IO CE LA FARò
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Book preview
IO CE LA FARò - ADRIANA MANGO
RINGRAZIAMENTI
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare le tre persone che mi hanno incoraggiata a raccontare questa mia storia.
Il Monsignor Giovanni Scanavino è stato uno dei pochi maestri che si possono incontrare nel corso della vita, è stato lui ad invogliarmi a descrivere la mia esperienza come esempio di grande volontà e di forza interiore.
Il Signor Angelo Piscina, è l’autista di famiglia, grazie alla sua sensibilità e alla sua dedizione, mi ha dato l’opportunità di rendermi autonoma e indipendente.
Mi ha spinta a raccontarmi, come un esempio, anche per chi ha avuto prove di vita non facili.
Il Capitano di Marina Gaetano Appeso, con il quale condivido passioni e progetti culturali, ha avuto fiducia e ha creduto in me, dandomi l’opportunità di diventare una scrittrice.
Mi ha stimolata a raccontare la mia storia, come un esempio di grande determinazione.
Un ringraziamento particolare è per la curatrice di questo vo- lume, la Dott.ssa Irene Barbetta, la quale con profonda sensi- bilità e grande disponibilità, mi ha aiutato a redigere queste pagine.
Un ultimo riconoscimento al cugino Peppino che ha creduto nel mio racconto come messaggio positivo per tanti ragazzi.
Prefazione
Io ce la farò
: UN CAPOLAVORO DI DIO!
Con un meraviglioso viaggio interiore, la nostra Elisabetta - Elischeba (aramaico), colei che si fida di Dio, ci ha offerto la descrizione di un vero capolavoro di Dio. È lei questo capo- lavoro, per il coraggio dimostrato, una tenacia di altri tempi e uno stile letterario da scrittrice ormai affermata.
Complimenti! Non c’erano le premesse di un vero capolavoro, tutt’altro. Ma guarda che ti combina quel misto di amore eccezionale dei suoi familiari, che reagiscono alla sventura con un senso di responsabilità e di dedizione tipico dei cristiani del sud, che si sono portati dietro tutto il sole e l’ottimismo delle migliori tradizioni. E si vedeva tutti i giorni questo ottimismo, quando per le strade di Pavia Elisabetta era costantemente e orgogliosamente accompagnata ora dal papà e ora dalla mamma. Qui ha veramente vinto l’amore. Naturalmente c’era già una bella intelligenza, e una vivacità aperta agli aspetti più gioiosi della vita, che non le hanno permesso di chiudersi nella tristezza, ma l’hanno spinta ad ogni tentativo e sfida possibile. I risultati eccezionali parlano da soli: non solo ce la devo fare, ma ce la farò brillantemente!
, a dispetto di tutti, di un mondo bastardo e ipocrita.
Oggi abbiamo la gioia di ammirare e di abbracciare un vero capolavoro di Dio.
Non solo doppiamente laureata proprio in quella scuola che Elisabetta ha sempre onorato con il massimo della passione e dei voti. Due lauree per una scuola che alla fine non ti riconosce: è proprio qui che manca l’amore.
Siamo noi che dobbiamo ringraziare te, Elisabetta, per averci dimostrato che nulla, nessuna sfortuna può fermare chi crede nelle proprie risorse umane.
Ho sempre cercato di stimolarti a scrivere questo diario, perché sono convinto che il nostro mondo ha bisogno di queste testimonianze. Tra tante, troppe, parole inutili e confuse, ci vuole una scossa, soprattutto per i giovani, per capire quello che si può fare, e di quanto amore c’è bisogno per cambiare questo mondo.
Grazie di cuore, e che il Signore ti benedica.
Padre Giovanni Scanavino
PREMESSA
Sono convinta che non sia affatto facile scrivere di se stessi, soprattutto se si desidera raccontare la propria storia e dover rivivere le proprie emozioni.
A volte, non ci si accorge dello scorrere del tempo, forse per- ché si è troppo presi dalla vita quotidiana e non si trovano dei momenti del proprio tempo per fermarsi a riflettere.
Occorrerebbe ripensare alle proprie esperienze vissute ed ana- lizzare il proprio io. Mi rendo conto che tutto ciò non sarebbe una operazione così ovvia, anche perché comporterebbe fatica, in quanto trovarsi a contatto con il proprio io, di fronte alla propria coscienza, significherebbe assumere la consapevolezza di ciò che si è, e di quello che si è riusciti a realizzare.
Credo, che rivivere certe situazioni intime e narrare le proprie esperienze di vita, possa essere un affascinante viaggio interiore.
