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In tenebris
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In tenebris

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Stefano Naillemi, scrittore di successo, ha alle spalle un matrimonio senza amore, finito dopo sei anni. L’incontro con Laura, una bellissima transessuale, sembra promettere una nuova ripartenza e la nascita di un amore sincero e profondo. Stefano, però, scompare improvvisamente, lasciando Laura e gli amici nell’incertezza e nella desolazione. La verità è che Stefano muore in un incidente, ma il suo cadavere, privo di documenti, non viene identificato.
La morte non è la fine di tutto, esiste una vita oltre la vita. L’uomo si ritrova in un luogo deserto, buio, inospitale: è l’inferno, in cui gli toccherà vivere per l’eternità.
Ma non c’è proprio nessuna speranza?
Stefano non accetta la nuova situazione, l’amore per Laura è troppo forte per non sfidare anche la morte e scoprirà che, anche in un aldilà ostile come l’inferno, possono esistere amore e amicizia.
LanguageItaliano
Release dateMay 26, 2021
ISBN9788855391313
In tenebris

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    In tenebris - Roberto Belotti

    negato.

    Prologo

    Gli si avvicinò, piegandosi leggermente verso destra. Appoggiandogli una mano sulla spalla e le labbra all’orecchio, gli chiese, in mezzo alle voci confuse, al rumore dei bicchieri e alla musica del locale, come stesse proseguendo. Stefano la guardò con l’espressione stupita di chi non si sarebbe aspettato quella domanda, non in quel momento almeno. A dire il vero non era nemmeno sicuro di averne inteso correttamente il senso. All’improvviso, senza alcun apparente motivo, divagò tentando di ricordare, senza riuscirci, una citazione di Charles Bukowski che suo padre, ormai anziano, gli ripeteva di tanto in tanto. Qualcosa sull’infermo e la solitudine. Pochi attimi e poi tornò alla realtà. Fissò la donna per alcuni secondi e quando fu sul punto di dire qualcosa, lei lo anticipò.

    «A dispetto del tuo viso spaesato, il tuo sguardo sembra parlare abbastanza chiaramente, quasi come un libro aperto, per rimanere in tema» mormorò Carola, aggiungendo anche qualcos’altro che però lui non colse.

    «Sono molto contento. Davvero. Le ultime pagine mi soddisfano» rispose, pensando si riferisse al romanzo che aveva appena terminato e che lei, la sua editrice, non vedeva l’ora di leggere. «Non avrei potuto trovare un finale più avvincente.»

    La donna lo guardò, accennò un sorriso muovendo un angolo della bocca e gli passò una mano sui capelli come a volerglieli spettinare, se solo non fossero stati così corti. Poi, inclinò il capo e con aria maliziosa gli sussurrò: «Non parlavo del tuo romanzo. Sto parlando di lei. Di Laura».

    Fece attenzione a non farsi sentire da altri, anche se, in mezzo al frastuono del locale, non sarebbe stato facile cogliere le loro parole. In realtà, il resto dei loro amici non sembrava badare a loro due. Erano tutti occupati a godersi la festa.

    Tommaso, il fratello di Carola, inaugurava il suo locale. Stava andando tutto per il meglio. Anche se la serata era iniziata da poco, non c’era una sedia o un divanetto liberi.

    Le persone intervenute erano amici invitati direttamente da Tommaso, da sua sorella e attraverso una serie di comunicati condivisi sui principali social. Dopo aver stretto un gran numero di mani e scambiato una battuta con gran parte dei presenti, Tommaso passò dietro al divanetto su cui era seduta la sorella. Lei gli fece un cenno e lui le sussurrò qualcosa abbassandosi verso di lei e appoggiandole le mani sulle spalle. «Cosa ne pensi?»

    Carola lo baciò sulla guancia e gli fece i complimenti, poi, rivolgendosi agli amici ammise che sulla location era riuscito a mantenere l’assoluto riserbo persino con lei. «Il mio fratellino non si è fatto scappare il minimo indizio.»

