La Cucitrice
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About this ebook
Rosalba indaga e scopre addirittura l’esistenza di due cognomi che sua nonna aveva portato in vita, diversi da quelli che lei conosceva. Grazie alle lettere e alle sue ricerche, riesce ad arrivare a due donne che le raccontano storie emozionanti che non solo riguardano nonna Alba ma anche la sua bisnonna.
Lentamente, sul filo dei ricordi, le anziane Iride e Ida permettono alla giovane di fare scoperte incredibili.
Ispirato a una storia vera, l’autrice ci regala uno spaccato del secolo scorso in cui l’amore, il sacrificio, il dolore e l’amicizia connotano dei personaggi davvero indimenticabili.
Katia Calandra
Laureata in Lingue e Letterature Straniere, attualmente insegnante d’inglese nella Scuola Secondaria di secondo grado, coltiva da sempre la passione per le storie del passato. Inizia così a compiere degli studi e a fare indagini. Raccoglie del materiale e scrive alcuni dei suoi romanzi attualmente già pubblicati (Lo chiamavano Geronimo - 2016).
Nel 2007 vince il concorso letterario Indianetto “Qui Calabria”, a seguito della partecipazione al Premio Letterario Internazionale “Il Molinello”.Alcune delle sue opere vengono pubblicate nella raccolta Voci dell’anima.
Nel 2015 pubblica il suo primo romanzo La vita fra i capelli, nel 2016 partecipa al Concorso Nazionale CAPIT, città di Fucecchio e riceve il diploma e la medaglia come finalista del libro edito La vita fra i capelli. Nel 2018 pubblica Scodì.
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Reviews for La Cucitrice
2 ratings2 reviews
- Rating: 5 out of 5 stars5/5La cucitrice – letto in due giorni – da una parte ero curiosa di sapere come andavano a finire le vicende delle protagoniste e dall’altra ero affascinata dall'ambiente rurale ormai svanito che la scrittrice ricostruisce con tanti dettagli interessanti . Lo si esplora attraverso la prospettiva della narratrice, già familiare dai due libri precedenti – La vita fra i capelli e Lo chiamavano Geronimo e man mano si incastrano i tasselli dei vari racconti in una visione poliedrica di un mondo complesso – il gioco di sovrapposizione e di completamento dei tre testi gli conferisce maggiore spessore, ma sono godibilissimi anche separatemente. Da leggere!
- Rating: 5 out of 5 stars5/5E' un romanzo molto piacevole che si legge tutto d'un fiato. La storia , coinvolgente e ricca di dettagli, si sviluppa intorno al tentativo di Rosalba di ricostruire il passato di sua nonna Alba . Ne scaturisce una ricerca appassionata piena di sentimenti delicati . Emerge la vivacità sorprendente della vita della provincia e dell'entroterra marchigiano agli inizi del secolo scorso. Un tuffo nel passato , fatto di tradizioni , di sapori e sentimenti autentici che rendono il racconto prezioso. Il finale sorprende poiché riesce ad unire passato e presente in una consapevolezza nuova . Da non perdere !
Book preview
La Cucitrice - Katia Calandra
locali.
CA’ LA FIORENZA 1991
Era trascorso un mese dal suo rientro dal Regno Unito e Rosalba non aveva ancora avuto il coraggio di oltrepassare la soglia della porta della camera di sua nonna, da quell’ormai lontano giorno della sua morte, oltre un anno e mezzo prima.
«Cos’è che mi trattiene dall’entrare nella sua stanza?» mormorò a se stessa una mattina. «La paura? Ma paura di cosa? Di ricordare il passato? Un passato che potrebbe farmi ancora male?»
Provò a formulare delle possibili ipotesi. Esitò un istante poi proseguì col cuore gonfio: «Penso sia tutto ciò». E il suo viso si rattristò. Il desiderio, però, di entrare di nuovo in contatto con la nonna, la tormentava. «Devo farlo, in ogni caso. Se non altro per pulire la stanza». Durante la sua assenza la zia aveva provveduto, ma dal suo ritorno le aveva riconsegnato nelle mani la gestione delle faccende domestiche.
