scrittore anonimo
Maria Luisa Stomeo - Nel nome del Padre
Lino Tomei - L’incontro
Alessandro Trinci - L’ultimo assalto
Sezione Romanzo inedito
1. classificato: Pierfrancesco Mastroberti - L’eredità di Gregor
2. classificata: Elettra Iago - Etere
3. classificato: Emilio Noaro - Memorie di polistirolo
Premio Speciale della Giuria: Santo Triolo - Sudd
Menzione Speciale: Luca Pellizzoni - Odio comandato
Lista finalisti pari merito (in ordine alfabetico):
Pier Luigi Nanni - Paradise Buffet e il dilemma d’amore
Oriano Bertoloni - Lucertole nell’ombra
Patrizia Bianco - L’incantato
Annamaria Bonandrini - Nella sfera di cristallo
Luca Bucciantini - La partigiana
Stefano Ceccanti - Il Regno del silenzio
Marco Ciaramella - Curzio… un investigatore in Valdera
Giancarlo Cotone - Gabbiani sul Bosforo
Riccardo Piero Dalle Luche - Confessioni di un portatore occasionale di tangenti
Lucrezia Guaita Diani - La lista
Luca Sinesi, João Avelar Lobato - Equatore - Un’avventura amazzonica del detective Alfonso Scardicchio
Francesco La Tessa - Psorophora
Giovanni Macrì - La mia strada
Angela Mannini - Oltre lo specchio
Donatella Minola - La pelle sotto la divisa
Romano Nigiani - L’ora del Crepuscolo
Marisa Piccioli - Il cobra fuma la pipa
Sara Romanato - Opal
Serena Salerno - Un altro me, un altro mondo
Franco Sorba - Sapevo contare fino a cento
Daniela Tani - Buona condotta
Alessandra Tredicine - Resistente
Dayla Villani - Punto e virgola
Michele Visconti - Il ponte di ghiaccio
Nicola Vitale - I pittori del lunedì
Sezione Poesia
Silvia Alonso
Finalista Sezione Poesia
Le cose che le suore non dicono
Confessioni segrete di una Sorella
Il mio sposo non ha la pancetta
come gli uomini della sua incerta età,
neppure si consola con l’amichetta
quando gli dico: No caro, stasera non mi va
.
Con lui non cerco una scusa
le volte che sono indisposta,
non devo pensare alla spesa
se per caso mi duole la testa.
Lo incontro ogni momento in chiesa
nell’intimità con la più fida panca
non ho la certezza che ascolti
ma almeno non mente,
finte scuse non arranca.
Il mio sposo non mi esige in cucina
macchiata dalla lotta coi fornelli,
piuttosto mi desidera candida,
immacolata come la Venere del Botticelli.
Non devo sedurlo ogni sera
con la tortura delle collant velate,
né acrobazie funamboliche inventare
per render le mie forme più aggraziate.
Le volte che il piatto langue
non fingo falso stupore,
né estasiato improvviso il godimento,
quando è così forte il suo odore
da fare quasi spavento.
Dell’estetica non subisco l’assillo,
ma tramuto la frusta in stordimento,
come il più segreto e astuto gingillo,
del piacere il prezioso strumento.
Sembrava clausura forzata
la mia unica strada per la libertà,
invece ho scoperto la porta segreta
dispensatrice di cosmica voluttà.
Fare l’amore con la perfezione
più incorruttibile dell’universo
è mettere le ali alle preghiere
fecondando in loro vece l’immenso.
Sfuggo al deterioramento della relazione
aspirando alla passione più assoluta:
è pura sete di ribellione
la nascosta voce del mio giuramento.
Non temete, comunque:
non credo nella redenzione.
In questa assurda valle di lacrime
lascio agli altri la breve menzogna,
io mi tengo in eterno la gogna
di un amato, infinito tormento.
Daniele Giovanni Baccaro
Finalista Sezione Poesia
La ruota di ossa
I monti nell’amara contemplazione assorti
bisbigliano all’animo fresco di temporale
i terrori serpeggianti delle nere nubi, complici
del rivelare pianti sopiti dinanzi al trono luminoso
della natura su letto di morte distesa, un tessuto
d’ossa fredde di sterno marmoreo ed eviscerato,
dinanzi a tale trono, intagliato dalla sorte in un sego
pronto a morire sotto il pianto di Dio paralitico.