    «La scelta della chiesa sconsacrata è indovinatissima, e l’hai sistemata in maniera eccellente. Bravo» disse Stefano. «E per quanto riguarda il resto, devo ammettere che gli snack sono eccezionali e la birra davvero ottima» aggiunse indicando un bicchiere vuoto di fronte a lui.

    «È irlandese. So che vai matto per l’ambrata. Te ne farò recapitare una cassa, appena mi darai l’indirizzo della casa nuova» aggiunse Tommaso, che nel frattempo gli si era avvicinato, dandogli una pacca sulla spalla e facendo l’occhiolino alla sorella. Stefano alzò il pollice e sorrise.

    «Anche il vino è buonissimo» aggiunse Carola.

    «Questa bottiglia l’ho stappata per te. Da sorseggiare con concentrazione» le sussurrò sorridendo.

    «Perché?»

    «Quindici gradi.»

    «Caspita. Provenienza?»

    «È un vino carico di storia. Proviene da Montefalco, un piccolo e meraviglioso borgo umbro.»

    All’interno del locale, arredato in modo che risultasse una via di mezzo tra il pub irlandese e la paninoteca italiana tanto in voga negli anni ottanta, era stato inserito un soppalco per consentire al locale di svilupparsi su due livelli. La chiesa risaliva al XIV secolo, ed era situata poco distante dalla stazione ferroviaria e da una delle più importanti vie commerciali della città. La scelta di un ex edificio sacro, ormai sconsacrato, fu una cosa che colpì tutti.

    «Ha ragione mio fratello» continuò poi Carola. «Quando pensi di inaugurare la nuova casa?»

    «Non saprei. L’appartamento è molto piccolo. Avevo pensato di invitarvi pochi per volta. Ci terrei comunque a mostrarvi dove abito adesso.»

    D’un tratto, senza rendersene conto, gli occhi di Stefano guizzarono e lo sguardo andò a posarsi prima sul tavolo di fronte, tra i bicchieri e i piatti ancora pieni di ogni genere di pietanza, poi oltre Carola; fece una carambola impossibile e rimase fermo un istante su un punto qualsiasi sulla parete alla sinistra di lei, come se avesse visto qualcosa o qualcuno e poi, lentamente, tornò a fissarsi sulla donna. Per una frazione di secondo si era smarrito nei suoi pensieri e questi erano tornati a immaginare il viso di Laura, la donna che aveva iniziato a frequentare da qualche settimana.

    «Mio Dio, Stefano! Ti stai innamorando?» esclamò la donna, felicemente sorpresa.

    Stefano avvampò. All’improvviso si sentì strano, come se fosse stato messo all’angolo dalla domanda dell’amica e si sentisse nudo, riflesso nello specchio della sua coscienza. Non si era ancora preso l’impegno di abbinare Laura al tema dell’amore. In realtà non lo aveva mai fatto nemmeno con le altre donne della sua vita, con nessuna. Forse, nemmeno con la sua ex moglie. «Laura è incredibile» rispose riprendendosi. «È alta, intelligente, è bellissima da togliere il fiato, ha un fascino unico ed è speciale» aggiunse abbassando lo sguardo sulla parola speciale.

    «Anche se non lo vuoi ammettere, non ti ho mai visto così preso» replicò lei.

    Stefano non replicò. Prese il cellulare dalla tasca interna della giacca perché per abitudine non portava mai l’orologio al polso. La donna fu sul punto di chiedere di più, ma la reazione dell’uomo alla vista del display, la frenò. «Accidenti!» mormorò tra sé dopo aver guardato l’ora.

    Era in ritardo. Salutò Tommaso con una stretta di mano, l’amica con un bacio sulla guancia e gli altri del gruppo aiutandosi anche con ampi gesti delle mani, prese la giacca blu che aveva appoggiato su una delle poltroncine e, dopo essersi aperto un varco tra gli ospiti, uscì velocemente dal locale. Appena fuori respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera, girò a destra senza riflettere e, abbottonandosi i polsini della camicia di cotone celeste, cominciò a camminare speditamente. Era dispiaciuto per essere dovuto andar via così presto, ma non poteva perdere l’ultimo treno perché quel giorno i taxi erano in sciopero. Quando guardò l’ora sul display della banca che aveva di fronte, se la prese con se stesso, per non aver prestato maggiore attenzione allo scorrere del tempo.