«Adesso vado a farmi una tazza di caffè poi entrerò in quella stanza» promise a se stessa. Così dicendo, comunque, volle prendersi ancora dell’altro tempo. Dalla cucina proveniva un leggero aroma di caffè. «Ale ha già fatto colazione» pensò «e chissà invece dov’è il babbo». Da quando Gerolamo aveva riacquistato l’uso del piede, in casa non si vedeva quasi mai, se non negli orari dei pasti e per coricarsi. Anche nella stagione invernale trovava da fare sempre qualcosa. In quel momento era nel granaio intento a fare delle granate, granatine e cesti di saggina che utilizzava durante l’anno per gli usi più diversi. In passato, quando le necessità erano state maggiori, si era cimentato anche nella lavorazione di altre fibre flessibili come il sanguinello, l’orniello e altri materiali che usava per fare ramazze da usare per la pulizia degli spazi esterni. Quelle di saggina, tuttavia, rimanevano le sue preferite. Ci metteva così tanta passione e amore che parevano opere d’arte e a usarle sembrava quasi di commettere un sacrilegio.
Il caffè nella moka era tiepido. «Oh, è quasi freddo, non mi piace proprio», mormorò. Prese una tazza, vi versò il liquido e lavò la moka. «Me lo faccio di nuovo, voglio gustarlo ben caldo». Quando il caffè fu pronto, prese una brioche e fece colazione abbracciata da un silenzio confortante. Gettò lo sguardo fuori dalla finestra, il sole col suo flebile calore stava riscaldando l’aria e gli alberi nell’aia avevano preso a gocciolare. «Deve aver gelato questa notte» pensò. Il fatto però di vedere quella luce riflettere tutt’intorno, la metteva di buon umore. Quando ebbe finito, rassettò frettolosamente la cucina e, come promesso, si avviò verso la camera della nonna.
Arrivata davanti alla porta, appoggiò la mano sul saltarello e, con una pressione decisa ma lentamente, lo abbassò, poi spinse la porta. La camera era avvolta nel buio, gli scuretti erano chiusi. Si diresse alla finestra e, uno alla volta, li aprì. Un raggio di sole la investì e le ci volle una buona manciata di secondi per poter tornare a vedere. La coperta sul letto mostrava qualche piccola piega sul fondo, tradendo l’idea che nessuno vi si era più coricato dalla morte di Alba. Accanto vi era il comodino, qualcuno vi aveva appoggiato sopra una sua foto ricordo e l’anziana signora, col suo sorriso sempre sulle labbra, la stava guardando. Non riuscì a trattenere la commozione e le lacrime presero a scenderle. Si mise a sedere sul letto, con la mano destra afferrò la foto e prese a osservarla. Fu sorpresa di notare come il tempo cancellasse i dettagli dei ricordi. «Cara nonna, il tempo si sta portando via il mio passato, il nostro passato», mormorò con tristezza, «stavo dimenticando il tuo volto, i tuoi lineamenti. Perdonami. La mia mente fa persino fatica a ricordare la tua voce. Devo concentrarmi per riascoltarla nei pensieri e, quando ci riesco, l’effetto è breve. Lo so che tu non vuoi vedermi soffrire, ma è più forte di me, e se non lo facessi, penso non sarei un essere umano fatto di sentimenti ed emozioni». Sollevò lo sguardo al soffitto, poi alla finestra, e infine appoggiò di nuovo la foto al suo posto. Aprì il cassetto superiore e l’occhio le cadde su un mazzo di carte da briscola. Lo afferrò. La custodia era nuovissima, sembravano non essere mai state usate. Le bastò una frazione di secondo e la sua mente tornò a diversi anni addietro quando, nelle lunghe serate invernali, al riparo dal freddo, davanti al tepore del camino aveva giocato con sua nonna a briscola e tresette tantissime volte.
Con infinita pazienza dapprima le aveva insegnato a riconoscere i quattro semi, poi le figure e il relativo valore. Non era stato difficile imparare la briscola, mentre, invece, aveva faticato un po’ per capire il meccanismo del gioco a tresette. Quando finalmente aveva imparato, dopo una serie continua di sconfitte, aveva esultato: «Ora, nonna, vuoi vedere che non mi batti più?»
Allora il gioco si faceva più interessante, persino per lei che giocava con più grinta addosso, ma sua nonna era una brava giocatrice e non era facile batterla. Rosalba ogni tanto alzava lo sguardo dalle sue carte per scrutarla in volto e captare qualche espressione particolare che potesse darle qualche indizio sulla mano dell’avversaria. Raramente, però, la sua bocca accennava a un lieve sorriso o i suoi occhi brillavano di contentezza. Il più delle volte rimaneva concentrata spostando solamente gli occhi a destra e a sinistra e viceversa sulle proprie carte.