Di che saranno i pioppi orfani a somiglianza?
scarnificati e ciechi, le loro mani alla marea
offrono doni cinerei, blasfemie e un avvenire
prezioso come sogni di zolfo egregio e palpitante;
a destare vene sgombre l’odore del lutto,
di lei che piange un sepolcro mansueto,
cui ogni putrefazione sarebbe assai più lieve,
ma non l’unica creatura che conobbe il suo ventre.
Il paradiso! Sgorghino i sangui dal cranio di Abele
e bacino, se possono, il capo nudo della madre,
oserebbero violare la virtù che nulla parla,
oserebbe lo spirito disconoscer questa legge?
La donna non mai piegherà lo strazio crudo
all’idiota che la croce vorrebbe credere reale,
né sapranno pagine di legno vecchio consolarla
trapelate dai sorrisi d’un giullare della Mente.
Sanerai forse tu col tuo spago lanoso una piaga
vista quasi per errore sul saper di gioventù,
un sapere sconosciuto, solo noto a chi lo visse
una mole di dolore, roccia fusa e dannazione?
Lei è silente, nei tuoi occhi scaglia i suoi anatemi
e si rifugia nelle albe ove il figlio giubilava,
e da memorie fresche si lascia pur bruciare,
da quei baci di sangue dati al corpo già di cera.
Appeso alla serpe di iuta da lui stesso congiunta,
lo scalpitio del Perché, chi potrà mai conquistarlo?
prigioniero del respiro, del canto delle stagioni
ne comprese uno stridio e non volle altro avvenire.
E questo lei trovò, malefico incanto di occhi socchiusi
due vite già fuggite, ma un sangue solo ancor bollente:
l’orrore tutto umano; e la fontana d’affezione
alla follia dovette cedere ogni landa del suo cuore.
La gola della madre è un vulcano calcificato,
e poi, subito, dalla sua anima cola viscido un inferno;
le lacrime, gradini di una scala incandescente
per giungere fino al volto giovane e sbiancato
dalla Morte che le sue sacre labbra sfavillanti
ha poggiato su vent’anni pregni di inerzia brulicante;
ma forse che ciò potrà mai spegnere il dolore
della donna cui carne glaciale fu figlio -e vero sorriso?
Dove trova ella conforto? A nulla vale la bottiglia,
non scorda il gusto amaro del cuore di Gesù
masticato nelle diaboliche abluzioni della vigna.
Ella tutto ha in odio, nutre il cancro del suo orrore.
Quale essere partecipa della tua maledizione?
quale senso della tua Passione sarà la ghigliottina?
e quando il rotolare atroce di un vivere perduto
si congelerà nell’ermetico abbraccio della fossa?
Non saprà quel coltello scavare fino alla ragione,
non placherà il demonio della colpa a nome assenza.
È assente quanto il giallore dalle morti più pensose
ma rinasce a ogni alba per l’abisso dell’attesa.
Marco Barbieri
Finalista Sezione Poesia
Il terrore che semini
Nata da gocce innocenti
di nuvole senza colore,
spalanchi le porte
del disumano abbandono
e percorri strade pulite
come sale operatorie sterili.
Ammantata di sangue in vapore
ti diverti a soffocare
con la cieca nebbia nera
chiunque tenti di dipingerti
con il vero volto scuro del nemico.
Osservi le anime cadere
in precipizi affilati di accuse
e disprezzi i corpi spezzati
che si dibattono ancor prima di toccare terra,
ma resti immobile
con il volto anonimo di chi non è tra loro.
Non esiste scudo così astuto
che ripari dai tuoi dardi acuminati e invisibili.
Se fossi odio
moriresti d’amore,
ma sei l’indifferenza
e l’unico modo per respingerti
è ricordare a tutti
il terrore che semini.
Luca Benatti
Finalista Sezione Poesia
Ch’io possa ancor intravedere l’alba
Ho perso la voglia di rimanere in piedi,
cieche memorie
si intarsiano di parole.