    Era una notte ancora giovane, anche se dava l’impressione di correre più velocemente del solito. Una notte di luna e di stelle, simile a tante altre tra quelle che ricordava e che aveva trascorso piacevolmente con i suoi amici. Era stata una notte di parole e di scherzi, di risate e di silenzi. Una notte con Laura in testa.

    La città, pulsante ancora di vita e di traffico, era ricamata dalle luci dei negozi ancora aperti, dal rumore dei motori delle auto e delle moto, e tenuta per mano dalle risate di alcuni ragazzi fermi fuori da una pizzeria.

    Anche se si vide costretto ad aumentare l’andatura, la fretta non gli impedì di pensare alla serata: la compagnia era stata piacevole, come sempre, e il buffet, consumato in parte in piedi e in parte seduto chiacchierando amabilmente, soprattutto con Carola, era andato al di là delle più rosee aspettative. «Ha ragione Tommaso. Non posso più aspettare. È tempo di inaugurare il mio nuovo appartamento» pensò tra sé. Prestò attenzione a non urtare le altre persone che incontrava sul marciapiede.

    L’ultimo convoglio per casa sua stava probabilmente per lasciare la banchina proprio in quell’istante. Spesso i treni partivano in ritardo, ma una strana sensazione gli suggerì che questa volta sarebbe partito in perfetto orario. Scese velocemente le scale per raggiungere il sottopassaggio.

    Un gruppo di persone davanti a lui stava invece risalendo, ridendo. Stefano dovette rallentare e spostarsi su un lato per scansarle.

    Quei pochi secondi persi gli sembrarono un’eternità. Appena superato il gruppo, riprese velocemente la sua discesa. Fu allora che scivolò su un gradino su cui era stata rovesciata una sostanza densa e scivolosa: del miele o forse della marmellata. Perse l’equilibrio, riuscì ad aggrapparsi al passamano, ma il piegamento innaturale della spalla gli procurò una tale fitta che lo costrinse a lasciare la presa. Cadde all’indietro e picchiò violentemente la testa su uno dei gradini. Per una frazione di secondo vide solo buio, come se ci fosse stato un improvviso blackout. Dopo un tempo che non avrebbe saputo quantificare, si ritrovò inspiegabilmente in piedi.

    Mentre si teneva premuta la mano destra contro la nuca dolorante, percorse il breve corridoio e dopo i tornelli, che non ricordava di aver oltrepassato, scese l’ultima rampa di scale verso la banchina. Era talmente seccato per il contrattempo che non si era accorto di aver perso il portafogli. Probabilmente gli era caduto dalla tasca interna della giacca mentre scendeva le scale o cadeva sbattendo la testa. Inspiegabilmente si sentiva strano, più leggero, persino più veloce, ma questo non gli consentì di raggiungere il treno prima che le porte chiudessero. Purtroppo giunse a pochi centimetri dalle carrozze, tanto vicino da poterle toccare, se solo avesse voluto. Quel piccolo contrattempo gli fu fatale.

    «Fermati! Ti prego, apri le porte» urlò con quanto fiato aveva in gola in direzione del macchinista. La sua voce risuonò in modo strano. Quasi non la riconobbe. Per questo si voltò di scatto, per sincerarsi che quelle parole non fossero state pronunciate da qualcuno alle sue spalle. Era solo. Per qualche metro tentò anche di rincorrere inutilmente il treno. Poi si fermò e rimase immobile nella speranza che l’uomo avesse sentito il suo richiamo o almeno lo avesse visto tentare una goffa rincorsa, ma il convoglio non rallentò e dopo alcuni secondi Stefano vide le carrozze di coda passargli accanto acquistando velocità.