Rosalba non glielo chiese mai direttamente ma sapeva che anche l’anziana signora si dilettava a giocare con la nipote, tant’è che molte volte andava al cassetto della cucina, prendeva il mazzo di carte e avvicinandosi le diceva: «Facciamo una partita, Rosy?»
Dopo aver acquisito una certa sicurezza con il gioco, Rosalba aveva coinvolto anche il padre e il fratello Alessandro. In quattro era ancora più eccitante e in quelle occasioni cercava di usare il linguaggio tipico anche se di tanto in tanto commetteva delle gaffe.
Com’erano stati gioiosi quei momenti!
A fatica ricacciò indietro le lacrime e, ricompostasi dalla commozione che quel ricordo le aveva procurato, riprese a scrutare la stanza come se la vedesse per la prima volta. Quando era ancora in vita, quella stanza l’aveva sempre vista di sfuggita. Vi era entrata poche volte e sempre frettolosamente, a parte il giorno in cui aveva voluto specchiarsi per osservare il suo corpo, la cui immagine riflessa l’aveva scioccata, e gli ultimi giorni in cui l’anziana signora era in fin di vita, ma allora non si era curata dell’arredamento e solo ora prendeva consapevolezza di ciò che conteneva. Al lato destro del letto c’era l’armadio e sul lato sinistro il comò. Sopra di esso altre foto, nessuna apparteneva a sua nonna. Al primo sguardo tutti le sembrarono volti sconosciuti. Ne prese una e la scrutò, era di un giovane, lesse il nome sul retro, Pietro Merli. «Ah, questo è il nonno!» esclamò. Tornò a guardare la foto a mezzo busto. Era decisamente un bel giovanotto, viso ovale, guance piene, sopracciglia marcate, taglio degli occhi grandi, ciglia folte. Essendo la foto in bianco e nero, non le riuscì, purtroppo, di individuare il colore dei capelli anche se ebbe la sensazione che fossero neri, per la densa carica di colore sopra la nuca. Indossava un completo con camicia e cravatta chiara. Poi, prese le altre foto, lesse i nomi, ma nessuno le risultò familiare. A un certo punto i suoi occhi caddero sulla foto di una donna di mezza età. La osservò. All’improvviso le tornò in mente la descrizione di sua madre fattale da suo padre il giorno del suo rientro. Schiuse le labbra e mormorò: «Mamma». Mai come in quel momento si sentì sola e smarrita. In quella stanza c’erano il suo passato e le sue radici. «Come mi mancate tu e la nonna!» Con un gesto rapido si portò la foto al petto. Stette così per un buon minuto prima di riporla sul comò. Poi girò di nuovo lo sguardo verso suo nonno: «Chissà di cosa è morto lui. Mica me lo ha mai detto la nonna?» si chiese. In quella stanza si respirava odore di passato, un passato che le apparteneva e all’improvviso volle sapere. Spinta dalla curiosità aprì i cassetti. Nel primo c’erano le lenzuola. A fatica lo richiuse. Poi il secondo che conteneva biancheria intima, infine passò al terzo. Al suo interno c’erano i truscelli di lino arrotolati, ossia dei teli per le lenzuola, poi delle federe di cotone con sopra ricamate due iniziali A e B, asciugamani di lino con i merletti alle due estremità, e ancora, sottovesti di cotone con anch’esse degli accenni di ricamo sul petto, e in un angolo quasi nascosto dai tessuti, un sacchetto di carta piuttosto gonfio. Spinta dalla curiosità Rosalba l’aprì e vi scrutò dentro. C’era una Bibbia tutta consunta con la copertina rotta, molte immaginette di santi e infine tante cartoline e tante lettere. Cominciò a guardare qualcuna di queste ultime. Erano tutte indirizzate alla signorina Alba Storani, Località Furlo, Acqualagna
. Dedusse immediatamente che risalivano al periodo in cui quest’Alba era giovane e abitava ad Acqualagna. «Ma chi è Alba Storani?» si domandò Rosalba. Cercò di intravvedere la data del timbro postale: 1930. Corse alle altre lettere per fare altrettanto. La maggior parte risalivano al ’30 e ’31, qualcuna al ’25, ’27, ’28, altre ancora al ’37. Tutte con lo stesso indirizzo. A un