Tuttavia io amo le sfide e per questo cercherò di ripercorrere il cammino della mia vita, rivivendo ogni tappa del viaggio, affinché i ricordi, le sensazioni e le emozioni vissute, siano un esempio, per superare le tante delusioni e le numerose sconfitte.
Raccontarsi potrebbe essere d’aiuto e d’incoraggiamento, a tutti coloro che a causa delle tante avversità dell’esistenza, hanno perduto ogni speranza.
Invece, sono convinta che vivere sia l’unica opportunità che ci è stata offerta, pertanto, non la si deve sprecare!
Così, sono pronta a partire per il viaggio, rievocherò le va-
rie fasi: dalla scuola dell’obbligo all’età adolescenziale, fino all’età adulta, in cui si devono affrontare le scelte più impor- tanti, come l’interrogativo: Che cosa vorrai fare da grande...?
Adriana Mango
CAPITOLO 1
La Nascita
Desidero raccontare la storia di una bambina di nome Elisa- betta, alla quale la nascita aveva riservato subito una sfida
molto impegnativa che la trasformerà in una tenace combattente
.
Elisabetta nacque nei primi anni ‘60, in una città del profondo Nord d’Italia, invece la sua famiglia proveniva dal profondo Sud, dalla terra di un antico popolo: il popolo lucano.
A causa della scelta professionale del suo papà (nella famiglio- la era già nata la sorella maggiore) si trasferirono dalla città dei due mari, Taranto, all’antica capitale del Regno Longobardo (sesto-ottavo secolo d.C.): Pavia.
Sin dai primi mesi Elisabetta iniziò a manifestare dei movimenti anomali agli occhietti di color verde mare, tanto è vero che venne tempestivamente sottoposta a delle visite oculisti- che.
Ma solo dopo il compimento del primo compleanno gli accertamenti furono più approfonditi e, ai suoi genitori fu data una diagnosi: la loro bimba era affetta dalla retinite pigmentosa congenita.
Significava che la retina durante la gestazione non si era sviluppata, lasciando un’ipovisione ad entrambi gli occhi, pari a qualche decimo, con un campo visivo estremamente residuale. Il primario che allora dirigeva la clinica oculistica del policlinico, annunciò la diagnosi in maniera spietata, disse loro: La vostra bambina, nel giro di pochi anni, perderà quel suo residuo di vista, pertanto, non potrà mai più vedere!
Inoltre, fu perentorio nel sostenere che la malformazione era ereditaria da parte paterna, in quanto riteneva come causa la consanguineità
dei due genitori.
In realtà, i genitori di Elisabetta erano cugini di secondo grado, e il loro unico legame era quello di avere un bisnonno in comune, quindi un legame lontano .
È doveroso ricordare il trauma psicologico che dovettero vi- vere il papà e la mamma della bambina che cresceva sana e serena, con gioia e tanta volontà di esplorare tutto ciò che la circondava: desiderosa di essere già indipendente
.
Tutto questo infondeva speranza e sollievo nel papà e nella mamma, i quali non persero mai la fiducia nella scienza e nel- la ricerca, affinché un giorno si potesse trovare una cura o la guarigione.
A due anni, la bambina fu sottoposta ad altri accertamenti in un altro centro ospedaliero: la clinica oftalmica Fate bene Fratelli di Milano, e questa volta la diagnosi fu più rassicurante e incoraggiante.
Il primario, una persona certamente più sensibile e di profonda umanità, disse alla mamma di Elisabetta: Sua figlia è nata affetta dalla retinite pigmentosa perciò la sua retina non si è sviluppata durante la gestazione. Tuttavia, la bambina potrà conservare la sua poca vista, potrà essere seguita da un bravo collega che la sottoporrà a delle terapie di mantenimento (a base di vitamine che favoriscono la sua crescita), con l’augurio e la fiducia che la scienza un giorno potrà raggiungere il successo della guarigione
.
Queste parole infusero sollievo e tanta speranza nella mamma di Elisabetta, mentre il papà impiegò molto più tempo a ras- serenarsi; a lungo visse sentendosi psicologicamente responsabile di aver trasmesso geneticamente la malformazione alla sua bambina.
Nonostante questo suo stato d’animo affranto e preoccupato, nulla gli impediva di confidare nella scienza e nella ricerca,
tanto è vero, che avrebbe affrontato qualsiasi sacrificio, se ci fosse stata l’opportunità, di sottoporre la propria bambina a un eventuale intervento chirurgico o a una probabile terapia, ma- gari anche all’estero, pur di