    «Maledizione!» sussurrò soffocando la rabbia e piegandosi su se stesso, appoggiando le mani sulle ginocchia nel tentativo di riprendere fiato. Nonostante fosse ben allenato, la camminata sostenuta e la successiva corsa imprevista giù per le scale lo avevano sfiancato, anche perché aveva terminato da poco di cenare e bere con gli amici. Era furioso. La piacevole serata era ormai rovinata. Per maggiore sicurezza verificò sui tabelloni affissi, vide che non sarebbero passati altri convogli e che il successivo sarebbe partito dal deposito alle 6 del mattino, all’incirca cinque ore più tardi. Rassegnato, si voltò verso i binari ora vuoti. «Come ha fatto a non vedermi?» si domandò tra sé ripensando al macchinista che non si era fermato.

    A quel punto doveva pensare, e farlo in fretta.

    Prima di ogni altra cosa doveva uscire da lì, perché tra poco avrebbero chiuso i passaggi, lo avrebbero visto nelle telecamere a circuito chiuso e con ogni probabilità sarebbe intervenuta la polizia ferroviaria perché, come sapeva, nessuno era autorizzato a transitare o sostare oltre i tornelli dopo l’orario di chiusura, per ragioni di sicurezza. Non aveva alcuna intenzione di mettersi in altri guai. Normalmente il treno copriva la distanza fino a casa sua in una decina di minuti, ma ora, se non avesse trovato un passaggio, avrebbe dovuto camminare di notte, per buona parte del tragitto in aperta campagna, per più di un’ora. Quest’ultima ipotesi non lo spaventava affatto perché non era il tipo da scoraggiarsi o preoccuparsi per così poco. Era solo irritato per non essere riuscito a salire su quel maledetto ultimo treno. Anche la distanza non lo preoccupava: se avesse avuto le sue scarpe da running sarebbe potuto arrivare a casa più speditamente. Era allenato da anni di corsa con qualsiasi condizioni di tempo. Gli piaceva correre perché lo rilassava fisicamente e mentalmente e inoltre gli piaceva la sensazione unica di sentire il suo corpo allenato e pronto.

    Quell’idea fissa di essere pronto l’aveva sin da ragazzo, anche se non aveva mai capito o scoperto a cosa realmente si riferisse. Dopo tanti anni l’aveva un poco allontanata, anche se non aveva mai rinunciato a mantenersi in forma, correndo per un’ora almeno due o tre volte la settimana. Immediatamente dopo quella riflessione, sorrise: se avesse potuto optare per la corsa, quella sarebbe stata la prima volta in notturna.

    Da qualche mese, dopo la separazione da Barbara, la moglie, si era trasferito in un appartamento inserito in un piccolo complesso costruito attorno a un antico borgo alle porte di Milano. Aveva fatto delle ricerche e, da quanto aveva letto, la parte centrale, dove si potevano ancora ammirare in perfetto stato di conservazione le mura perimetrali di una piccola fortezza, risaliva addirittura agli inizi del XVII secolo.

    La rocca, in origine ben più ampia e strutturata, sorgeva poco distante dalla principale e antica via di comunicazione che collegava l’allora Ducato di Milano con la Repubblica di Venezia passando per Gorgonzola e Canonica d’Adda. Era rimasta pressoché intatta fino ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, che la rasero quasi completamente al suolo. Solo grazie ai lavori di ricostruzione, ancorché parziale, si era potuto recuperare parte del corpo centrale dell’antico palazzo. Dopo il secondo conflitto, il borgo si era lentamente ripopolato anche e soprattutto grazie agli investimenti privati e aveva visto una lenta ma costante crescita immobiliare. Sempre più famiglie desideravano abbandonare il caos metropolitano in cerca di maggiore sicurezza, di aria più respirabile, di ampi spazi verdi e di una dimensione tranquilla dove vivere e far crescere i propri figli.

    Anche Stefano aveva seguito la medesima direzione, passando dalla città al borgo, ma il suo spostamento aveva motivazioni differenti rispetto alla maggior parte dei suoi nuovi concittadini.