Ingabbiati orli succinti
sono ombre di velate offese,
ho perso lieti parole
che verdeggiavano su crinali d’alba
portandomi tramonti incantati.
Che d’io possa ancor
intravedere i tuoi occhi
in questi angusti angoli oscuri
nei tessuti portati a bocca,
nelle tetre dimore del tuo io
or portami luce
abbandona quell’oscura vanità
e inonda di pieno sole
gli angoli oscuri della mia mente.
Ch’io possa graziar le tue membra
al color fugace,
di te che porgi la mia velata tristezza;
ho arso tra pieghe infauste
di questo inquieto mio vagare.
Regna mia soave scrivente
tu, sì tu, ancora tu,
a infliggere questo mio tormento
solchi di muri divisori
che porgano le tue assenze.
No! No, che esso sia
la fine del mio canto
nelle tue mani.
Emilia Bezzo
Finalista Sezione Poesia
Quaderni parigini
III
Si condensano lì,
nel muretto scrostato
di un vicolo cieco
le sofferenze umide di una
moltitudine grigiastra.
Attiri la nebbia, confondi i passanti,
o Lutezia perduta,
cola il sangue dai tuoi viali
morenti
curi col gelo le ferite
putrescenti,
e noi convalescenti
ad attendere inermi il tuo verbo materno.
Nulla.
E camminiamo su ponti e cadiamo stremati
gli occhi insanguinati
rossi incandescenti
vittime di convulsioni irrigidite.
Nulla.
Avanziamo senza gambe
tra cimiteri senza tombe:
la Senna ci chiama, la meta è vicina.
Marco Bravini
Finalista Sezione Poesia
A basket case
Incastrato
bloccato
senza aria
chiuso, rannicchiato
stretto su me stesso
per dare meno fastidio possibile
per occupare meno spazio possibile
su questo mondo
e poi di colpo
le pareti si stringono
non posso più muovermi
allungare braccia e gambe
i muscoli iniziano a dolere
ogni cosa inizia a far male.
Oramai sono abituato
i miei pensieri
le mie nevrosi
mi hanno modellato
nel fisico e nell’anima
questo è quel che sono ora
incastrato
accartocciato su me stesso
come una pallina di carta
da buttar via.
Riccardo Carli Ballola
Finalista Sezione Poesia
Dialogo
Dentro di me c’è una vocina
che ne intrattiene un’altra
con cui discute -s’interroga parla-
di mille cose sempre diverse,
tornando spesso sulle stesse.
Si consultano di volta in volta,
quasi per appuntamento,
nei momenti del giorno
tra gesti e spazi soliti.
Attimi come pozzi
per risposte importanti
nel silenzio che io ascolto
come se non ci fossi.
Attimi e ombre dell’abisso
che mi stringono il cuore,
che zitto zitto ascolta
quasi senza battere,
perché il dialogo
non cessi mai.
Erika Caser
Menzione Speciale Sezione Poesia
Marzo 2020
Ho salutato un nuovo mondo,
dalla finestra di casa mia.
La paura, sconosciuta sensazione di impotenza.
Un odore strano quel giorno di marzo
riempiva l’aria che annunciava la morte.
Il suono squillante delle ambulanze riempiva le strade.
Quel giorno
vidi una nuova alba.
Ero come un uccello senza piume.
Incapace di volare!
La mente che viaggiava, sconfinando la realtà.
La voglia di scappare in un posto sicuro.
Un nemico silenzioso era giunto portandosi via i sogni.
Un nemico affamato di anime era entrato nelle nostre vite.
Un urlo verso quel cielo,
che quel giorno di primavera
aveva deciso di tingersi di un azzurro come mai aveva fatto prima.
Ho pianto,
ho chiesto scusa al mondo, dalla mia prigione di cemento.
Ho chiesto perdono per non averlo amato prima.
Danilo Ceirani
Finalista Sezione Poesia
Il buio nell’anima
Scrivere per liberare l’anima,
unico modo per non dover soffrire.
Il male di vivere, circonda, attanaglia,
ogni istante della vita.
Opprimono le catene dell’indifferenza,
ombre oscure fanno compagnia.
Camminare in luoghi in preda alla follia,
inciampare, cadere, senza potersi rialzare.