    D'accordo con Barbara, aveva deciso di vendere l’ampio appartamento in cui avevano vissuto e di utilizzare il ricavato, diviso in parti uguali, per acquistare una nuova casa ciascuno. Stefano, anche a causa della scelta della sua ex di cercare una casa non distante da quella in cui avevano abitato, decise di allontanarsi, di lasciare Milano e il traffico, ma soprattutto le strade e i negozi che gli potevano ricordare la sua precedente relazione. Anche se il loro matrimonio era durato solo sei anni e non avevano avuto figli, voleva dare un taglio netto al passato iniziando proprio dal cambio della zona dove avrebbe vissuto d’ora in poi. Stefano aveva acquistato un ampio bilocale all’ultimo piano in una palazzina su tre livelli, che faceva parte di un piccolo complesso composto da quattro unità situate all’interno di un parco privato in cui spiccavano alcune querce imponenti e secolari, un laghetto in cui si potevano ammirare piante acquatiche, pesci rossi, carpe e anatre.

    Si era velocemente adattato al silenzio profumato del parco, dove amava camminare o fermarsi a riflettere. Era piacevole ritrovarsi a buttar giù qualche appunto seduto su una delle panchine in legno posizionate sul prato verde, così curato da sembrare una folta moquette. A volte i merli che lo guardavano battere con le dita sui tasti del PC lo distoglievano per qualche secondo da ciò che stava scrivendo. Non si fermavano mai per più di un attimo e poi volavano via veloci, sparendo dietro un cespuglio o tra i rami delle querce. Per le correzioni, invece, preferiva stare comodo sul divano che occupava gran parte del soggiorno e lavorare su copie che stampava di volta in volta.

    Su ognuno dei piani c’erano tre appartamenti. All’ultimo piano, dove si trovava il suo appartamento, abitavano Luca e Irene, una coppia di giovani molto riservati e sposati da poco meno di un anno, e Laura, una donna più o meno coetanea di Stefano, appena uscita da una lunga relazione con un uomo di parecchi anni più grande.

    Anche lei non aveva figli, ma poteva godere della compagnia dei suoi gatti. Aveva una sorella maggiore, Claudia, che vedeva raramente perché si era trasferita da una decina di anni in Ungheria, insieme al marito.

    Laura era una mora con capelli lunghi fino alle spalle e una deliziosa erre ereditata dalla madre parmense. Era di carnagione scura e aveva occhi chiari color ghiaccio dentro i quali Stefano si era perso sin dalla prima volta che aveva avuto modo di presentarsi e parlarle. Lui era di carnagione chiara, aveva occhi verdi e capelli corti e brizzolati. In comune avevano una buona forma fisica: lui perché frequentava regolarmente la palestra da quando aveva vent’anni e lei, nonostante facesse un lavoro sedentario, aveva un fisico perfetto grazie a un metabolismo eccezionale.

    Nonostante si fosse allontanato da Milano, dove vivevano tutti i suoi amici, Stefano non voleva che questo potesse in qualche modo influire sulle relazioni che aveva costruito e sulle piacevoli abitudini che con loro aveva da anni.

    Per questo, da quando abitava nella nuova casa, aveva continuato ad accettare gli inviti: a volte un aperitivo, a volte una cena a casa di uno di loro e a volte a teatro.

    Purtroppo le ridotte dimensioni del suo appartamento non gli avrebbero mai consentito di invitare tante persone e organizzare feste.

    Fino a quando aveva abitato e vissuto in città, prima della sua separazione, fare tardi e ospitare amici non era mai stato un problema. A quei tempi si muoveva spesso in bicicletta o addirittura a piedi. Uno dei suoi teatri preferiti si trovava a non più di seicento metri da casa e Carola abitava a due fermate di metropolitana. Alcune volte aveva approfittato di un passaggio in moto, ma più spesso aveva privilegiato fare quattro passi. Da quando si era trasferito, poiché era consentito circolare con l’auto nel perimetro centrale solo ai residenti, era obbligato a muoversi con il taxi o con il treno. Quest’ultimo lo vincolava non poco perché la linea ferroviaria che collegava la città con il suo borgo interrompeva la circolazione poco dopo l’una di notte e così, ogni volta, doveva prestare attenzione all’orario o prendere un taxi. Questa scomodità divenne per lui, ben presto, l’opportunità di poter osservare una gran quantità di volti e memorizzare i tratti di tipi curiosi che incontrava solo dopo il crepuscolo e che, non di rado, inseriva nei suoi romanzi. In generale, era difficoltoso trovare un taxi disponibile a quell’ora, il mestiere di tassista era diventato pericoloso, soprattutto di notte, a causa di bande di miserabili che seminavano paura e terrore aggredendo e rapinando autisti e clienti, ultimamente anche durante le ore diurne.

    Ad un tratto Stefano, mentre stava ancora riprendendo fiato e seguendo con lo sguardo le luci della carrozza di coda, che scomparivano nel buio della galleria, si ricordò di aver visto un gruppo di ragazzi con i motorini poco distanti dalle scale esterne del sottopassaggio, da cui pochi minuti prima era sceso velocemente nel tentativo, vano, di prendere l’ultimo treno.

    Tornò sui suoi passi, sperando di poter ottenere da loro un passaggio, oltrepassò i tornelli saltandoli, perché ormai erano stati bloccati, passò a lato del gradino bagnato su cui era scivolato, ma non notò il suo portafogli a terra. Stranamente l’addetto alla sicurezza non vide Stefano o forse non gli prestò attenzione.

    Una volta fuori cercò di ricordare dove avesse visto i ragazzi, ma ciò che invece vide lo bloccò lì, sull’ultimo gradino, come fosse una statua di sale. Un brivido freddo lo percorse lungo la schiena. Mise le mani sui fianchi e si guardò attorno, profondamente turbato.

    ***

    Qualche ora prima, mentre Stefano raggiungeva il locale di Tommaso, Barbara sorseggiava nervosamente un tè, in compagnia di un’amica, dall’altra parte della città.

    «Come lo hai saputo?»

    Barbara si appoggiò allo schienale della sedia prima di rispondere e piegò la testa da un lato. In quei brevi istanti, che trascorsero dalla domanda e la sua risposta, la sua mente ritornò a quando aveva appreso per la prima volta la notizia e aveva immaginato di vedere quanto le era stato raccontato. «È stata una coincidenza. Una mia amica che vive sul lago di Garda da un paio d’anni lo ha visto mano nella mano con una tizia.»

    «È sicura che fosse lui?»

    «Si conoscono da una dozzina d’anni» rispose Barbara staccandosi dallo schienale e appoggiando i gomiti sul tavolino.

    «Ti ha dato fastidio?»

    «Al posto mio come ti sentiresti? Non gli auguro niente di buono. Vorrei si sentisse solo come mi sento io. Mi ha presa in giro per tutto il tempo che siamo stati insieme. Sei anni: ti sembra poco? Non mi ha mai amata, non ha voluto figli da me e ha preferito mettere tutte le sue energie nei suoi romanzi. Quelli come lui non cambiano. Se ne accorgerà anche questa sua nuova fidanzata.»

    L’amica finì di bere il suo tè, le sorrise e appoggiò una mano sulla sua. «Non fare così. Non ne vale la pena. Non ne vale mai. Dimenticalo, gli uomini amano diversamente…»

    «Vorrà dire che mi cercherò una donna» replicò Barbara abbozzando il primo sorriso da quando si erano sedute al tavolino. Anche l’amica sorrise, più per compiacerla che per un vero desiderio di ironizzare alla sua battuta. Il sorriso della donna si trasformò velocemente in una piega amara della bocca quando pensò che in realtà si era pentita di aver accettato l’invito a incontrarsi. Si rammaricò anche di non aver trovato in lei un po’ di saggezza femminile, un’ombra di perdono o, al limite, il desiderio di buttare tutto alle spalle e andare oltre. A quel punto preferì tacere, abbassare lo sguardo verso la sua tazza vuota e giocherellare con la bustina dello zucchero. Si intrattennero ancora per qualche minuto e poi si salutarono.