Pensieri trasandati,
in cerca di risposte,
annaspano nel vino,
di nuovo stracciati i fogli del destino.
Sei Sisifo o Amore?
Costretto alla perenne fatica
o consumato dal dolore.
Cercare la luce nel tormento,
accanto al baratro,
silenzioso attende,
l’ultimo balzo
nell’oblio delle tenebre.
Andrea Creuso
Finalista Sezione Poesia
La chiave del tempo
Il silenzio è la chiave
che il tempo concede
per entrare nel suo limbo
in punta di piedi
ripercorro gli attimi andati
più volte e più volte
osservo e riascolto
per capire, imparare
percepisco i profumi
riecheggiano i suoni
riavvolgo tutto veloce in fretta
oppure stendo i minuti
dilatati in sconfinata lentezza
forse per fissarne l’immane bellezza
posso uscire e rientrare
e continuare a viaggiare
il silenzio è la chiave
che il tempo concede
Vittorio Di Ruocco
Finalista Sezione Poesia
Il treno per Treblinka
Dedicata ai martiri di Treblinka
Strappati come piante dalla terra
seimila o forse più lungo il binario
che porta fino al fondo dell’inferno,
né semi né radici da salvare.
Il treno della morte corre lento
tra gli alti pini bianchi per il gelo
nel livido lucore dell’aurora
nell’infinita notte della vita.
Le anime aggrappate alla speranza
trattengono le schegge di paura
con trame di incosciente leggerezza
con nuvole dipinte di preghiera.
Stipati nei vagoni sigillati
dal lugubre mantello del terrore
senza più indizi sulla loro sorte
ricolmano col miele del ricordo
quell’orrido scavato nel presente.
Qualche sorriso misericordioso
compensa lunghi e disperati pianti
di fronte alla certezza della fine
nel gelo dell’inverno di Treblinka.
Oltre il filo spinato va il pensiero
ai sogni calpestati con il fuoco,
a un nefasto giorno di settembre,
ai demoni alemanni che a migliaia
fecero scempio della libertà,
quando brillava il sole per le strade
già nude e indifese di Varsavia.
Adesso in questo sordido burrato
di sofferenza e pena senza fine
le bestie armate dal sembiante umano
straziano i corpi senza una ragione
tra deliranti risa di follia.
Poi l’orgia delle fiamme a cancellare
le tracce dell’ignobile mattanza
l’orrore della turpe verità
che morta nella cenere rovente
risorge nel trionfo del ricordo
nel tragico sgomento del ritorno
quando il passato sembra già annegare
nel cielo terso e azzurro dell’oblio.
Martiri di Treblinka voi vivrete
nel pianto eterno dei puri di cuore
nella vendetta fatta di perdono
nei templi intatti della libertà.
Rolando Greco
Finalista Sezione Poesia
Route 395
Mammoth Lakes, CA
Ci eravamo incontrati per caso
nel cuore nero della notte
in California, facevano rumore
le nostre anime sedute
in disparte sullo sgabello rosso
di un fast food, a smaltire
la sbornia a forza di sbadigli
e lacrime e bibite sgasate.
Era appena cominciata l’estate.
Non c’era molto da fare
se non guardarsi attorno
e desiderare, in qualche modo,
di non essere mai nati.
Eravamo ubriachi di idee,
eravamo spiriti illuminati
dal sole di altre terre,
non ci bastavano la strada
la religione e la sbrigativa mondatura
delle guerre, vedevamo
nella nostra stessa presenza nel mondo
una ragione per non affogare.
Ma c’era l’asfalto, al di là
della notte, c’erano graffiti
a forma di croce sulle pareti dei night club
e c’erano residui di uomini
che oltre l’oceano si erano
sentiti chiamare soldati, troppo
imbrattati di sangue e ricordi,
troppo affamati di effimere glorie
per meritare il conforto sbiadito
di un tetto. E allora non restava
che partire, o premere il grilletto.
Noi eravamo partiti, altri
vagavano ancora in cerca dell’ultimo
comandamento inciso sul libretto
delle omelie.