    Capitolo 1 – Gli ultimi istanti di luce

    Non c’era più nulla: le persone, le strade, i marciapiedi, i negozi, le auto parcheggiate, le case. Tutto era sparito: la musica, i locali e il rumore dei bicchieri e delle voci che fino a un attimo prima aveva avuto nella testa. Stefano era quasi soffocato dal buio di una notte priva di luci, odori e rumori. Una notte di solitudine e di silenzio, una notte di antica memoria, lontana milioni di anni. Era come se al mondo fosse rimasto solo lui. Si piegò sulle gambe accovacciandosi. In quel modo provò a concentrarsi sul silenzio che lo avvolgeva come un mantello scomodo, ma ugualmente non avvertì nessun rumore diverso dal battito accelerato del suo cuore. Dopo un istante si tirò su e respirò l’aria fresca, di una notte strana, che metteva i brividi.

    Guidato da una forza non dipendente da lui, fece ancora un passo superando l’ultimo gradino su cui si era fermato, alzò il viso verso il cielo e rimase per alcuni secondi incantato a guardare le stelle. Gli sembrò di non averle mai viste così belle, così luminose e così vicine. La luna era quasi piena e la sua ombra appariva netta e lunga sul terreno verso cui abbassò lo sguardo, come se volesse verificare se, oltre alle cose del mondo che fino a pochi istanti prima aveva attorno, fossero spariti anche i vestiti. Sembrava non mancasse nulla: aveva le scarpe, i pantaloni e la cintura. Si passò una mano sulla giacca e sulla camicia. La temperatura era piacevole e la giacca blu di cotone era più che sufficiente per affrontare la camminata fino a casa.

    A quel punto gli passò per la testa anche la possibilità di chiamare Laura.

    Non si era ancora reso conto di cosa realmente fosse successo, anche se l’idea dell’incubo, accanto alla speranza di risvegliarsi nel suo letto da un momento all’altro, suscitavano in lui allo stesso tempo ansia e desiderio.

    Chiamarla significava svegliarla nel cuore della notte, buttarla giù dal letto e chiederle il favore di evitargli di fare a piedi il pezzo di strada fino a casa. Del resto si erano scambiati i numeri di telefono anche per emergenze come questa. Stefano ricordò che, dopo qualche giorno dal suo trasferimento nel nuovo appartamento, era stata proprio Laura a fargli quella proposta.

    «Così, se dovessimo aver bisogno di aiuto, sapremo di poter contare almeno l’uno sull’altra» gli aveva detto sorridendo una sera davanti all’ascensore dopo che tra loro si era istaurata un po’ di confidenza. Il ricordo di quel breve e piacevole dialogo gli scaldò il cuore e gli placò un po’ l’agitazione.

    A Stefano era sembrata una buona idea, perciò aveva memorizzato immediatamente il numero e il nome: Laura Visconti. Inizialmente non aveva pensato a lei come a una donna che avrebbe potuto frequentare. L’aveva incrociata qualche volta sul pianerottolo, ma non l’aveva mai guardata più del tempo necessario per accorgersi che c’era una persona da salutare, frettolosamente e sbadatamente. Stefano era perennemente distratto e assorto nelle storie che scriveva o in quelle che avrebbe dovuto iniziare e non si guardava troppo attorno. L’espressione un po’ assente e distratta gli aveva regalato, da sempre, un inatteso successo con le donne. Basti pensare che aveva conosciuto l’ex moglie in occasione di un tamponamento. Era stata lei a chiamarlo con una scusa legata alle reciproche assicurazioni e, da lì, avevano cominciato a frequentarsi.

    Dopo quasi due anni di fidanzamento, si erano sposati. Durante i primi sei mesi ogni cosa funzionò perfettamente: fecero viaggi, lei venne promossa e lui, scrittore brillante e curioso, aveva appena pubblicato il suo ultimo romanzo. Lei lavorava per una multinazionale, era giovane e pensava di aver sposato il padre dei suoi figli.

    Purtroppo, molto presto si spensero gli entusiasmi e lui preferì impegnarsi nelle ricerche storiche per ambientare le vicende dei suoi romanzi,

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