C’ero io, al volante, davanti a me
solo querce e un torrente d’asfalto,
sul sedile di fianco
Natalie e una bottiglia di scotch
doppio malto -vuota
come il cielo all’orizzonte.
Correvamo perché,
quando una fiamma divampa
nella foresta dello spirito
e si trasforma in incendio
non si può camminare
o restare a guardare,
l’unica nostra meta era
la luna che avevamo di fronte,
l’unico pensiero
che ci frullava per la testa:
a cosa serve uno stipendio
quando il tuo cuore brucia
nel fuoco?
Non era un gioco, ma non era
neanche il retrogusto di caffè
sepolto nell’alito di un lunedì mattina,
non era la rivoluzione armata
di un popolo, ma neanche
cieca obbedienza alla tirannia
di una società senza volto.
Non c’era molto da fare
se non guardarsi attorno
e desiderare, in qualche modo,
che la strada potesse non finire.
Avevamo perso tutto, ma solo così si perde
la paura di morire.
Non ci eravamo lasciati rimpianti
alle spalle, davanti a noi
solo terra bruciata e deserti.
Però pensate a quegli istanti
in cui, sotto un cornicione immenso
di tenebra, solo le stelle
potevano vedere i nostri corpi incerti
rimanere nudi come due pianeti
e scomparire in un abbraccio
nelle acque bollenti dei crateri
di Wild Willy, solo le alghe imprigionate
tra le rocce al fondo
potevano sentire l’eco
delle nostre parole trasformarsi
in bolle di sapone.
Pensate a due anime fredde
e nude che si sciolgono
nella sorgente nera del mondo,
solo le stelle e il silenzio
dei campi a vegliare,
due spiriti persi nella notte
che si ritrovano
facendo l’amore.
Paolo J Iraci
Finalista Sezione Poesia
Mia mamma camminava a piedi nudi
Mia mamma camminava a piedi nudi,
la scuola era chiusa,
e il cucinare era sollievo.
Laggiù lungo quella via si moriva,
di stenti e dimenticanze,
la vita aveva un odore
di taralli al limone.
E quel sapore che viaggiava,
nella mia memoria entrava,
accendeva una stanza buia,
fin a trovare casa.
Carretti siciliani,
che valevano più dei sogni,
e il gusto del pane
s’era dimenticato.
La camminata pian piano s’era calzata,
ma non v’era più quel bisogno.
E non dimenticai mai
quei piedi nudi,
e il giocare sotto gli affreschi
del vecchio gelso.
Quei piedi nudi rimasero gelidi,
e il mio cuore,
non seppe andare via
lungo le strade,
che non portavano alla vita,
quei ricordi del cuore,
rimasero come
il sapore dei Taralli.
Elisabetta Liberatore
Finalista Sezione Poesia
Elegia di un precario
Cambierà questa brulla incertezza
da funambolo, madre,
il commiato senza suono
e il tuo saluto muto sulla soglia.
Cambierà il mio futuro
sospeso come un fiato
su un tempo mai giunto,
la rata di un debito inesauribile,
l’ingordigia vestita di regole.
Cambierà il conteggio
di un prodotto lordo d’ansia
cucito sull’anima
e la favola bella del merito,
la grigia sembianza di una chimera.
Finirà la misura sgranata
di questa bilancia guasta
che esonda numeri come
lame affilate su vite prescritte.
Finirà il brivido del mio esilio
l’ondeggio indegno
di questo imbroglio e
il mio tassametro saturo d’inverni.
Finirà l’infame sostanza
di questa maschera da precario,
un marchio a fuoco e una sconcia ferita
che gronda ingiustizia.
Vedrà un nuovo giorno quest’alba scura,
il mio sguardo opaco
e questo treno grigio
diretto oltre il confine.
Venusia Marconi
Finalista Sezione Poesia
Un bicchiere di vino
Un bicchiere di vino
per disinfettare le ferite
di una notte insonne
e guardare allo specchio
le macerie di un volto
conosciuto e nuovo.
Un bicchiere di vino
per ogni sogno lasciato
a un angolo patologico
e ogni fiore incastrato
dentro un cielo viscoso
che chiede perdono.
Un bicchiere di vino.
Ancora.
E la smorfia diventa sorriso.
E il sapore delle lacrime
un ironico amante.
Roberto Marsiglia
Finalista Sezione Poesia
Anima, di cosa vuoi parlare?
In fila indiana a timbrare il cartellino,
2800 saldature e i dorsi delle mani bruciati,
l’auto attende al solito parcheggio.
Anima, di cosa vuoi parlare?
Son troppo stanco e spaventato
per scrivere una poesia.
Idee frenetiche e confuse
volteggiano nella mia testa,
cercano una forma di creta,
dei confini corporei ove esprimersi.
Vorrei che tacesse l’eco che mi tormenta
e nutre la notte d’un fuoco perenne;
è meglio essere già morti che morire lentamente
con l’etica del lavoro che consuma l’anima,
il cibo spazzatura e la boxe in tv.
I pugili dimostrano orgoglio e coraggio.
Da quanto tempo ho smesso di lottare?
Continuo a esibirmi dentro un circo
anche se gli unici spettatori sono i topi.
Bisogna lottare per un briciolo di dignità,
provo pena per il me stesso omologato
mentre l’altro me stesso sbraita, con una birra in mano,
pretendendo i suoi diritti di libertà.
L’omologazione è la rovina dell’uomo,
è come una serie di formiche addomesticate
che cercano di sopravvivere guardando il cellulare,
è come un lurido verme solitario
che ti divora dall’interno senza ucciderti,
è una fottuta replica di un sordido spettacolo
che finisce sempre nel medesimo modo: con la tua morte.
Anna Martinenghi
1. classificata Sezione Poesia
Fate conto di essere matti
Lasciate una poesia sospesa
un avanzo d’anima
una gioia involontaria
una cosa piccola
ben fatta
Fate conto di essere matti
sbattete contro gli arcobaleni
date valore ai giochi nei cortili
alla gentilezza che non finisce sui giornali
adeguarsi al male
al brutto
all’iniquità
è associazione a delinquere
Rompete i coglioni al mondo
nei giorni bui
esigete la luce come diritto
e quando siete nel sole
non dimenticate
che serve a fare le ombre
Manuela Melissano
Premio Speciale Sezione Poesia
Tutti i colori dell’arcobaleno
Se io fossi verde,
nata verde in questo mondo,
buccia di acino d’uva dalla polpa succosa,
rara, intensa, preziosa come pietra smeraldo,
chioma di quercia antica che protegge le tue fragilità,
tu l’azzurro ameresti.
Soffocheresti i miei desideri nelle dense nuvole del cielo,
affogheresti il nostro amore nell’acqua cristallina degli oceani,
poseresti il tuo sguardo negli occhi cerulei di un’altra donna.
Se io fossi rossa,
nata rossa in questo mondo,
fragola matura, sensuale, carnosa,
tra le mani bocciolo delicato di rosa,
preludio erotico di bacio sulla bocca,
tu il giallo ameresti.
Ti mostreresti aspro con me come succo di limone acerbo,
bruceresti le mie certezze nella fiamma inarrestabile della gelosia,
accecheresti nei raggi del sole la speranza dei nostri giorni futuri.
Se io fossi bianca,
nata bianca in questo mondo,
bicchiere di latte caldo nel risveglio del mattino,
lana morbida, pregiata, accogliente sul corpo,
fiocco candido di neve nella magia dell’inverno,
tu il nero ameresti.
Vedova nera velenosa ad aspettarmi nella tela saresti,
notte buia senza luna, priva di stelle, che divora i sogni,
macabro vestito nero nel giorno del mio lutto.
Se io fossi,
fossi nata tutti i colori dell’arcobaleno,
tu nessun colore ameresti.
Eva Giulia Pederneschi
Finalista Sezione Poesia
Last One
Nel nome di ciò che
rinneghi
tacerò ormai i tuoi sguardi
finiti
Ho camminato
col tuo medesimo passo
brevi miglia che sembravano
incapaci di salvarsi
di salvarci
e di svanire
Ho camminato
con immutata devozione
lunghe interminabili miglia
inseguendo i tuoi passi
risaputi e andati
Ciò che resta sono
distacchi sovrapposti
e contingenze stordite
da mesi colati
come anestetici esausti